Roglic, la terza Vuelta per scordare il Tour

di Francesca Monzone

Primoz Roglic ha conquistato la sua terza corona alla Vuelta, ma prima di parlare di questo successo, bisogna fare un salto indietro e tornare al mese di giugno, quando lo sloveno, sempre da favorito, ero pronto a far sua la Grande Boucle. La Francia sulle sue strade aveva preparato il campo di battaglia per i due sloveni più forti al mondo, Primoz Ro­glic e Tadej Pogacar. Tutto era pronto, ma ancora una volta Primoz era stato costretto a inginocchiarsi di fronte ad un destino crudele.
Dopo una lunga e silenziosa preparazione, il capitano della Jumbo Visma, è  caduto nella terza tappa ed è poi stato costretto al ritiro a Tignes, su quelle Alpi che conosce a perfezione.
Ma corridori come Roglic non si abbattono e, dopo aver lavorato sia sulle ferite esterne che su quelle interne, si è fatto trovare pronto per l’appuntamento olimpico, andando a conquistare l’oro nella prova a cronometro.
Così Primoz ha mostrato al mondo intero di avere un carattere forte, presentandosi alla partenza della Vuelta di Spagna come grande favorito, a caccia della terza vittoria consecutiva. Nella corsa a tappe “delle cattedrali” (partenza dalla cattedrale di Burgos, conclusione a quella di Santiago di Compo­stela), lo sloveno ha voluto e saputo riconquistare la sua maglia rossa, per entrare nella storia della corsa, cercando un riscatto o la completa re­den­zione.
Un passo indietro. In una mattina di luglio, sulle rive del Lago di Tignes, i corridori della Jumbo Visma lasciano il lodge dove si è stabilita la squadra. È il primo giorno di riposo del Tour de France ma manca Primoz Roglic che, vestito di con una tuta e non con pantaloncini e scarpini, è un po’ più lontano, quasi abbandonato su una sedia da campeggio, e guarda i compagni che iniziano il loro lavoro. Poco dopo ci arriverà il comunicato ufficiale, con quella sentenza difficile da accettare.
«So che il ciclismo è fatto di alti e bassi - aveva detto Roglic dopo il suo ritiro a Tignes -. È difficile da accettare tutto questo, ma sappiamo che può accadere a chiunque».
Sulle strade del Tour la Jumbo-Visma si è riorganizzata, concludendo il Tour al secondo posto con Vingegaard e con Van Aert che ha vinto una cronometro e la volata finale a Parigi, oltre alla tappa con arrivo a Malaucene. Intanto il campione sloveno ha lavorato in silenzio per ritrovarsi e tornare a combattere. A fine luglio Roglic è tornato e ha conquistato la medaglia d’oro nella prova a cronometro e da Tokyo ha pun­tato dritto verso la “sua” Spagna.
A Burgos si parte subito con una cronometro e per onorare la medaglia olimpica la bici dello sloveno è di color oro. In Spagna il suo av­versario non sarà il connazionale Tadej Pogacar, ma il vincitore dell’ultimo Giro d’Italia, il colombiano Egan Ber­nal.
Roglic con la Vuelta ha una storia straordinaria, un filo invisibile che lo collega a tre anni della sua vita, quando lui in maglia rossa, ha dovuto attraversare momenti di gioia e di dolore per raggiungere il successo. Nel 2019, era caduto rovinosamente durante la cronometro inaugurale e aveva già perso quasi un minuto sui suoi rivali. Quella sera aveva telefonato alla sua compagna Lora e le aveva raccontato tutta la sua disperazione.
«Che senso ha allenarsi così duramente per cadere già il primo giorno»?
Quella era la disperazione di Roglic che vedeva Madrid come un miraggio lontano, mentre lui si sentiva come un naufrago in un mare in tempesta. Lo sloveno, spinto dalla compagna che lo avrebbe seguito in tutte le tappe, risalì in sella con una nuova prospettiva, quella di inseguire una vittoria non im­possibile.
Alla fine ha funzionato e Roglic in ma­glia rossa è arrivato a Ma­drid, diventando un eroe per la Slo­venia.
Era il 3 settembre quando ha sfilato la maglia a Nairo Quintana, al termine di una cronometro di 36,2 km: da lì, sei giorni in maglia rossa per un trionfo finale ottenuto davanti ad Alejandro Valverde e Tadej Pogacar.
