Tre medaglie, due ruote, un cognome: Consonni

di Giulia De Maio


Mano nella mano, proprio come nella Madison che a Parigi ha regalato a lei l’oro e a lui l’argento. So­no cresciuti così i fratelli Consonni, Chiara e Simone, i primi nella storia del nostro Paese a laurearsi campioni olimpici nei Giochi estivi. Mai si erano visti nella storia dello sport italiano una sorella e un fratello olimpionici, l’impresa era stata declinata solo al maschile.
Simone, che con i suoi 29 anni è il più grande dei tre figli di questa famiglia bergamasca in cui il ciclismo ha fatto capolino per caso, era riuscito nell’impresa a cinque cerchi tre anni fa in Giappone con Francesco Lamon, Jona­than Milan e Filippo Ganna nell’inseguimento a squadre. Ai Giochi di Paris 2024 si è confermato sul podio olimpico con il quartetto d’oro a Tokyo mettendosi al collo la medaglia di bronzo, mentre la sorellina Chiara (25 anni) mandava giù un amaro quarto posto che sta stretto al trenino femminile.
Mamma Michela e papà Corrado sugli spalti erano già emozionati così, ma appena due giorni dopo i loro ragazzi sono riusciti a realizzare due numeri da standing ovation. Chiara ha dominato la Madison con Vittoria Guazzini e Si­mone 24 ore più tardi ha meritato l’argento nella stessa specialità in coppia con Elia Viviani.
Vederli abbracciati e con le lacrime agli occhi nel velodromo di Saint-Quentin- en-Yvelines è stato dolcissimo. Come il pane e la nutella di cui sono golosi questi stupendi fratelli d’Italia che prima di puntare al Campionato Europeo in linea ci hanno raccontato i segreti dei loro successi e i sogni che custodiscono ancora nel cassetto, accanto alle lo­ro preziose medaglie.
Da bambini cosa sognavate?
Chiara: «Non ho mai avuto l’ambizione di diventare qualcuno o di vincere un oro olimpico, già partecipare ai Gio­chi pensavo sarebbe stato il top del­la mia carriera sportiva. Fino a poco tempo fa il mio desiderio era semplicemente far diventare lo sport che amo il mio lavoro».
Simone: «Anche io non ho mai so­gnato così in grande, soprattuto da piccolo visto che il ciclismo non era nei nostri piani. Nessuno in famiglia lo aveva mai praticato né preso in considerazione, ci siamo appassionati un po’ alla volta, vivendo la bici come un gio­co».
E cosa mangiavate?
Chiara: «Pane e nutella! Il mio piatto preferito è la pizza con salamino e patatine, accompagnata dalla birra, un pasto molto salutare (ride, ndr). Il cibo è il mio punto debole, la dieta è il sacrificio che mi pesa di più, ma fa parte dell’essere professionisti non esagerare nemmeno in inverno. Quando si stacca è un attimo metter su 8 chili! Di recente sono andata a trovare Valentino Vil­la, il presidente del Team Valcar in cui sono cresciuta, contentissimo nel ve­der­mi con la medaglia al collo, mi ha ripetuto quello che mi dice ogni estate quando naturalmente tendo a dimagrire: “Se iniziassi la stagione così tirata nelle classiche non ce ne sarebbe per nessuno”».
Simone: «Tanta pasta ma anche tan­to pane e nutella, confermo. Io man­gio di tutto, pizza e birra piacciono anche a me, e ho un debole per i primi. I casoncelli, la carbonara, ma anche con una semplice pasta in bianco con olio e formaggio sono felice. È più facile elencare ciò che non mi piace che il contrario, apprezzo anche ogni tipo di verdura e frutta. Riesco a manternermi in linea senza essere troppo puntiglioso, so che la cotoletta con la maionese non posso mangiarla tutti i giorni, ma non mi sono mai privato di nulla in mo­do esagerato. Cerco sempre di bi­lanciare be­ne il piatto, ci sto attento, ac­contentando anche il palato»
Campioni si nasce o si diventa?
