STORIA | 30/12/2017 | 07:56 Che Testa dura. “Dilettante, alla Trevigiani, mi hanno dato anche la bicicletta, oltre alla divisa… una Piave… era molto importante per me avere la bicicletta della società, era un riconoscimento, tanto che una volta, quando me l’hanno messa in forse, gli ho detto ‘Ah sì, eora mi vao da ‘naltra parte’, poi me la diedero”. Che colpo di Testa. “Il papà si era intestardito, fu irremovibile. ‘Non ve porto a Cavasagra, no xe giorno’. Ma Franco non si arrese, lui era ormai un ciclista allievo e allertò un paio di amici che lo raggiunsero con la Vespa, vi salirono lui e suo fratello Luciano e, bici in spalla, partirono per Cavasagra”. Franco primo, Luciano quinto. E il papà non c’era.
Che Testa matta. “Mi allenavo ogni giorno per conto mio, mi alzavo all’alba e via a correre, correvo intorno alle nostre campagne, le galoppavo in lungo e largo, d’estate e d’inverno, col buio e con la luce, col sole o con la pioggia, anche la neve, qualche volta”. Che Testa a partito. Olimpiade 1960, Roma, ritiro nel convento di suore alle Frattocchie, “quando siamo arrivati, c’erano diverse suore, anche giovani, anche carine… abbiamo sistemato i bagagli nelle stanze che ci erano state assegnate, e la sera ci siamo trovati tutti insieme per la cena. Da quel momento in poi, in tutte le occasioni, abbiamo visto sempre e solo suore anziane”.
“Volare” è la storia di Franco Testa, padovano, il macellaio-ciclista, specialista nell’inseguimento individuale e a squadre, raccontata da Lucio Carraro per Unigraf con il patrocinio del Comune di Mogliano Veneto (126 pagine, senza indicazione di prezzo, parte del ricavato devoluto all’Ail). Una storia illuminata dalle Olimpiadi. La prima, a Roma, è d’oro: “Testa tira il quartetto come avesse le ali, la sua velocità diventa un acuto, è una metafora di ‘volare’ che si alza verso il cielo… il pubblico è tutto in piedi adesso… è un’onda che accompagna gli azzurri al traguardo… questa notte è una grande notte”.
La seconda, a Tokyo, nel 1964, è d’argento: “La squadra italiana, trascinata dall’inossidabile Testa, stava per replicare Roma, quando a tre giri dal traguardo Rancati cede di schianto, consentendo ai tedeschi di ribaltare le posizioni: a un giro e mezzo dalla fine Roncaglia fora, Franco gli grida… via via via… ma Mantovani, il terzo corridore sul quale veniva preso il tempo, si stacca dalla ruota di Franco e per sette centesimi… addio oro”.
Ma in questo “Volare”, a metà fra la biografia ufficiale e un libro di fiabe, c’è molto di più. Fotografie in bianco e nero, di famiglia e di corse, canzoni e filastrocche, ricordi e testimonianze, c’è anche quella di Fausto Coppi (“Franco, tu sei forte, hai stile e talento da vendere, l’anno prossimo sarai nella mia squadra”). E ci sono episodi irresistibili. Quella volta che Testa aveva deciso di smettere con il ciclismo e dedicarsi alla macelleria, ma non sapeva come spiegarsi e giustificarsi, infine disse “ma mi gavaria anca da vivere”, e allora Severino Rigoni, il tecnico alla Padovani, gli mise in mano 50 mila lire, la paga mensile di un operaio. O quella volta che Testa, a tavola, prima dei Giochi di Roma, vide che a Sante Gaiardoni veniva servita la seconda bistecca, a lui e agli altri ancora niente: “Commisario – disse a Guido Costa – no va mia ben cussì, chi semo ‘noaltri? No va mia ben cussì, ara che mi va anca via!”.
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