Editoriale
Ho accolto l’elezione di Brian Cookson come una sorta di liberazione, dopo anni tremendi. Sono ancora convinto che il neo presidente rappresenti il nuovo e spero anche il diverso, nel senso che tracci una linea drasticamente differente da quella disegnata dal suo predecessore. Per questo lo attendo con impazienza, curiosità e speranza quando presenterà al mondo intero la vera riforma del ciclismo, che fin qui è stata abbozzata da altri e che ora toccherà a lui e ai suoi collaboratori rendere più coerente, omogenea e fruibile. La storia del figlio Oliver che da quattro stagioni lavora per il team SKY, né mi piace né tantomeno mi rende tranquillo: sono in imbarazzo io per loro. Non è la prima volta e probabilmente non sarà l’ultima. Staremo a vedere.
Premesso questo, passo alla questione che più mi sta a cuore questo mese. Sono due lettere. Una inviata dall’ufficio legale dell’Uci sulla questione Galletti, l’altra inviata da Stefano Agostini allo stesso Cookson dopo l’aberrante squalifica di 15 mesi. Ma andiamo per ordine.

LETTERA 1. Il 27 novembre scorso Amedeo Colombo, presidente dell’Accpi, Cristian Salvato, vice presidente e Gianni Bu­gno, presidente mondiale dei corridori, scrivono un’accorata lettera al presidente dell’Uci per chiedere giustizia. Per fare in mo­do che il mondo del ciclismo mostri una volta tanto il suo volto migliore. Amedeo, Cristian e Gianni decidono di chiamare direttamente in causa il neo presidente per sensibilizzarlo sulla questione Galletti, il corridore della Naturino morto nel 2005 per un infarto in corsa alla Subida al Naranco, la cui moglie Consuelo, che non ha mai visto un becco di un quattrino dall’assicurazione, fatica non poco a tirare avanti con due figli a carico: Marcus che all’epoca aveva solo 9 mesi e Manuel che non ebbe mai la gioia di conoscere papà.
«Le scriviamo per sensibilizzare la Sua attenzione su una vicenda di qualche anno fa, ma che riteniamo non possa e non debba essere dimenticata….». È bene ricordare che la compagnia assicurativa (La Taverna Spa) risponderà alla famiglia Galletti che nessun indennizzo è dovuto dal momento che la predetta polizza copre i soli infortuni e non anche, come invece richiesto dall’accordo paritario, la morte per cause naturali.
«Le chiediamo dunque di attivarsi - si legge -, in nome di quei principi di lealtà e fratellanza che costituiscono i principi morali fondamentali a cui deve ispirarsi l’attività dell’UCI, affinché sia compiuto un gesto concreto di solidarietà nei confronti della famiglia».
Non lo dicono esplicitamente, ma è implicito che chiedono all’Uci di mettersi una mano sul cuore e l’altra sul portafoglio. Qualche settimana fa, l’11 aprile, la risposta. Illuminante. «Dopo aver esaminato i file in nostro possesso in relazione alla tragica morte del signor Alessio Galletti, vorremmo fornire le seguenti informazioni: ai sensi dell’articolo 23 (1) degli accordi dell’UCI, ogni squadra deve stipulare, a sue spese, una “assicurazione sulla vita, in virtù del quale una somma di € 100.000 sarà pagato ai beneficiari designati dal corridore in attività”. Sulla base di questa disposizione, che era già in vigore nel 2005, le squadre Pro e Continental avevano l’obbligo di stipulare un’assicurazione sulla vita per i loro atleti…»… «Siamo spiacenti di informarvi che non siamo in grado di fornirvi ulteriore assistenza e vi consigliamo di chiedere il parere una consulenza ai legali di della signora Consuelo Saviozzi, vedova del signor Galletti, che potranno fornirvi ulteriori chiarimenti».
Bene, no? Si sono informati e hanno scoperto che qualcosa non andava, ma non possono fare altro. Il bello, o il brutto di tutta questa vicenda è che l’Accpi aveva chiesto espressamente che qualcuno dell’Uci si mettesse una mano sul cuore. Invece l’hanno messa sul codice, e con due articoli ci hanno lasciato senza parole.

LETTERA 2. Il 9 aprile è la volta di Stefano Agostini, che si arrende «a un sistema che ha deciso che a 25 anni io debba smettere di essere un ciclista professionista». «Condannato ad una pena di 15 mesi per la presenza di 0,7 miliardesimi di grammo nelle mie urine di una sostanza chiamata Clostebol, principio attivo della pomata Trofodermin che io stesso avevo dichiarato al momento del controllo e che, tra l’altro, mi era stata regolarmente prescritta dal medico per curare un’eruzione cutanea».
Insomma, il laboratorio di Colonia riscontra in misura infinitesimale che quello che aveva dichiarato il ragazzo c’è e si vede, ma come scrive giustamente Agostini «resta anche un forte ed irrisolto dubbio che probabilmente se io non l’avessi dichiarata non sarebbe nemmeno stata riscontrata».
Sette lunghi mesi di sospensione, nessun riconoscimento di buona fede e nemmeno la soddisfazione di abbonare al ragazzo il pre-sofferto. Agostini viene trattato alla stregua di un atleta che ha fatto uso sistematico di Epo. L’unica strada sarebbe quella del ricorso al TAS, ma Agostini scrive anche che non può farlo perché non ha 30-35 mila € - tanti ne servirebbero - per ottenere giustizia. Per 0,7 nanogrammi (0,000000007g) di Clostebol la carriera di questo ragazzo viene inesorabilmente spezzata, senza un briciolo di clemenza.
Sia ben chiaro, la positività c’è e resta. Una sanzione va data a Stefano, ma questa deve essere proporzionata all’illecito commesso. In materia di antidoping occorre rigore e mano ferma, ma in certi casi - e questo è uno di quelli - occorrerebbe avere anche un pizzico di buon senso. Quindi un appello al presidente Brian Cookson: probabilmente, caro presidente, non può seguire in prima persona tutte le vicende del mondo del ciclismo, ma faccia in modo che i suoi collaboratori, i burocrati del palazzo di Aigle, alzino ogni tanto la testa dalle loro scartoffie e dai loro alambicchi e sappiano guardare con leggerezza la realtà. Esistono codici e tabelle, ma l’uomo si differenzia non solo per il dito opponibile dal resto del regno animale, ma anche per la capacità che ha di analizzare ciascun aspetto della vita. Per lavorare come stanno facendo il suo ufficio legale o i suoi consulenti antidoping, non servono né avvocati né dottori: bastano dei buoni computer con dei buoni software. Best regards.

Pier Augusto Stagi
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