Editoriale
FORSE È LA VOLTA BUONA. Finalmente qualcosa si muove, in seno al ProTour. E per la prima volta tutte le parti sono uscite da una riunione - quella tenutasi il 31 marzo scorso a Bruxelles - con la sensazione di aver compiuto un concreto passo in avanti.
La commissione presieduta da Paolo Dal Lago, presidente di Liquigas Sport e grande tessitore del buonsenso, ha infatti studiato una bozza di accordo tesa a dare effettiva consistenza e visibilità al progetto ProTour e a correggere le storture che il progetto stesso finora ha evidenziato.
Si va, quindi, verso un ciclismo che valorizza effettivamente l’impegno dei grandi team ma al tempo stesso offre le giuste opportunità e garanzie ai team che non fanno parte del ProTour.
Premessa importante: poco cambierà prima del 2009, le squadre che hanno licenze quadriennali le vedranno onorate fino al termine dell’accordo. Le linee principali della bozza prevedono una durata delle licenze che passa da quattro a tre anni per un numero di squadre che da venti si riduce a diciotto. Allo studio anche un meccanismo cosiddetto “a blocchi”: ogni anno verrà assegnata una licenza triennale a sei squadre, in modo che ce ne siano sempre sei in discussione alla fine della stagione. Si tratta di un meccanismo studiato per far sì che il numero delle squadre iscritte al ProTour sia sempre di diciotto e per offrire l’opportunità a nuove squadre sostenute magari da sponsor di grande livello, di fare il loro ingresso nel gotha del ciclismo che conta. Verrà creata anche una «Area Gold» nella quale pescare le «wild card». Tutto questo, ovviamente a grandi linee. La bozza ora dovrà essere vagliata da tutte le singole componenti: sponsor, gruppi sportivi, corridori, organizzatori di Grandi Giri e non, oltre che dalla stessa UCI, madre di tutti i regolamenti. L’obiettivo è quello di arrivare ad una bozza definitiva entro fine giugno. Non diciamolo troppo forte, ma forse è la volta buona.

REALITY E FICTION. Le strade erano polverose, le maglie più sporche, le borracce d’alluminio avevano il tappo di sughero, mentre le selle erano di cuoio. E poi Bartali e Coppi non sono mai stati così amici, come ben diversa e particolare era la voce di Gino. Per non parlare poi del suo modo di pedalare. Insomma, per gran parte dei nostri lettori la fiction su Gino Bartali è stata “tutta sbagliata, tutta da rifare”. Poco importa se ha portato acqua al mulino del ciclismo; se questo lavoro di Alberto Negrin è stato un film a favore del nostro sport e tutti abbiamo potuto sognare un po’, apprendere e riconoscerci. Peccato poi che dal rosolio della “fiction”, si è passati al sapore acre del “reality”. Peccato che dopo soli pochi giorni a Ponte a Ema, paese che diede i natali a Ginettaccio, sia stato inaugurato il Museo a lui dedicato tra polemiche e ripicche. All’inaugurazione mancavano la moglie Adriana e il figlio maggiore, Andrea, che ha espresso il dissenso verso l’associazione Amici del museo del ciclismo di Ponte a Ema “Gino Bartali”. «Né io né mia madre siamo stati coinvolti e il museo non è dedicato a mio padre ma al ciclismo - ha spiegato Andrea Bartali -. Avevamo chiesto che uno dei familiari avesse diritto di voto nell’associazione ma non ci è stato riconosciuto e mia madre non è mai stata interpellata». Proprio un brutto film.

CORSI E RICORSI. È quasi tutto un dejà vu quello che emerge dall’operazione «White winter» chiusa il 20 aprile scorso dai Carabinieri della compagnia di Castellamare di Stabia e S. Antonio Abate. Bilancio dell’operazione: una decina di arresti, tre palestre e molti farmaci proibiti sotto sequestro e cinque indagati. Fra gli arrestati ai “domiciliari” c’è anche il direttore sportivo, Daniele Masiani, oggi diesse della OTC Lauretana, formazione che si dice estranea ai fatti imputati al proprio tecnico, visto che il rapporto è in essere solo da qualche mese. È bene però ricordare che il 56enne toscano, infatti, gestiva negli anni a cavallo fra il 2003 e il 2004 una formazione dilettantistica toscana, la Cottoref Svizzera Pesciatina, letteralmente decimata nel corso dei mesi dalle continue positività dei propri corridori tutti sospesi per valori ematici fuori norma. Al punto che la stessa Federciclismo presieduta allora da Giancarlo Ceruti fu costretta a revocarne l’affiliazione. In pratica tutta la squadra fu messa fuori gioco. Quindi, del signor Daniele Masiani qualcosa si sapeva. O si poteva sapere.
Questa la cronaca dell’ultimo fatto di cronaca. Ma quel che ci preoccupa e ci lascia semplicemente basiti è la superficialità - vogliamo pensare che si tratti solo di questa - da parte di chi dovrebbe tenere strette le maglie della lotta al doping.
La Federciclismo, dal 18 al 21 aprile scorso, ha organizzato ad Abano (Padova) il 1° Seminario di aggiornamento e formazione per i Tecnici della pista ed i Tecnici Nazionali.
Come si legge nell'invito «... Essa costituisce la prima fase di in un nuovo processo di sviluppo e formazione del patrimonio tecnico della FCI...; ...un’occasione di confronto e di scambio di esperienze fondamentale per la crescita ed il coinvolgimento di tutti i tecnici della Federazione...», firmato il direttore del Centro Studi Dario Broccardo. Peccato che a questo corso si sia presentato, tra gli altri, Domenico Romano. Ve lo ricordate? Fu arrestato e incarcerato al pari di Antonio Varriale, al Giro 2002 per una questione di doping che rientrava nell’inchiesta di Brescia con epicentro Manerba del Garda. Qualche problema l’ebbero anche Nicola Chesini e Filippo Perfetto, anche quest’ultimo presente al corso della Federciclismo di Abano assieme a Romano. Che dire: è proprio solo una questione di corsi e ricorsi?

Pier Augusto Stagi
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