Ci sono spettacoli della vita italiana che riconciliano con il ciclismo. Tantissimi. Uno degli ultimi, uno dei migliori, è certo il caso-Parma. Non parlo di prosciutto e nemmeno di formaggio, parlo ovviamente della gloriosa squadra di calcio miseramente finita in pappa grazie all’indefessa opera del presidentissimo Ghirardi, molto prima dell’improponibile Manenti.
N on sprecherò una riga per riassumere la vicenda: ricordo solo il dato essenziale, quei duecento milioni di debiti, molti con lo Stato, cioè con noi tutti, accumulati inseguendo sogni (o bischerate, a seconda dei punti di vista). Altro non serve: basta quella cifra. Mi preme però sottolineare che per quanto genialmente impiastro - o farabutto - possa rivelarsi un presidente, risulta davvero impossibile pensare che un simile capolavoro venga confezionato in pochi mesi. Soltanto un babbeo o un primitivo sceso l’altro giorno dal banano può credere che l’orrore di quel bilancio sia nato così, all’improvviso, come cadono le stelle cadenti nei cieli d’agosto.
Voglio qui tornare velocemente agli spettacoli della vita italiana che riconciliano con il ciclismo, proponendo proprio quello legato alla tragicomica vicenda del Parma. Riporto subito una frase, poi proseguo. “Il Parma è un’eccellenza del calcio italiano e non solo. Respiro una bellissima atmosfera, vedo dei progetti, molto entusiasmo, si vede e si capisce che si parla di sport e soprattutto di giovani. È il modo di fare che piace a me. C’è bisogno di più cultura sportiva in Italia…”.
L’appassionato encomio al modello Parma non risale al secolo scorso: è del marzo 2014, un anno fa. Il suo autore, a ciglio umido, lo pronunciò davanti ai microfoni spiegati, in occasione della sua visita pastorale nel centro sportivo di Collecchio, quartier generale della società. Adesso posso pure dire chi è questo commosso autore: si chiama Giovanni Malagò, non è un’omonimia, è proprio il presidente del Coni, filosofo e moralista che proprio in queste settimane ripete in continuazione frasi del tipo ma com’è possibile che nessuno si sia accorto di niente, il calcio deve darsi una svegliata, esigo sia fatta chiarezza, chi ha sbagliato paghi, ma anche chi doveva controllare dia le dovute spiegazioni.
Poi noi ridiamo senza pietà dei pulcinella nostri, questi strani personaggi che ogni tanto compaiono nel ciclismo con il loro carico di fumo e di cialtronate. Giustamente, dico io. Se è vero che si sente e si incontra di tutto, è pur vero che il livello di guardia è altissimo: nel ciclismo basta un niente per finire sputtanati. Certo, basta molto meno di quanto s’è visto a Parma. Ma chiedo: quando mai s’è visto nel ciclismo un colpo di classe alla Malagò? Un alto dirigente che arriva in visita a una squadra, la celebra come il santuario della virtù, salvo accorgerci tutti quanti appena un anno dopo che quel santuario è una cloaca disgustosa. Se coltivasse l’arte del pudore, quel dirigente come minimo sfilerebbe ora sullo sfondo, cercando un badile per scavarsi al più presto la buchetta. Certo non andrebbe in giro a fare il Torquemada e a insegnare il rigore. I casi sono due: o Malagò un anno fa era in visita al Barcellona e non s’è accorto dell’equivoco, oppure fuori dal ciclismo c’è davvero una situazione da mani nei capelli. Voto la due.
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