Rapporti & Relazioni

LI FARO' INNAMORARE DI ALFONSINA

di Gian Paolo Ormezzano

Da qui al non-si-sa-che-giorno del 2024 può passare anche un anno e mezzo, ma già la cosa stuzzica, invoglia, solletica, insomma sfrucuglia. Torino, la città che ha fatto nascere e crescere lo sport italiano (mica obbligatorio pensare, spupazzandoselo adesso con tutti i suoi ad­dentellati loschi e foschi, che alla fine risulti in assoluto un buon affare…) si dà un Di­stretto Toponomastico dello Sport, su iniziativa di Maria Grazia Grippo presiden­te(ssa) del consiglio comunale, con l’appoggio di Va­lerio Lomanto responsabile della circoscrizione 6 che po­chi torinesi sanno dove è e se poi si dice che quella è la zo­na di strada Villaretto si fa piombare tanta popolazione nel buio assoluto.

Strada Villaretto è un non posto, una teoria di strada, una ipotesi di quartiere in una zo­na rigata e spesso sepolta da tangenziali e remota peri­feria. Nel quasi inglese che sta diventando la prima lingua italiana si dice “in the middle of no-where”, nel mez­zo del non dove. Strada Villaretto si evolverà, si esal­terà, si raggrumerà anche, grazie al Distretto To­po­no­ma­stico dello Sport, in piazza Luca Colosimo, dedicata ad un promettentissimo trentenne arbitro di calcio di serie A perito in un incidente d’auto al ritorno da una partita. Cosa buona e giusta incentrare l’iniziativa su di lui. Da piazza Luca Colosimo si dipartiranno - pensiamo - quattro vie, due dedicate al calcio e intitolate agli illustrissimi nomi di Giampiero Boniperti della Juventus e Giorgio Ferrini del Torino, una dedicata alla ciclista Alfonsina Strada, quella che corse sino alla fine con e contro gli uomini il Giro d’Italia del 1924, diventando la vera attrazione della corsa anche se fuori tempo massimo subito e da lì fuori classifica, attesa e applaudita e omaggiata di regali e an­che di denaro sulle strade della corsa, lei donna molto orbitante a Torino, città del suo primo marito Strada. Quarta via intitolata alla musa della ginnastica artistica Andreina Sacco, torinese maritata Got­ta a Roma col presidente della federazione del suo sport beneamato, lei che fu pure sette volte tricolore di atletica e ottima cestista, e che “inventò” la ginnastica ar­tistica, fatta anche di musica, di quelle che adesso chia­miamo farfalle e ci fanno sentire forti e bravi e fortunati con le loro vittorie e le loro grazie.

I due figli primogeniti di Boniperti e Ferrini, Giam­­paolo e Amos, mi hanno prenotato per quando ci sarà l’inaugura­zione. Dovrò aiutarli a fare tutto bene, con gesti teneri e forti e con parole giuste. Andrò per i 90 e la scelta dei due depone sulla loro affettuosa fede relativamente alla mia tenuta fisica e mentale: cercherò di non deluderli, è anche nel mio interesse au­­-tenticamente vitale. Ho visto nascere Giampaolo, quasi “dedicatomi” nel nome dal grande mio amico Giam­pie­ro, conosco Amos da lontano e ho sempre apprezzato il suo saper essere caldo e saggio figlio di. Ai due ho sempre detto quello che i calciofili del tempo mio san­no: Giampiero Boniperti e Giorgio Ferrini si stimavano assai, e Boniperti riteneva addirittura Ferrini il giocatore in assoluto più utile a qualsiasi squadra: Torino Italia Europa Mondo. Nei derby hanno sempre lottato duro e mai bisticciato brutto. L’occaso dei due è stato diversissimo: scaglionato nel tempo, sino al 2021, quello di Boniperti alla fine malato irreversibile nella memoria, imposto di botto da un ictus feroce, quello di Ferrini, nel 1976 dello scudetto di un Toro in cui Giorgio aveva lasciato il calcio appena l’anno prima.

Ho già deciso che, evitando di morire pri­ma dell’appuntamento, farò innamorare i due di Alfonsina, e se avranno cuore largo e mente at­tenta anche della ginnasta. Ma Alfonsina è impellente (emiliana, nasce Morini, diventa Strada a Torino e poi Messori a Milano), il suo cognome nell’anagrafe sua ciclistica sembra d’arte ed era invece quello di un torinese appassionato di ciclismo che se la maritò giovanissima. Lei, iscritta come Al­fons (senza indicazione di sesso) quando nel 1924 si of­frì, già celeberrima, al Giro d’Italia e gli organizzatori non sapevano se una donna poteva prendere il via, lei Alfonsina è morta a 68 anni cercando di avviare una mo­tocicletta renitente, sulla qua­­le seguiva le corse.

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