Roglic e la sua Jumbo Visma hanno lavorato tanto per capire il motivo delle continue cadute. Primoz al ciclismo è arrivato tardi e ha dovuto imparare a correre in gruppo, probabilmente è proprio questo ritardo che lo portava a commettere errori che finivano in ca­dute.
Lo scorso anno, in Spagna, il duello è stato con Richard Carapaz e, tra alti e bassi, lo sloveno si è preso la vittoria in una Spagna segnata brutalmente dal Covid. Roglic era reduce dall’incredibile Tour ceduto a Poga­car al termine della cronometro de La Planche des Belles Filles.
C’è il Covid e la Vuelta, in una Spagna piegata dal virus, decide di correre solo 18 tappe, rinunciando alle tre frazioni estere. Que­sta sarà una corsa con solo due protagonisti: lo sloveno e il vincitore del Giro del 2019 Richard Carapaz. Roglic il 20 ottobre si veste immediatamente di rosso e lo porterà fino ad Ara­mon For­migal, dove la spagnolo Ion Izagirre, in ma­glia Astana, vincerà staccando Woods e Costa. Pochi giorni e il 30 ottobre Roglic riconquista tappa e maglia difesa fino all’Alto de El Angliru, quando Carapaz gliela toglierà per poche ore: dopo il giorno di riposo, la cronometro di Mirador de Ezaro riporterà la maglia a Roglic, che la terrà fino a Madrid, per un totale di 13 giorni in maglia rossa.
La Vuelta di quest’anno è di­versa, la Spagna post Covid vuole che la corsa sia benedetta e in segno di gratitudine per le vite risparmiate, partenza e arrivo avvengono da due cattedrali: Burgos e Santiago de Compostela.
Roglic alla vigilia dice di non essere lui il favorito, vuole di­vertirsi in corsa, godersi ogni giorno di gara e sposta l’attenzione su altri corridori, una tattica voluta per correre sulle strade spagnole senza troppe pressioni.
Roglic ha l’oro olimpico della ga­ra a cronometro al collo e a Burgos, sarà proprio una prova contro il tempo a dare il via alla corsa. È il 14 agosto e lo sloveno domina i 7 km del percorso, chiudendo davanti ad Aramburu e Tratnik.
È questa la Vuelta dei colpi di scena e dei colpi di testa, con il colombiano Miguel Angel Lopez che nella penultima tappa abbandonerà la corsa per aver perso il podio in preda ad una cri­si di nervi. Roglic indossa la maglia rossa sempre con il sorriso e parole pa­cate, senza proclami. Lo vedremo alzare le braccia nella tappa numero 11, poi nella diciassettesima e nel gran finale a Santiago de Compostela.
Siamo davanti ad un corridore felice, che ha conquistato per la terza volta consecutiva la corsa spagnola. Un nuo­vo record questo che forse non cancellerà del tutto le ombre su quel Tour de France ancora sfuggito e la possibilità di misurarsi con Tadej Pogacar, ma dà nuova consapevolezza allo sloveno.
«Mi sembra tutto folle. Qualche volta si vince con molto vantaggio, altre vol­te con poco, ma vincere è sempre molto divertente. E sapere che posso avere un posto nella storia della Vuelta mi fa piacere, anche se non sono molto attento alle statistiche».
Da quando la corsa è partita spesso si è parlato di numeri, perché ci sono Tony Rominger e Alberto Contador che la corsa l’hanno vinta tre volte e Roglic potrebbe essere il terzo uomo a raggiungere questo primato e forse, anche l’unico capace di arrivare a 4 vittorie come fece Roberto Heras. Roglic è sempre sorridente e quando guarda il bordo della strada sa che troverà gli occhi della sua Lora, l’unica persona capace di consolarlo e spingerlo verso un nuovo traguardo.
Lei è la figura chiave nella vita del campione, sempre al suo fianco, e con il loro bambino Lev lo segue ovunque. La vediamo su un camper accompagnata dal fratello sulle strade del Tour e poi è sempre lei ad accompagnarlo nei lunghi ritiri alpini. Lora è la donna che sa stare un passo dietro al suo uomo, che raccoglie ogni singolo attimo del loro vissuto in gara e poi lo riporta sulle pagine di un libro, in cui racconta la sua esperienza di moglie al seguito della corsa.
