Roglic: «Il Tour, i Giochi...»

di Francesca Monzone

In un anno difficile, pieno di in­certezze come quello che abbiamo da poco mandato in archivio, Primož Roglicč è stato uno dei protagonisti indiscussi della stagione sportiva. Lo abbiamo vi­sto sempre al comando, pronto ad at­tac­ca­re, con quel suo sguardo difficile di in­terpretare. Lo sloveno ha corso per 51 giorni in quattro mesi e mezzo, conquistando 12 vittorie, cinque delle quali nei Grandi Giri. Per undici giorni ha in­dossato la maglia gialla di leader al Tour de France, concludendo alla fine secondo. All’apparenza freddo e calcolatore, proprio al Tour de France ha mostrato anche il suo lato più umano, cercando in ogni finale di tappa gli sguardi della moglie e del figlio a bordo strada e poi regalando quel lungo silenzio con gli occhi smarriti nel vuoto do­po la clamorosa sconfitta nella cronometro decisiva a La Planche des Belles Filles.
Una sconfitta cancellata a suon di vittorie, con il trionfo prima alla Liegi-Ba­stogne-Liegi e poi alla Vuelta Espa­ña, conquistata per il secondo anno consecutivo.
La sua prossima stagione inizierà con la Parigi-Nizza per proseguire con Pae­si Baschi, Classiche delle Ardenne e il Delfinato prima del Tour de Fran­ce, puntando poi alle Olimpiadi di Tokyo. Sarà un anno ricco e difficile il suo, perché quando hai dominato una stagione come ha fatto lui, ottenere lo stesso risultato o addirittura migliorarlo non è assolutamente scontato. An­dre­mo a scoprire un Primož Roglicč diverso.
Come si sta preparando per affrontare la nuova stagione in cui permane il problema del Covid?
«Sono da poco rientrato a Monaco per prepararmi per la prossima stagione. Sono stato in Slovenia dalla mia famiglia che ho rivisto per le feste. Mi sto allenando principalmente da solo, ma sono abituato alla solitudine, lo facevo anche prima quando ero un atleta di salto con gli sci».
In quale modo ha iniziato la sua preparazione?
«Faccio tante cose diverse, non vado solo in bicicletta, vado anche a correre e faccio delle sessioni di allenamento al coperto. Insomma ho una preparazione che varia molto».
Fino allo scorso giugno a causa del Co­vid-19 il suo allenamento è stato sicuramente diverso: come ha gestito quel periodo?
«È stata la fase di preparazione più difficile perché a me non piace fare allenamenti al chiuso e in quel periodo ho potuto solo allenarmi con rulli e palestra. Ma adesso mi ritengo fortunato perché ho la possibilità di allenarmi sia fuori che all’interno».
Siamo in inverno e lei viene dallo sci: com’è stato il passaggio dallo sci al ciclismo?
«Per 15 anni sono stato un saltatore con gli sci. Quando ho smesso avevo capito che volevo diventare qualcos’altro, del ciclismo conoscevo solo il Tour de France e il Giro d’Italia che vedevo in televisione. Per acquistare la mia pri­ma bici da corsa e iniziare a fare qualche gara, ho venduto la mia motocicletta. Ho iniziato a fare ciclismo a 22 anni, la mia prima bici era una Energia, una bici di marca slovena che presi vicino a Lubiana, ben diversa da quelle che utilizzo adesso».
La sua è stata un’evoluzione incredibile, in poco tempo da corridore amatoriale è diventato un grande campione. Come si è preparato in questi anni?
«Fin da subito sono stato molto determinato, perché sono partito in ritardo rispetto agli altri e per questo ho cercato di dare immediatamente il massimo. Sapevo di avere delle possibilità e ho cercato di seguire il programma di allenamento e quello che diceva il mio allenatore. L’ho conosciuto grazie ad un libro di ciclismo scritto da lui e così lo contattai: dopo avermi visto decise di allenarmi».
A quel tempo quanto venne preso sul serio come ciclista?
«Allora non avevo idea di cosa sarei diventato, perché venivo dal salto con gli sci, uno sport sicuramente meno duro rispetto al ciclismo. Non c’era niente di serio, mi dissero che avrei potuto provare e dimostrare le mie ca­pacità. Onestamente penso che in po­chi mi avessero preso seriamente e ri­pensandoci oggi mi viene da ridere».
Lei veniva da uno sport individuale, quanto è stato difficile abituarsi a correre in gruppo?
