Non bisogna mai avere imbarazzi su nessun argomento, quando si prova a ragionare in buona fede. E allora vorrei proprio affrontarlo, questo scabroso tema che incombe sulla chiusura della stagione 2014. Lo intitolerei così: doping in casa Astana (tre casi), Nibali è dell’Astana, che cosa bisogna pensare di Nibali?
Inutile nasconderlo: è una discussione sgradevole. Per quello che è, per quello che ha fatto, Nibali meriterebbe solo grandi celebrazioni. Ma lui stesso è il primo a rendersi conto che quella venutasi a creare non è la più idilliaca delle situazioni. Direi ancora meglio: lui, più di tutti gli altri, dovrebbe essere imbufalito. Un campione ci mette una vita intera a raggiungere il vertice, poi arrivano tre compagni qualunque (e neanche tanto: un Iglinski è proprio quello che gli ha negato la più bella vittoria in linea, addirittura la Liegi, rimontandolo con un incedere da extraterrestre, dannazione a lui), e sul mito si allungano subito le ombre antipatiche dei ma, dei se, dei però.
Parliamoci chiaro: è odioso, ma purtroppo è anche inevitabile che l’operato di alcuni componenti la squadra getti schizzi sull’intera squadra. È già successo mille volte. Del resto, con tutto quello che abbiamo visto e sentito in tema di pratiche collettive, è normale lo scetticismo. Come fanno alcuni corridori, alcuni medici, alcuni massaggiatori di un team a ignorare del tutto quanto stanno facendo diversi colleghi dello stesso team? Come si fa ad escludere che tutti facciano allo stesso modo, vedi l’epoca di Armstrong, o della Festina, o della Telekom e via con l’elenco telefonico? Come si fa?
Purtroppo, Nibali deve portarsi dietro questo carico di scetticismo, direi uno scetticismo di rimbalzo. È davvero gravissimo che nella sua squadra tre corridori - dico tre - siano caduti ancora nelle rete dei controlli. Che l’Uci dica di volerci vedere più chiaro non mi sembra così eclatante: mi sembra proprio il minimo. Anche se fatico a credere che arrivi a drastiche conseguenze: ho sempre visto che agli alti livelli vale la solita regola di una certa giustizia, forti coi deboli e deboli coi forti.
Noi, che non siamo dell’Uci, ma comunque non abbiamo la soppressa davanti agli occhi, sappiamo bene quale sia la situazione in casa Astana. Ci sono i vertici kazaki che vanno avanti dritti come caterpillar e c’è l’enclave italiana che vive come di vita propria. Lo dico con molta soddisfazione: i Nibali, i Vanotti, i Tiralongo, gli Aru non hanno mai -dico mai - dato finora grattacapi al loro padrone. La nostra fama di italiani furboni, cialtroni, arrangioni in questo caso è sepolta da persone e personale - ci metto pure i Martinelli, gli Zanini, i meccanici e i massaggiatori dell’enclave - che hanno dato sinora prova di serietà, dedizione, lealtà. Esempi, altro che italiani cialtroni.
Queste considerazioni sono le ragioni che mi spingono a credere - a sperare, quanto meno - che in realtà esistano due Astane. Quella dei fratelli Iglinski, quella dello stesso Vinokourov con il suo passato tenebroso, e quella italiana, per una volta più rassicurante e consolante. Fino a prova contraria.
Quanto a Nibali, mi pare davvero che nessuno abbia il diritto di sminuire nemmeno di un millimetro, nemmeno con una leggera ombra, il suo favoloso Tour. Possiamo sopportare quelli che continuano a rimenarla con i ritiri prematuri di Frooome e Contador, assolutamente non possiamo sopportare quelli che la rimenano con l’Astana. Per me, Nibali resta a pieno titolo l’uomo dell’anno. E non tanto, non solo, per il Tour. Ancora di più per la frase con cui l’ha concluso, pietra miliare di un nuovo modo d’essere ciclista. Mentre il direttore Stagi lo premia con l’Oscar tuttoBICI per la sua attività agonistica, io lo premio idealmente con un bel niente, ma con tanta ammirazione, per quella frase.
La riporto in modo lapidario, come lapide sulla stagione conclusa e su tutte quelle che verranno in futuro, frase rivoluzionaria e molto impegnativa. Vincenzo Nibali, 26 luglio 2014, poche ore prima di salire sul podio dei Campi Elisi: “Io devo solo ringraziare l’antidoping: senza l’antidoping, non avrei mai vinto quello che ho vinto”.
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