| 03/07/2007 | 00:00 Dalla speranza di partire per il Tour de France al mondo che ti crolla addosso sotto forma di una richiesta di squalifica di due anni. Giampaolo Caruso il pomeriggio del 3 luglio non se lo scoderà mai. E a caldo grida tutta la sua rabbia puntando il dito contro Ettore Torri, il Capo della Procura Antidoping del Coni.
«Mi ha letteralmente preso in giro, è incredibile, una cosa inaudita. Soprattutto per me che sin dal primo giorno in cui mi sono trovato coinvolto nell’Operacion Puerto ho cercato di dimostrare la mia innocenza. Io, per esempio, ho chiesto fin dall’ottobre scorso di essere sottoposto ad esame del Dna, ma nessuno mi ha mai risposto. E per mesi sono stato in attesa di una chiamata del Coni. Poi, visto che questa attesa mi era costata la partecipazione al Giro e che non volevo ripetere la stessa esperienza al Tour, a fine maggio ho scritto con il mio avvocato Federico Cecconi una lettera al procuratore Torri».
Per chiedergli cosa?
«Per chiedergli di essere ascoltato. Torri mi ha risposto convocandomi per l’11 giugno. Mi sono presentato con l’avvocato Cecconi e questo ha sorpreso un po’ Torri che mi ha detto “come mai sei qui con l’avvocato? questo è un colloquio tra di noi”. E io: “pensavo di essere convocato, quindi...”. “No, non è una convocazione, ti ho chiamato perché me l’hai chiesto tu: per me nel tuo caso è tutto a posto”».
Ma il colloquio c’è stato?
«Certo. Mi ha chiesto se volevo entrare solo o con l’avvocato, io per fortuna ho scelto di farmi accompagnare, così adesso ho un testimone che può confermare quel che dico. Torri mi ha chiesto qualche chiarimento su alcuni documenti, poi mi ha confermato che potevo star tranquillo. Gli ho rinnovato la disponibilità a sottopormi ad esami del Dna ma mi ha spiegato che non serviva, perché non aveva nulla con cui confrontarlo. Addirittura mi ha chiesto come poteva aiutarmi in vista del Tour “perché per un procedimento non ci sono i tempi tecnici”. Così con il mio avvocato gli abbiamo chiesto un documento che attestasse che non avrebbe aperto procedimenti disciplinari nei miei confronti. Lui si è detto d’accordo e ci siamo salutati».
Poi cosa è successo?
«Che quasi ogni giorno chiamavo il suo ufficio per chiedere quel documento e nello stesso tempo chiamavo Saronni per rassicurarlo e farmi tenere un posto nella squadra per il Tour, perché io volevo correrlo ad ogni costo».
Invece...
«Invece anche stamattina ho avuto risposte evasive fin quando il mio avvocato, trasecolando come me, mi ha chiamato per informarmi del deferimento e della richiesta di due anni di squalifica».
Con quali accuse?
«Nel documento si parla di una intercettazione telefonica in cui due persone parlano di un ordine d’arrivo e uno dei due fa riferimento al quarto arrivato, un certo Caruso, forse della Liberty. Ma se guardano gli ordini d’arrivo, allora sono coinvolti tutti...».
Poi?
«Poi Torri scrive che in base a quello che ha detto Manzano, si presume che io abbia assunto Epo. E l’altra accusa riguarda un calendartio dove ci sarebbe scritto un “idem Andrle” (ex compagno di squadra di Caruiso, ndr) che Torri lega al mio nome. E per completare l’opera dice che io ho difeso Saiz».
In che modo?
«Dicendo che non mi ha mai proposto nulla. Dovevo forse dichiarare il falso per far contento Torri? Quando mi ha chiesto perché Saiz, nei cinque anni che ho corso per lui, non mi avesse mai proposto di andare da Fuentes, gli ho risposto che probabilmente guadagnavo troppo poco, non avevo 40-50.000 euro da dare a Fuentes. Ho detto a Torri quanto guadagno e lui ha confermato: “deve essere per questo”»
E ora?
«Ora continuerò a difendermi a testa alta come ho sempre fatto, anche se mi chiedo che giustizia sia questa. Se Torri ha chiesto due anni per me, quando avrà di fronte gli altri, cosa farà? Gli sparerà?».
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