Chiara: «Si diventa, sicuramente. Noi abbiamo iniziato a pedalare perché un amico di papà aveva i figli che correvano, Simone ha cominciato per pri­mo, poi lo abbiamo seguito anche io e Daniel, che ha un anno in meno di me e ora fa il ragioniere. Più per praticità che altro, per i nostri genitori era più comodo portarci in un solo posto dopo la scuola... Poi ognuno ha preso la sua strada».
Simone: «Fenomeni si nasce, campioni si può diventare. Madre natura deve fare la sua parte, ma l’impegno e il lavoro permettono di raggiungere traguardi importanti anche se non si è dei miracolati. Credo di esserne la pro­va. A Tokyo pensavo di aver raggiunto l’apice e invece tre anni più tardi a Parigi con i miei compagni sono riuscito a confermarmi tra i primi al mondo portando a casa addirittura due medaglie. Non so in quanti se lo sarebbero aspettati, ma io sì. Mi ero preparato per essere al top in tre discipline (Om­nium compreso, di cui era la riserva di Viviani, ndr)».
Se non aveste fatto i ciclisti?
Chiara: «Io ho preso il diploma all’istituto tecnico di Presezzo, ma studiare non mi piaceva. Ho anche ripetuto un anno, il quarto, e venivo sempre rimandata in inglese con il quale adesso me la cavo. Mi piacciono tanto i bambini piccoli quindi magari avrei potuto lavorare come maestra d’asilo o anche co­me animatrice. Mi piace muovermi, bal­lare e cantare. Mi vedrei bene in un villaggio dall’altra parte del mondo a intrattenere i vacanzieri più giovani».
Simone: «Lo chef. Ho sempre avuto la passione per la cucina, avrei voluto frequentare l’istituto alberghiero ma la scuola era lontana da casa, a San Pel­le­grino - Zogno, e con i mezzi sarei ritornato troppo tardi a casa per allenarmi. Ho conseguito il diploma di geometra, ma negli ultimi anni mi intriga molto l’aspetto della preparazione atletica. Mi confronto con il mio allenatore, dice che gli fornisco spunti interessanti per settare i vari lavori, mi piace capire quello che stiamo facendo».
Il vostro primo ricordo legato alla bici?
Chiara: «Una gara da giovanissimi, stavamo tifando Daniel impegnato in un circuito. Ogni giro passava sempre più indietro nel gruppo e ci salutava, papà gli urlava “guarda avanti e pedala” ma a lui non fregava nulla. La pri­ma bici era una Fidanza (Giovanni forniva le bici al team giovanile in cui mi­litavano anche le figlie Arianna e Mar­tina, ndr) gialla e verde, i colori della nostra prima squadra, la Polisportiva Marco Ravasio di Brem­bate di Sopra, che purtroppo non c’è più. Abbiamo iniziato per divertimento, poi man ma­no le ambizioni sono cresciute con noi, dal campionato provinciale a quello regionale, alzando l’asticella di anno in anno».
Simone: «A ripensarci sembra incredibile che oggi il nostro cognome abbia lasciato il segno ai Giochi Olimpici, che saremo ricordati per questi risultati. Il mio ricordo è ancora più lontano nel tempo e risale alla mia primissima gara, a Bonate. Io avevo 6 anni, papà e nonno Gianni litigavano perché que­st’ultimo aveva visto degli altri bambini cadere e aveva paura mi facessi male. “Se chel s-scetì al se fa’ mal, me ta’ cope” - se questo ragazzino si fa male ti ammazzo - gli ripeteva tra ostie e porconi (ride, ndr). Andò tutto bene e ora il nonno che ci guarda da lassù sono sicuro sarebbe orgoglioso di dove siamo arrivati entrambi».
Il gioco più desiderato?
Chiara: «Sono sempre stata appassionata di Barbie però i miei fratelli me le distruggevano regolarmente. Non so a quante hanno tagliato i capelli o staccato la testa... Crescere con due maschi non è stato semplice (ride, ndr)».
Simone: «Ero un bambino stravivace, forse anche troppo, tanto che in seconda media sono stato bocciato per la mia “irruenza”. Farsi rimandare a quell’età è difficile ma ci sono riuscito... Volevo uscire e stare con i miei amici, stare in compagnia e non sui libri».
Per cosa bisticciate più spesso?