Roglic in Spagna è sempre stato attento e la sua Jumbo Visma, aveva costruito un’autentica fortezza intorno a lui, perché tutti sanno bene che le insidie sono nascoste dietro l’angolo. Il giorno di gloria dello sloveno arriverà il 1° settembre, a quattro giorni dalla conclusione della corsa, quando taglierà per primo il traguardo sui laghi di Cova­don­ga. Roglic ha la vittoria finale chiusa dentro una cassaforte e da questo momento deve solo cercare di conservare il vantaggio, che potrà migliorare nell’ultima giornata, quando sulla Vuelta scenderà il sipario con la cronometro di Santiago de Com­­postela.
«Nel ciclismo ci sono sempre dei rischi, possono succedere tante cose. Ma oggi è andata bene e mi sono divertito tantissimo. È stata una grande giornata per me e per tutta la squadra. Non ho pensato a molte cose, ero rimasto solo con Egan Bernal e abbiamo offerto una vera gara al pubblico, un grande spettacolo».
Quella diciassettesima frazione era stata scelta da Egan Bernal per cercare di portare a casa un risultato prestigioso, con il colombiano re del Giro d’Ita­lia che non riesce a tenere il passo del­lo sloveno e anche quel giorno si è dovuto arrendere alla sua superiorità.
«Egan non riusciva a tenere il mio passo, quindi sono andato da solo. Pen­­so che questa sia stata la mia mi­gliore prestazione alla Vuelta. Il vantaggio in classifica generale non è mai ab­bastanza, ma va bene così come stiamo facendo». I distacchi per Roglic sono numeri che rientrano in quelle statistiche che tanto lo fanno sorridere, ma questa volta hanno un significato diverso.
Al Tour del 2020 la Jumbo Visma ave­va fatto male i propri calcoli e il vantaggio che aveva messo da parte non è stato sufficiente a proteggere lo sloveno dall’imboscata di Pogacar.
La lezione è stata recepita rapidamente dal team olandese e, superati gli incubi post Tour, anche Roglic aveva imparato l’importanza di quei numeri. A San­tiago de Compostela Primoz ha stravinto la sua terza Vuelta, chiudendo con un vantaggio di 4’42” da Mas e 7’40” su Haig.
Un Giro di Spagna questo in cui lo sloveno ha sempre navigato da solo, inseguito dai suoi avversari, primi tra tutti gli uomini della Movistar ed Egan Ber­nal. Ancora una volta l’uomo dallo sguardo di ghiaccio ha imposto la sua legge, ha fatto il suo show, sorprendendo anche quando ha annunciato che non avrebbe partecipato alla prova a cronometro del Mondiale in Belgio. Per Roglic c’è stato invece il Mondiale in linea di Lovanio, affrontato con la consapevolezza che non avrebbe vinto, anche se in alcuni momenti è stato da­vanti per provare a lasciare un segno. La Roubaix non è la sua corsa e così l’ex saltatore con gli sci, che aveva venduto la sua moto per comprare una bici, ha iniziato il periodo di riposo.
Si godrà la sua famiglia e la Slovenia, il suo Paese, dove viene considerato una sorta di ambasciatore nel mondo. La famiglia, gli amici e gli affetti sono al primo posto per Roglic e anche al termine dell’ultima giornata di Vuelta, quando è salito sul palco per ricevere il suo premio, a tutti ha voluto ricordare che grazie alla famiglia, alla squadra e agli amici è riuscito ad ottenere quel risultato.
«Se sono qui oggi è grazie a quelle persone che sono state con me nei mo­menti difficili, mi riferisco alla mia fa­miglia, alla mia squadra e ai miei amici. Loro erano con me quando sono caduto e ogni volta mi hanno aiutato a rialzarmi e sento di doverli ringraziare tutti».
La Terza Vuelta di Primoz Roglic si è conclusa quindi con un ringraziamento molto sentito verso chi lo ha sempre so­stenuto. Il 2021 è stato per lui un anno ma­gico e maledetto, partito bene con i tre successi di tappa alla Parigi-Nizza, anche se la corsa gli è sfuggita proprio all’ultima tappa, e ancora i ri­sultati ottimi ai Paesi Baschi, con un successo di tappa ma anche la classifica generale, quella a punti e la classifica del miglior scalatore.
Alla Freccia Vallone è arrivato secondo alle spalle di Alaphilippe e poi è arrivata la delusione del Tour de France, cancellata dall’oro di Tokyo e dal trionfo alla Vuelta. In Spagna è tornato per placare le sue ansie e riprendersi la vittoria: obiettivo raggiunto.
Ora il riposo e poi di nuovo al lavoro in vista della nuova stagione e soprattutto di quel Tour de France che finora lo ha respinto e che nel 2022 potrebbe finalmente essere suo.

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