Al Giro d’Italia Under 23 c’è anche il papà – il papà toscano – di Vincenzo Nibali. Carlo Franceschi, il presidente della Mastromarco Sensi Nibali, segue la corsa in un camper: qui abita e viaggia, qui presiede e dorme, qui guida e accompagna, qui progetta e ricorda, qui abbraccia la sua vita rotonda.
Cultura contadina: “Mio padre lavorava la terra”. Licenza elementare: “Cominciai presto anch’io a lavorare: in una fabbrica di scarponi da lavoro, inchiodavo i tacchi, guadagnavo una miseria”. Passione ciclistica: “La mia prima bici era una Olmo sportiva da viaggio, azzurra con sfumature bianche. Avevo 18 anni”. Vocazione agonistica: “Con quella bici battevo i miei amici in salita e in volata”.
Il primo tesserino fu per la Sammontana Spicchiese di Empoli, poi, anche per lui, fu fondata la Mastromarco Caffè Mokalindi: “In tutto 44 vittorie da esordiente, allievo e dilettante, in volata e anche per distacco, compreso il campionato italiano allievi del 1963 a Trento. E pensare che l’anno prima lo aveva conquistato, a Terni, Gianni Motta, che sarebbe stato il mio primo idolo. Poi ci siamo incontrati e conosciuti, abbiamo anche corso insieme, ma non gliel’ho mai detto”. Franceschi smise di correre nel 1965: “Accadde con il servizio militare. L’ultima vittoria a Velletri, nel 1964, in volata. L’ultima corsa a Mercatale, con un ritiro”. Ormai si era rotto l’incantesimo.
Ma se lui non poteva rinunciare al ciclismo, il ciclismo non poteva rinunciare a lui: “Due anni dopo ero già direttore sportivo, prima con gli esordienti, poi con gli allievi. E da allora non c’è mai stato un solo giorno in cui mi sia detto ‘ma chi me lo ha fatto fare’. La squadra è diventata la mia famiglia, il ciclismo la mia vita”. E il camper la sua casa, la sua casa mobile, mobile e temporanea, corsaiola. “E i corridori sono diventati un po’ i miei figli. Il tranquillo: Valerio Conti. Il ribelle: Daniele Poggiali. Il bravo: Damiano Caruso. L’appassionato: Antonio Santoro. L’onesto: Paolo Simion. Il volonteroso: Mirko Selvaggi, che se gli dicevi di allenarsi tre ore, lui allungava a tre e mezzo. E il migliore: Enzo”. Enzo, per lui, è Vincenzo Nibali: “E’ sempre in giro, è sempre via e lontano, ormai ci si vede raramente. Poco tempo fa abbiamo mangiato insieme. Cioè: io mangiavo, lui assaggiava, spiluzzicava. Enzo, non stai bene?, gli ho domandato. Sto bene ma non posso, mi ha risposto. E io mi sono commosso per tanto rigore, tanta disciplina, tante piccole rinunce quando ormai potrebbe godersi i soldi e la vita. Ma lui ha ancora il fuoco dentro”.
Franceschi distribuisce sorrisi e consigli, sguardi e suggerimenti, smorfie e regole: “Se fai la vita, la vita del corridore, bene, altrimenti la paghi. Era così, è così, sarà sempre così. Il ciclismo regala esperienze ed emozioni, ma non fa sconti: qui non si bara. Il mondo è cambiato, è cambiato anche il mondo del ciclismo, ma il ciclismo – storico o moderno – alla fine sempre ciclismo è. Una volta c’era più rispetto, adesso più intelligenza. Una volta c’erano le parole, adesso i telefonini. Una volta c’erano le carte, adesso i computer. Una volta per fare il dietro macchina ci si infilava dietro ai camion, per fare i test si affrontavano le salite a staccarsi, per il potenziamento da palestra si lavoravano i campi o si tagliava la legna, sempre all’aria aperta. E il servizio militare aiutava a imparare a obbedire. Quando vedo i ragazzi chiusi nel silenzio, stesi sul letto, a smanettare sul telefonino, li invito a fare una giratina al bar, o a giocare a briscola o a scopa o a scala 40. E quando accettano, poi si divertono. Forse per noi era più facile: non c’era altro”.
Mastromarco è un’oasi di ciclismo, oltre che una miniera di storie e un patrimonio di avventure: “Ma confronto a molte squadre qui al Giro, soprattutto quelle straniere, siamo dei pesciolini piccoli. Ci arrangiamo con quello che abbiamo: e Enzo ci dà una bella mano, quasi tutti gli sponsor tecnici ce li ha portati lui. Vinciamo poco, ma credetemi quando dico che se si vince, bene, ma se non si vince, fa niente, amen. E quando uno dei miei ragazzi va più forte di quello che ci si aspetti, lo spedisco subito dal nostro medico, Carlo Giammattei, che gli fa un bel controllo specialistico, e intanto frugo negli armadi e nei cassetti, per togliermi anche l’ombra di un dubbio. L’importante è che imparino a vivere, e su una bicicletta è più facile, anche se molto più faticoso”. Perché in bicicletta è così: “Lo sfarfallìo, lo sparpaglìo, lo sgrandinìo. Ed è lì che viene fuori quello che hai dentro”.
Marco Pastonesi
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