Fanini: vorrei precisare meglio il mio pensiero...

| 13/08/2007 | 00:00
«Siccome il mio pensiero non è stato riportato correttamente dalle agenzie di stampa, chiedo a tuttobiciweb la possibilità di esprimere ancora una volta alcuni concetti in merito alla vicenda degli “uomini in nero”»: così Ivano Fanini, patron della Amore&Vita McDonald’s. Ed ecco, allora, gli interventi del patron toscano in una vicenda che è ormai tempo che esca dalle pagine dei siti e dei giornali. «Vorrei ricordare ai signori Dal Lago della Liquigas, Savio della Diquigiovanni Selle Italia e Di Rocco, Presidente della F.C.I. che il sottoscritto non è un “quaquaraquà” che parla a sproposito o perché non ha niente da perdere: io ho sempre vinto le mie battaglie legali per le denunce che mi sono arrivate addosso da quando ho intrapreso la mia personale guerra al doping, ne ho affrontati molti di processi e non mi spaventa affrontarne altri. Voglio chiarire che non ho detto che le due squadre al completo hanno fatto delle losche preparazioni ma lo hanno fatto alcuni dei loro atleti ed ho fatto solo i nomi di Bertolini e Bertagnolli perché – per una strana coincidenza – hanno vinto ultimamente due corse importanti a doppia velocità. All’amico Di Rocco, che conosce benissimo il mio passato, il mio presente e tutte le mie battaglie giornaliere, consiglio di mirare ad essere un primo della classe nella lotta al doping ed in questo prenda esempio da Jesper Worre, capo della Federazione Danese e neghi immediatamente la possibilità di entrare in Nazionale e partecipare al Mondiale ai corridori e personale coinvolti in storie di doping. Riguardo all’affiliazione all’estero, non è stata certamente fatta per nascondere qualcosa ma è stata provocata dalla rottura con la F.C.I. di Giancarlo Cerruti. Inoltre ruppi i rapporti con la Lega Ciclismo a causa del famoso mancato blitz dei Nas al Giro d’Italia ’96 quando denunciai Angelo Lavarda e Carmine Castellano, rispettivamente segretario della Lega e direttore della corsa rosa. Fino a quel momento ero allineato ai comportamenti degli altri, ma da questo evento e dalla cultura che mi feci sui problemi del doping, cambiai vita e promisi di ritornare in Italia solo se le cose fossero cambiate ma a quanto pare niente è cambiato nemmeno sotto la direzione di Di Rocco a parte l’ammirevole comportamento della Procura antidoping del CONI. Il presidente della F.C.I. Pensi piuttosto a sollecitare chi di dovere per la conclusione del caso dello Zoncolan, dove i corridori Di Luca, Mazzoleni, Simoni, Riccò e Piepoli, avevano rilasciato ai controlli, dell’urina da neonato. Questi sono problemi di cui occuparsi. E se poi penso ai corridori e squadre affiliate alla F.C.I. con residenze e sedi in paradisi fiscali, allora Di Rocco è bene che controlli i suoi affiliati invece di pensare alla mia affiliazione”. Fanini risponde a Savio. “Gianni Savio ha ragione, non deve spiegazioni a me, le deve però al mondo del ciclismo – replica il patron dell’Amore & Vita-McDonald’s Ivano Fanini –: se Bertolini non figura nella lista dei corridori che devono garantire la quotidiana reperibilità agli ispettori UCI e WADA, allora perché si allenava vestito di nero? Se non è una questione di controlli a sorpresa, forse il motivo è che non voleva farsi riconoscere mentre si recava dal discusso dottor Ferrari? Questo avrebbe sicuramente suscitato molto scalpore e sarebbero sorti molti interrogativi, tanto più dopo che l’ultimo corridore che ha dichiarato di essere preparato dal dott. Ferrari - Vinokourov - è risultato positivo al Tour de France dopo un impresa simile a quella di Bertolini all’Appennino. Se Savio vuole valutare eventuali azioni legali a tutela dei diritti della sua società faccia pure. Tuttavia, se un episodio come questo fosse successo all’interno del mio team io non avrei perso tempo, ma a reale tutela dei diritti e dell’immagine della mia squadra, avrei preso subito dei provvedimenti nei confronti del mio atleta che, stipendiato dalla mia società, si allenava con una divisa neutra non rispettando così una clausola fondamentale del contratto (presente in tutti i contratti di società professionistiche), per lo più sulle strade di casa di un famoso medico il cui nome è da sempre legato a problemi di doping”. Fanini risponde a Di Rocco, Dal Lago e Savio. “Se non mi sono rivolto alla Procura anti doping ma alla stampa è perché volevo che tutti sapessero quello che purtroppo avviene nel mondo del ciclismo. Ci sono troppi trucchi, sotterfugi che non fanno altro che peggiorare, soprattutto in un momento critico come questo, la posizione del nostro sport. Se avessi denunciato il fatto alla Procura probabilmente nessuno avrebbe saputo niente. Io invece non voglio che queste vicende accadano o passino inosservate, voglio che gli sportivi sappiano che ci sono atleti pronti a tutto, anche a mimetizzarsi pur di trovare il modo di eludere i controlli a sorpresa o di sviare l’attenzione quando si recano da medici legati al doping. Con questo sono certo che la Procura – considerato che Torri è l’unico che sta facendo un grande lavoro – saprà come comportarsi. Inoltre mi auguro che le società in questione non perdano tempo a criticarmi ma provvedano immediatamente ad indagare a fondo per il bene del ciclismo e la tutela della loro immagine”.
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