Chiara: «Per tutto! Siamo cane e gatto, abbiamo due caratteri completamenti diversi, io sono più spontanea, lui almeno all’apparenza è più pacato anche se poi si scioglie, non dà a vedere com’è a chiunque. È sempre impeccabile, a differenza mia, ed è molto responsabile, d’altronde è il fratello maggiore e deve dare il buon esempio (sorride, ndr). È anche tanto dolce. Non ci diciamo mai o quasi “ti voglio bene” ma ce ne vogliamo un mondo».
Simone: «Ha ragione: siamo l’opposto a livello caratteriale. Lei è uguale a papà quindi solare e istintiva. Quello che le passa per la testa fa, io invece sono riflessivo. Lei è da tutto e subito, io sono più per un poco alla volta e con calma. Viviamo su mondi diversi e ormai, da quando io vivo fuori casa, ci vediamo poco. Ultimamente abbiamo trascorso parecchio tempo insieme in pista, altrimenti i nostri calendari sono fitti e distanti quindi ci frequentiamo meno ma è chiaro che se c’è bisogno ci siamo sempre l’uno per l’altra».
Se poteste rubarvi e regalarvi una caratteristica quale sarebbe?
Chiara: «Da lui prenderei la grinta, non conosco nessuno che sa “dare tut­to” come fa lui, è assurdo. In cambio gli darei il coraggio di fare il primo pas­so, entrambi siamo parecchio testardi».
Simone: «Io le fregherei un po’ di leggerezza e le offrirei la disciplina. Vive alla giornata, alla garibaldina co­me si suol dire, se solo fosse un po’ più metodica...».
Potessi vivere nei panni dell’altro per un giorno, come useresti le 24 ore a disposizione?
Chiara: «Scalerei “a tutta” le salite della nostra terra, io anche impegnandomi quando la strada sale andrò sempre più piano di lui».
Simone: «Io invece uscirei per un aperitivo con amici. La verità è che le vogliono bene in tanti e ha sempre bel­la gente intorno».
Quali passatempi avete?
Chiara: «Io amo ascoltare musica di ogni genere, dal reggaeton alla techno passando per la afro, e mi sto appassionando alla fotografia. Quando vivevamo sotto lo stesso tetto giocavamo tutti insieme alla Wii. Lui era il più forte in qualsiasi gioco ma solo perchè barava sempre (ride, ndr)».
Simone: «Da piccoli ammetto che essendo il maggiore rompevo parecchio le scatole ai miei fratelli minori. Mi piaceva farli “litigare”. Io facevo l’arbitro e loro la lotta. Dormivamo tutti e tre in una stanza, in un letto a castello io sopra e mia sorella sotto, dal suo letto ne usciva un altro in cui dormiva Daniel».
La prima azione appena vi svegliate al mattino?
Chiara: «Guardo il telefono».
Simone: «Mi lavo la faccia, dopo una bella rinfrescata con acqua fredda e sapone la giornata può iniziare».
L’ultima prima di andare a dormire?
Chiara: «Mi faccio il segno della cro­ce, come mi ha insegnato la mam­ma».
Simone: «Io mi lavo i denti».
Il vostro modello?
Chiara: «Sembrerà scontato ma dico mio fratello. Ho sempre vi­sto Simo raggiungere gli obiettivi più importanti prima di me, medaglia d’oro olimpica compresa, ed è una persona che stimo an­che perché si è sempre fatto in quattro per la no­stra famiglia».
Simone: «A li­vello professionale Elia (Viviani, ndr). Aven­do sempre pra­ticato pista, già a Londra quando era in testa nell’Omnium che per­se all’ultima prova lo avevo come riferimento. Cor­ren­do al suo fianco anche su strada mi ha fatto crescere e completato come atleta».
Quanto pesa una medaglia olimpica?
Chiara: «Sto iniziando a capirne la portata dalle richieste di foto, autografi e interviste. Fa strano essere “famosi” per qualcosa per cui lavoriamo da una vita. A parte questo, la routine da ciclista è sempre la stessa, in fondo non è cambiato niente nelle mie abitudini, mentre chiacchiero con voi sono già tornata alle corse».
