Rapporti&Relazioni
Juventus, per forza

di Giampaolo Ormezzano

Aiuto, continuo a ricorrere alla prima persona singolare. Sperando almeno che singolare sia davvero, sennò quanto scrivo non ha proprio senso.
Stavolta devo ringraziare la Juventus. Mai avrei pensato di arrivare a questo nella vita. A maggio uscirà un mio libro che si intitola “Il vangelo del vero antijuventino”, e dentro ci sono sessanta e passa anni (ne ho settanta, ho cominciato presto) di religione granata, ora solare ora catacombale, ora alpinistica ora speleologica. Ci sono, dal 1949 della tragedia di Superga, cinquanta e passa anni di supremazia juventina, nelle statistiche e non nei cuori della città mia che è Torino (di quanto capita altrove me ne frega assai meno). Ho scritto il libro davvero di getto, l’avevo tutto dentro, forse senza le comodità del computer non ci sarei mai arrivato. Lo pubblicherà Armenia che ha pubblicato “Il gobbo d’Italia” di Marcello Chirico, apologia del tifoso juventino. Ma la mia non è una risposta a quel libro di successo. Non ritengo i tifosi juventini capaci di dialogo, sono troppo superbi, e di ragionamento e riflessione, sono incolti dell’incultura tipica dei ricchi. Dunque ritengo inutile ogni risposta a loro. Ho scritto il libro per me e per quelli granata come me e per quei molti che non tifano Juve e per quei pochi che tifano Juve ma non ne possono più: del club, della squadra, degli arbitri amici, di se stessi.

Ma non divago più. Devo dire perché ringrazio la Juventus. Perché con il processo per doping, con la sentenza per doping e la motivazione di essa, con la sua indubbia fama, con la sua protervia legata alla sua forza mediatica e sfociata a voler far credere che la società sia stata assolta anche se il medico sociale, il sanitario responsabile, è stato condannato, la Juventus ha fatto qualcosa o molto per il ciclismo. E persino per il calcio, se il calcio riuscirà a capire la strapotenza-strafottenza bianconera.

Per prima cosa la Juventus ha permesso di sapere che il doping, compreso il suo risvolto insieme facile e tremendo che si chiama Epo, non è cosa soltanto del ciclismo. Quelli del calcio non solo sono riusciti a credere in questa esclusiva negativa del mondo della bicicletta, ma persino per lungo tempo a farlo credere. Ci sarà l’appello, è vero, la sentenza può cambiare, ma resta il fatto che una società di calcio è ormai una farmacia molto più fornita di quelle di tutte le squadre ciclistiche messe insieme. Si potrà disquisire, a colpi di perizie e superperizie, sull’efficacia di questo o quel prodotto, sulla liceità persino di prodotti che magari i regolamenti “anti” si sono dimenticati di elencare, o non hanno elencato anche in termini quantitativi, ma resta il fatto che grazie alla Juventus il matrimonio fra chimica farmacologica e sport del calcio è stato infine celebrato ufficialmente. Si potrà dire che la Juventus ha pagato per tutti e comunque più di tutti, ma questo tipo di ragionamento ricorda troppo quello di chi ruba e respinge la condanna perché sono in tanti a rubare.

Aquesto punto nasce in me un dubbio davvero atroce: se la Juventus fa qualcosa per il mio ciclismo amatissimo, va a finire che io mi ammorbidisco verso la Juventus? Il rischio esiste, sto lottando, aspetto le sentenze di secondo e magari terzo grado, ma insomma non me la sento di escludere che se davvero la società bianconera farà, sia pure indirettamente e senza assolutamente volerlo, qualcosa per alleggerire la cappa di sospetti ed anche di colpe chimiche che sta sul ciclismo, non ce la farò più a scrivere il secondo volume dell’opera immensa e doverosa, il vangelo appunto del vero antijuventino, un vangelo in continuo divenire, che ho cominciato a scrivere e a dare alle stampe. Questa può essere una buona notizia per il mondo bianconero, e magari anche per quello dell’editoria non più da me chiamato ad accompagnarmi in certe avventure perigliose, questa può essere una notizia che non scalfisce assolutamente il mondo granata e più in esteso il mondo antibianconero (sarei troppo presuntuoso se credessi di contare, di indirizzare, di convincere), questa non può essere una buona notizia per me, che vado verso i settanta e mi tengo su, con un’età biologica che i medici dicono assai inferiore come cifra a quella anagrafica, vampirizzando ogni strumento per scrivere (dopo centocinquanta milioni - secondo un calcolo per difetto - di pressioni secche delle mie dita sui tasti, mi sembra adesso che i tasti salgano morbosamente verso le dita stesse). Francamente non so cosa sarebbe di me senza una Juventus “contro”, specie adesso che il ciclismo, in cui sono cresciuto viziato da Bartali e Coppi, Gimondi e Motta, Saronni e Moser, persino Maspes e Gaiardoni, ed anche Bobet e Anquetil, Gaul e Merckx, Hinault e Indurain, Pantani e nessun altro come lui nel bene e (per me) soprattutto nel male, e mi dà meno emozioni.

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Nulla e nessuno ha sostituito giornalisticamente quegli articoli dell’autunno o inverno in cui il ciclista rivedeva con il giornalista la stagione appena conclusa e spiegava gli insuccessi, centuplicava i successi e garantiva cose strepitose per la stagione a venire. Adesso la formula è stata trasferita sui più scenosi personaggi della Formula 1: l’inverno dei piloti - compreso l’ultimo che ci siamo lasciati faticosamente dietro - è molto simile, giornalisticamente parlando (chiaro che mi riferisco soprattutto ai quotidiani sportivi), a quello di una volta dei ciclisti. Persino con le parentesi nelle località sciatorie, “a fare provvista di ossigeno”. Più o meno il copione è lo stesso, un po’ di quiete famigliare, caminetto acceso insomma, revisione del passato, programmazione del futuro. Si parla dell’automobile e delle sue caratteristiche più che della bicicletta, si capisce, e si respira un’altra aura economica, ma persino certe frasi sono le stesse, tutte egualmente finte ed intanto egualmente credibili. La sola differenza, ma il lettore non può accorgersene se non ha almeno mezzo secolo di lettura, sta nel fatto che il giornalista dell’automobilismo ha dovuto insistere per essere ammesso, pochi minuti, al cospetto del grande campione dell’auto, mentre il giornalista del ciclismo quasi quasi dal grande campione della bici veniva affettuosamente convocato.
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