PROFESSIONISTI | 26/02/2018 | 09:09 A vincere la classifica a squadre – Tour of Antalya, in Turchia – non è stata una delle due Professional (Wilier Triestina-Selle Italia diretta da Luca Scinto e CCC-Sprandi guidata da Tomasz Brozyna), e neppure quella che ha vinto due tappe su quattro e conquistato due maglie su quattro (la Polartec-Kometa gestita da Alberto Contador e Ivan Basso), ma una formazione austriaca che per il 2018 ha scelto di retrocedersi a Under 23 (il Tyrol Cycling Team). E il suo tecnico è italiano: Leonardo Canciani.
A dire la verità è metà italiano (di padre) e metà svizzero (di madre), metà svizzero (di nascita) e metà italiano (giuliano di Monfalcone, “bisiaco”, cioè “fra le due acque, quelle dell’Isonzo e del Timavo”). Corridore, da dilettante (“Da Monfalcone mi trasferii a Quarrata, corsi per la Maltinti, la Toscana era l’università del ciclismo”) a stagista (“Nel 1993 con la ZG Mobili di Gianni Savio, partecipai al Giro dell’Emilia e al Giro del Lazio, arrivai nei 20, ma non fu abbastanza per guadagnarmi un posto tra i professionisti”). Smise e uscì (“Fuori dal ciclismo per otto anni”), ritornò (“Per allenare gli juniores del Gruppo sportivo Danieli di Buttrio, vicino a Udine”) e rimase (“Finché fui chiamato da Scinto, con cui avevo corso fra i dilettanti, per la Isd, quindi all’Androni con Savio, infine qui alla Tirol con Roberto Damiani”). Canciani, 50 anni, è un tecnico di ciclismo, ma è anche maestro del legno: “Boscaiolo, dico io per non darmi arie, ma il diploma delle superiori mi dà proprio quel titolo. Ho lavorato prima in un’azienda svizzera che importava legname dalla Finlandia, ero addetti al controllo della qualità del legname, poi per un’azienda di Monfalcone come disegnatore di piscine per le navi da crociera, anche quella della Costa Concordia dell’ex comandante Francesco Schettino. E la mia famiglia ha una segheria-museo vecchia di circa 150 anni”. Si dice che, per valutare un corridore, bisogna guardare alla qualità del legno. Il legno più longevo? “L’ulivo”. Il più forte? “La quercia”. Il più resistente e pregiato? “Il teak, almeno all’acqua”. Il più leggero? “Il samba, brasiliano, è quello che cresce più velocemente”. Il più da altitudine? “L’abete”. E lui, Canciani, che legno è? “Il faggio, evaporato. Quando ero un bambino, stavo tre mesi in vacanza in Svizzera, e al mattino mi svegliavo con il profumo del faggio evaporato”.
Al Tirol, Canciani scolpisce i suoi giovani seguendo gli insegnamenti imparati strada facendo: “Franco Cattai mi dette i comandamenti. Fabrizio Fabbri mi dimostrò che bastavano poche parole, ma dette bene. Di Scinto inseguo l’umanità e la vivacità. Di Savio la serietà e l’eleganza. Di Damiani la profondità e la professionalità”. La premessa riguarda il doping: “Immorale e illecito. E poi rende schiavi: chi comincia, continua, non ne può più fare a meno, e prima o poi viene colto in flagrante. Infine accorcia la carriera, la brucia, la distrugge”. Il primo esame verte sul comportamento in corsa: “Non avere paura di vincere, se al tennista viene il braccino, al corridore le gambine”. Il secondo esame è sul comportamento fuori corsa: “Educazione, rispetto, umiltà”. Tanto che Canciani non ha esitato, in una corsa, a lasciare fuori squadra il più forte dei suoi: “Faceva l’Elvis Presley. Ha capito, è tornato con le orecchie basse”. Prima dell’ultima tappa del Tour of Antalya, mi ha detto, sorridendo: “Vado a sgridarli un po’”. E’ servito. Perché poi i ragazzi austriaci hanno vinto la classifica a squadre.
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