Simone: «A occhio e croce direi che pesa mezzo chiletto, anche se purtroppo sta già perdendo un po’ di colore. Risultati come quelli che abbiamo conseguito nelle scorse settimane pesano e non pesano. Ti danno tanto seguito, attenzioni, spazio sui giornali. Io non amo stare sotto i riflettori, ma ritengo un privilegio poter es­sere un esempio per i giovani. Più passano gli anni più capiremo che certi traguardi sono per sempre».
Come avete festeggiato il ritorno da Parigi?
Chiara: «Ad attenderci in areroporto il 12 agosto c’era lo striscione “3 me­daglie, 2 ruote, 1 cognome: Con­sonni. Siete nella storia” preparato da Stefania, la sorella di Alice, moglie di Simo dal 20 ottobre scorso. Arrivati a Brem­bate di Sopra, il nostro paese, alla sera ci siamo goduti una piccola festicciola con i parenti nella gelateria “Cre­ma e gusto” di nostra cugina Milena, che ci ha dedicato un gelato tipo torta della nonna ribattezzato gusto Con­son­ni. Con le amiche organizzerò una grigliata a casa mia appena tornano tutte dalle vacanze. Per una grande festa con Vittoria dovremo attendere fine stagione. Volete essere invitati? Volentieri, la lista è già più lunga di quella di un matrimonio e più siamo più ci divertiremo (sorride, ndr)».
Simone: «Mi sono curato le ferite riportate nella caduta della madison e ho cercato di stare con le persone più care, a partire da Alice. Stiamo insieme da 14 anni, da quando correvamo tra gli Allievi, lei secondo anno e io primo. È stata ed è fondamentale. Dopo l’oro di Tokyo ho subìto a livello mentale lo stare sotto i riflettori e un passo dietro ai miei compagni da prima pagina. Mi sono sempre allenato con corridori co­me Ganna, Milan e Lamon (il migliore al mondo nel suo ruolo quindi per me fenomeno quanto i primi due), stando “nel mezzo” del quartetto, letteralmente. Con vittorie e numeri inferiori ai loro non è stato facile convivere con la ca­ratura del nostro gruppo. Anche pri­ma di Parigi ho trascorso mesi difficili e intensi in cui tutti si aspettavano da noi il bis, come se fosse scontato ripetersi a così alti livelli. Senza il supporto e le strigliate di mia moglie non sarei tornaro a casa dalla Francia con due medaglie al collo».
Ora che programma avete per il finale di stagione?
Chiara: «Dopo le tre gare disputate in Belgio ad agosto, sto lavorando per farmi trovare pronta per il Campionato Europeo su strada del 14 settembre. Ovviamente non ho la certezza di essere convocata dal CT San­galli ma ci spero (Chiara dovrebbe es­sere la punta veloce insieme ad Elisa Balsamo, ndr). Per il finale di stagione, impegni con il team permettendo, vorrei ben figurare ai mondiali su pista del 16-20 ottobre in Danimarca».
Simone: «Io sono rientrato su strada al Renewi Tour e sono contento che Jonathan (Milan, ndr) abbia già alzato le braccia al cielo più volte al Deutsch­land Tour. Sarò al suo fianco anche ad Amburgo e se tutto andrà per il meglio all’Europeo del 15 settembre, per lanciargli la migliore volata possibile. Se fisico e mente mi sorreggeranno a ottobre vorrei fare bene anche io alla rassegna iridata su pista».
Nel 2025 indosserete la stessa maglia?
Chiara: «Io ho il contratto in scadenza con l’UAE Team ADQ, vedremo. Un punto fermo per l’avvenire sono le Fiamme Azzurre, che mi hanno sempre supportato e che mi danno tranquillità anche per quando un do­mani smetterò con l’agonismo».
Simone: «Io sì e non vedo l’ora di ri­pagare anche su strada la Lidl-Trek della fiducia che mi ha concesso l’anno scorso e del tempo che ha dato a me e Jonathan per inseguire i nostri sogni in pista».
Dove hanno trovato posto le medaglie?
Chiara: «Per ora la mia è in un piccolo contenitore sempre nella mia borsa. La porto in giro, per mostrarla un po’, poi resterà per tutta la vita in una teca che papà da buon falegname realizzerà su misura. Me l’ha promessa».