«Per me è stata una delle lezioni più difficili, un vero e proprio apprendimento doloroso, all’inizio mi sentivo schiacciato, mi sono dovuto abituare a stare in gruppo, usando la giusta tattica. Non è stato uno dei momenti più belli, ma alla fine ce l’ho fatta. Ho sempre creduto in quello che volevo essere e ho lottato sempre per andare avanti».
Perché ha deciso di andare in bicicletta?
«Ogni anno vicino casa mia c’era una gara di ciclismo amatoriale, così comprai una bici e decisi di provare a di­sputarla. An­che alcuni miei vicini di ca­sa avevano le bici e uscivamo insieme, alla fine avevo capito di essere dotato per gli sport di re­sistenza e che forse il ciclismo era quello che volevo veramente fare».
Non ci sono ciclisti sloveni molto famosi, esiste qualche modello al quale si è ispirato?
«È difficile, siamo appena due milioni di persone, non abbiamo squadre World Tour, ma solo due team Con­ti­nen­tal, non avevo dei modelli. Sapevo che esistevano il Giro e il Tour, mi ap­passionavo quando vedevo la corsa at­traversare le montagne con tutta quel­la gente. Lo ricordo come un mo­mento incredibile, veramente spettacolare».
Lei è arrivato presto nel World Tour ed è entrato in una squadra importante come la Jumbo Visma. Si è dovuto subito misurare con grandi corridori. Come ricorda quel periodo?
«Ho gareggiato subito con corridori im­portanti come Contador, quindi per me che ero all’inizio era qualcosa di fantastico. Comunque ricordo che lavoravo sodo ed ero determinato nel cercare di raggiungere i miei obiettivi e già dimostravo le mie capacità a cronometro. È stato fantastico quando nel 2017 ho iniziato a vincere. Quell’anno ero caduto in una corsa e poi di nuovo altre due volte e avevo diversi problemi causati dalle scivolate. Ma sapevo di po­ter conquistare una vittoria, quindi è stato un sogno che si è avverato».
All’inizio aveva capito quali erano le sue attitudini?
«Se devo essere sincero, non sapevo molto di ciclismo. Non amavo tanto le Classiche o altri tipi di gare, ma alla fine avevo capito che dovevo ottimizzare il mio lavoro e concentrarmi su ciò che mi veniva meglio. Ho capito che ero portato per le corse a tappe e quindi mi sono concentrato maggiormente su quello».
Lei è stato in assoluto uno dei primi atleti che ha lasciato uno sport dove gareggiava ad alto livello per passare al ciclismo. Pensa che adesso sia più facile fare questo tipo di passaggio oppure lei è un’eccezione?
«Dire certe cose dopo che ho avuto successo come corridore è più facile. Alla fine, prima devi avere un’opportunità di fare questo passaggio e poi devi metterti alla prova. Io ho fatto quello che volevo fare fin dall’inizio, quando ho lasciato il salto con gli sci. Penso comunque che sia bello che i direttori sportivi ora possano andare un po’ fuori dagli schemi per guardare un po’ più lontano, per vedere se ci sono altri talenti di altri sport che possano diventare dei buoni ciclisti».
Pensa di essere stato facilitato a correre in gruppo con l’uso delle radioline?
«Onestamente non ricordo di aver utilizzato le radioline quando ero alla Adria Mobil. La cosa più importante per me era imparare a correre con la squadra e con il gruppo. Mi concentravo su come doveva essere gestita la gara e come fare le mosse giuste e co­me prendere le decisioni giuste. Penso che più importante delle radioline ci sia la capacità di spingere bene sui pedali».
Lei affronta le discese con molta determinazione, si spinge molto oltre, rispetto ad altri corridori. Pensa che questo suo rapporto con la discesa arrivi dal salto con gli sci?
«Nello sci tutto è totalmente diverso. Na­turalmente ero già abituato alla ve­locità, non ho paura di velocità e discese. Mi piace sentire il vento sul viso. Proba­bil­mente sì, il modo in cui af­fronto le discese è un’eredità del salto con gli sci».
Lei corre su strada, ma pri­ma aveva mai preso in considerazione la mountain bike?
«Veramente mai. La mia prima bici era una bici da corsa e sono rimasto fedele alla prima scelta che ho fatto».
La sua squadra è stata una delle più competitive quest’anno. Si aspettava di partire per il Tour come squadra favorita?
«Sentivamo di essere più forti rispetto agli altri e come squadra da subito ab­biamo dimostrato di essere ad altissimi livelli. È stato bello vedere come abbiamo continuato a crescere e penso che continueremo a farlo».
