Scripta manent
Tour, 100 anni e 100 ancora

di Gian Paolo Porreca







Chissà se ci appassioneremo, al prossimo Tour. Quello che ne rap­presenta l’edizione numero 100, in una serie iniziata nel 1903 e sospesa negli anni della due Guerre Mondiali.
Chissà se proveremo interesse, o divertimento, più o meno senza italiani in pole position, sia pure con Cunego e Moser jr., fra Froome e Contador, fra de Gendt e Rolland, Gesink e Porte.
Oggi che scriviamo al solstizio di giugno, e che ci rendiamo conto che un’altra estate va via, che le giornate cominceranno con il Tour ad accorciarsi, non ad allungarsi... Og­gi, sarà un problema di età ed altro, che capiamo sempre meglio che l’estate degli anni è finita, quando comincia il Tour, ci rendiamo conto di quanto male al ciclismo abbiano fatto gli ultimi venti anni.
Sfogliando gli almanacchi, non riusciamo davvero a provare un’emozione, certo forti del giudizio di poi, trovandoceli in vetta Delgado, Indurain, Riis, Ullrich, Pantani, Arm­strong, Sastre, Pereiro, Con­tador. D’accordo, ci conosciamo, per Pantani e per Arm­strong volentieri avremmo fatto un’eccezione, ma tant’è, e la storia del Ventennio Epo­cale l’ha raccontata un’altra volta Jan Ullrich in questi giorni: “sì, andavo da Fuentes, d’accordo, ma solo per stare al pari con gli altri...”.
Tour numero 100, questo 2013. Un secolo di storia e di gloria, da Garin a Wiggins. Per un buon (ultimo) quinto inquinata. Già, un percorso per un quinto allungato di bu­gie. Come si usava, e noi lo facciamo ancora, con il Per­nod tanto amato dai ciclofili transalpini, penso ad Antoine Blondin: una parte di anice e quattro di acqua ghiacciata.

Tour numero 100, questo 2013, con la partenza dalla Corsica. Un Tour napoleonico. Con il traguardo finale, sui Campi Elisi, in notturna. Come un tempo consigliavamo a Vegni per la volata di Napoli, al Giro.
Ma noi restiamo imbarcati su un piroscafo fermo alla fonda, a sfogliare i Tour che sono andati, quelli sì senza fuggire mai per la vergogna o per un vizio di forma.
Parliamo del Tour di Gastone Nencini del ’60, quel Tour che si ferma il 16 luglio a Co­lombey-les-deux-Eglises per ricevere l’omaggio del presidente de Gaulle, quello del dramma di Riviere e della luce azzurra, Nencini, Battistini Pambianco, Massignan... Par­liamo del Tour ’65, quello gentile e favoloso di Felice Gi­mon­di, che in Francia neppure doveva andarci, e che doma l’idolo di casa Raymond Pou­lidor, conquistando ad un tem­po il Tour all’esordio ed i francesi pure.
Il Tour del Mont Revard e della crono finale a Parigi, vinta, da Gimondi, pure quella.

Noi restiamo alla fonda, al secondo Pernod, prima della sera, a guardare il Tour di luglio 2013 da molto lontano. Dalla di­stanza dei “nostri” Tour di lu­glio. A chiederci ancora come sia andata quella scalata spalla contro spalla sul Puy-de-Do­me, fra Anquetil in crisi e Poulidor impetuoso, nel ’64, con quella inezia al traguardo di 1”2 che impedirà a Pou­lidor di indossare per una vol­ta almeno la maglia gialla.
Al 100° Tour, brindiamo con un pizzico di Hassenforder ed un punch di Darrigade, lontani pure da Zabel e Cipollini, chiedendoci di grazia che fine abbia mai fatto Andrè Le Dis­sez, quel francese solitario che vinse un giorno - e non lo scor­diamo più, noi che dimenticheremmo tanto - a Cler­mont Ferrand, nel 1959. Un regionale della Paris/Nord-Est.

Gian Paolo Porreca,
napoletano,
docente universitario
di chirurgia cardio-vascolare,
editorialista de “Il Mattino”
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