Simone: «Anche io per ora le sto portando in “pellegrinaggio” per condividerle con orgoglio con chi mi ha aiutato a conquistarle, come il preparatore Luca Quinti che mi segue da 5 anni e il biomeccanico Aldo Vedovati, al mio fianco da quando ero dilettante al primo anno alla Colpack. Uno di quelli per cui la domenica non esiste e quando ho bisogno c’è sempre. Penso che anche più avanti le lascerò “libere”, mi piace l’idea di poterle mostrarle agli amici e tirarle fuori ogni volta che vorrò».
Per cosa utilizzerete i premi CONI?
Chiara: «Non ho ancora avuto tempo di pensarci però forse potrebbe essere giunto il momento giusto per comprarmi una casa. Con la Guazza ci siamo ripromesse anche di farci un tatuaggio-ricordo con la data della no­stra vittoria e i cinque cerchi. Al disegno sta pensando Martina Fidanza (l’az­zurra due volte iridata nello scratch e con il quartetto nel 2022 anche con Chiara e Vittoria, ndr)».
Simone: «Come già era avvenuto dopo i Giochi di Tokyo, la priorità sarà ripagare tutti quelli che ci hanno permesso di arrivare su quel po­dio con i cinque cerchi. Divideremo i premi con lo staff, ogni componente del team merita un ricordo perchè ci ha dato tanto».
Altri sogni nel cassetto per il futuro?
Chiara: «Nelle prossime due stagioni mi concentrerò sulla strada, continuerò ovviamente a gareggiare in pi­sta ma non sarà la priorità come nel 2024. Devo crescere ancora tanto, l’esperienza mi aiuterà. La mia corsa preferita? La Paris-Roubaix. Quest’anno l’ho odiata, ma la amo e sarebbe un sogno poterla fare mia un giorno».
Simone: «Voglio continuare a fare bene con la squadra, essere sempre più protagonista nelle vittorie di Jonathan ed alzare le braccia al cielo con la ma­glia della Lidl-Trek se si creerà l’occasione. Guardando più in là, avendo vinto tre medaglie olimpiche, di cui due con il quartetto e una in coppia, mi piacerebbe salire sul podio olimpico da solo. Dopo aver fatto parte del “quartetto di Ganna” e aver chiuso il cerchio nell’ultima madison di Vi­viani, chissà che non pos­sa mettermi alla prova nell’Omnium. An­che se è difficile, sognare non costa nulla».
Da grandi come vi immaginate?
Chiara: «Sicuramente con una famiglia, vorrei avere dei figli. Il possibile padre? Ancora non si vede all’orizzonte ma non c’è fretta (ride, ndr)».
Simone: «Con tutti i ragazzini forti già in circolazione io mi sento già grande, ma da più grande anche io mi vedo con una famiglia allargata. Finita la carriera agonistica mi piacerebbe restare nell’ambito ciclistico, nel gruppo pista in particolare perché è molto tecnico. Non so in che ruolo e non voglio mettere alcuna pressione a Villa, ma mi piace capire, studiare, avere a che fare con i numeri. Spesso prima delle gare i compagni per scherzare mi mettono alla prova: a quanto dobbiamo girare per battere quel record? Su che tabella dobbiamo viaggiare per far registrare quel dato tempo?».
Quale super potere vorreste avere?
Chiara: «Leggere la mente delle persone. Non mi piace quando faccio fatica a interpretare chi ho da­vanti, con chi conosco bene ci riesco facilmente, altrimenti no. E poi odio le bu­gie».
Simone: «Il teletrasporto. Abbiamo tante cose da fare e non c’è tem­po per tutto. Vorrei essere più presente con Alice, parenti e amici. Io odio volare, mi fa paura».
Per chiudere, fatevi un augurio.
Chiara: «Tutto il meglio che si pos­sa desiderare, su e giù dalla bici. Al di là dei risultati sportivi, ti auguro di diventare un uomo come il nostro pa­pà, è il modello perfetto da seguire anche per quando con Alice mi farete diventare zia».
Simone: «Ti auguro la salute, che è fondamentale, e che la medaglia di Parigi ti dia più consapevolezza nelle tue potenzialità. Quello che hai fatto vedere è solo una parte di quello che puoi dare. Ne sono convinto».

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