Questa stagione è stata segnata dal Co­vid, avete affrontato un Tour in piena emergenza sanitaria: come si vive una cor­sa senza sapere se si potrà arrivare all’ultima tappa?
«È qualcosa a cui non ho pensato, do­vevo rimanere concentrato sulla cor­sa, sul tipo di strategia da adottare e a sul difendere la classifica. La corsa è stata molto dura e ho dovuto pensare a me stesso e a come approcciarmi alla gara. Non c’era il tempo di pensare a queste cose».
Dopo il Tour molto duro è partito subito per i Campionati Mondiali e le Classi­che. A livello mentale, dopo uno sforzo importante come il suo in Francia, come si riparte?
«Come ho detto, vado di gara in gara, noi lottiamo ogni giorno per questo. Nel ciclismo non importa se ieri hai perso o hai vinto, il giorno dopo devi essere pronto per af­frontare una nuova corsa e quello che hai fatto in precedenza non conta. Avevo semplicemente voglia di vincere an­cora e ho lottato per farlo e alla fine è stato bello quando sono riuscito ad ottenere la vittoria».
Parliamo del finale della Liegi-Bastogne-Liegi dove lei ha vinto: cosa è successo in quegli ultimi metri?
«Ho perso molte gare per questione di centimetri, succede. Ho visto che Ala­philippe stava già festeggiando e ho pensato che probabilmente avrei po­tuto ancora farcela. C’è sempre una grande lotta negli ultimi centimetri di gara, qualche volta hai la possibilità di vincere e altre volte ti capita di perdere. Questa volta sono stato fortunato io e sono contento di aver vinto».
Come ha affrontato la Vuelta dopo la de­lusione del Tour?
«È stata una sfida ma i ragazzi del mio team mi hanno supportato, sono stati fantastici. Abbiamo lavorato pensando ad affrontare una tappa alla volta, alla fine è andato tutto nel modo migliore e abbiamo conquistato la corsa».
Lei ha un tatuaggio molto particolare sul braccio, una croce: cosa rappresenta per lei?
«È una croce cattolica, ma non ho deciso di farla per il suo significato religioso. Rappresenta il mio credo nel condurre una vita rispettosa e onesta, il mio credo personale».
Durante il lockdown sono iniziate le gare di ciclismo virtuale. Ha partecipato a qualche gara?
«Sì in primavera, quando c’è stato il primo blocco. Ma non sono così bravo in questo tipo di gare, non sono mai riuscito a stare davanti».
Tirando le somme, che anno è stato per lei il 2020?
«Un anno molto positivo per me dal punto di vista sportivo. Ho vinto la Lie­gi e la Vuelta in una stagione insolita. Un anno difficile per tutti, nessuno poteva immaginare che cosa sarebbe successo».
Lei quest’anno ha vinto in corsa ma an­che fuori dalle competizioni, ricevendo dei riconoscimenti importanti. Che effetto le fa?
«Ognuno di noi può essere un atleta eccezionale, ma è anche una persona. Ogni atleta fa del suo meglio per essere il migliore, se la gente ha voluto assegnarmi dei riconoscimenti è perché mi ha giudicato in modo positivo e io so­no estremamente felice di questo».
La squadra UAE Emirates di Pogacar ha già annunciato che vaccinerà atleti e staff contro il coronavirus negli Emirati Arabi Uniti a gennaio. Lei cosa pensa riguardo ai vaccini?
«Voglio precisare che dalla mia Jumbo Visma non sono ancora arrivate indicazioni e dobbiamo ancora parlare di que­sto. Per quanto riguarda il mio punto di vista personale, penso che noi giriamo il mondo e che tutte le persone come noi che viaggiano ovunque do­vrebbero essere vaccinate».
Lei ha già gareggiato ai Giochi Olimpici di Rio de Janeiro nel 2016: è arrivato 26° nella corsa su strada e 10 ° nella crono. Le Olimpiadi di Tokyo potrebbero essere un appuntamento importante per lei?
«Le Olimpiadi sono davvero una sfida. Non è un appuntamento annuale come il Tour e tutte le altre gare. È qualcosa di speciale, ma per me, che vengo dagli sport invernali, sono qualcosa di ancora più im­portante e mi piacerebbe essere nella migliore forma possibile anche a Tokyo. Ma so che sarà molto, molto difficile, dato che ho intenzione di correre il Tour e le due gare sono molto ravvicinate».

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