
di Paolo Broggi
Un principe per la Regina. Un principe del pedale come Philippe Gilbert, 36 anni suonati e una serie infinita di vittorie, per la Regina delle classiche: la Parigi-Roubaix.
Al terzo tentativo - mica cento - la Roubaix entrata a far parte della preziosa quadreria di vittorie del vallone e va ad arricchire un bottino che arriva ora a contare 75 vittorie in carriera.
Basta buttarci un occhio, avere la pazienza di scorrere velocemente quello che ha saputo fare e raccogliere questo fantastico corridore nato ai piedi della Redoute, una delle côte simbolo della Liegi. Oltre alla Roubaix, Gilbert ha vinto un Fiandre (nel 2017), quattro Amstel (nel 2010, 2011, 2014 e 2017), una Freccia (nel 2011), una Liegi (nel 2011), due Lombardia (nel 2009 e 2010) oltre a due Parigi-Tours (nel 2008 e 2009), tre tappe al Giro, una al Tour e cinque alla Vuelta. In mezzo a tutto questo, tanto per gradire, il titolo di campione del mondo in linea a Limburgo nel 2012.
Ora di corse Monumento ne ha quattro: Fiandre, Roubaix, Liegi e Lombardia; gli manca solo la Sanremo per completare la personalissima collezione monumentale di Monumenti, che già così lo pone tra i grandissimi cacciatori di classiche di sempre. Davanti a lui solo tre fuoriclasse del pedale dai nomi altisonanti come Eddy Merckx, Roger De Vlaeminck e Rik Van Looy, tutti fiamminghi. Era dagli Anni Ottanta, da Sean Kelly, che un corridore non centrava quattro Monumenti su cinque.
«Lo so, inizialmente sembrava una cosa da pazzi - ha spiegato Gilbert, felice come poche altre volte nella sua vita -, un’ambizione folle. Ma io come corridore sono fatto così: mi piacciono questo tipo di sfide. Solo così sono arrivato a pedalare fino a quasi 37 anni. Se riuscirò a vincere un giorno anche la Sanremo? Io ce la metterò tutta, perché sento che è un traguardo possibile. Quando decisi di correre con Patrick Lefevere, glielo dissi: tu guidi la squadra più forte del mondo per le corse di un giorno, ma io sono quello che fa per te, perché inseguo dei sogni e li realizzerò assieme a te. Voglio due bonus, gli ho detto prima di firmare. Li voglio per la Sanremo e la Roubaix. Posso farcela. Lui mi ha guardato negli occhi e poi mi ha risposto “Se ci credi tu, ci credo anch’io. Andata”».
Impresa straordinaria quella realizzata da Philippe Gilbert, alla terza Roubaix della sua carriera. Vittoria netta e meritata per il fuoriclasse della Deceuninck Quick Step, che ha attaccato da lontano facendo esplodere la corsa tra i big e poi ha battuto allo sprint il venticinquenne tedesco Nils Politt della Katusha Alpecin, già quinto al Fiandre e settimo un anno fa alla Roubaix, l’unico capace di restargli a ruota.
L’azione che spezza letteralmente la corsa nasce a 67 km dal traguardo, con l’attacco portato da Gilbert, Selig e Politt. A loro, nel settore numero 12 risponde molto bene il trionfatore di un anno fa Peter Sagan, il quale si porta dietro Van Aert, Vanmarcke, Lampaert, Sarreau e Laporte. La resistenza dei due francesi, però, è minima e ben presto si forma al comando un sestetto composto da Gilbert e Lampaert, Sagan, Van Aert, Vanmarcke e Politt.
A 23 chilometri dal velodromo l’attacco di Gilbert, Sagan e Politt costa caro a Van Aert. A 13 km dalla conclusione altro attacco di Gilbert con la risposta di Politt e la resa di Sagan. La storia della Roubaix numero 117 è segnata ed è definitivamente scritta con la volata senza storia e per la storia di Gilbert. Politt è secondo, Lampaert terzo, con Sagan quinto.
«Amavo il modo di correre di Bartoli e Museeuw, i loro attacchi da lontano: mi facevano sognare e a loro mi sono ispirato. Purtroppo sono stato male alla vigilia del Fiandre, altra corsa alla quale tenevo in maniera particolare, e sono stato costretto al ritiro, ma alla Roubaix non ho sbagliato nulla. Politt?
Ci eravamo trovati in fuga insieme già un anno fa e non poteva capitarmi compagno d’avventura migliore perché Nils dà sempre il cento per cento e non fa calcoli. Avrebbe meritato di vincere anche lui. Sagan? Ha confermato che è difficile capire come sta in corsa, l’unico modo è quello di spingerlo al limite: molti sono in soggezione e non lo sanno, io invece ho avuto il merito di provarci e sono stato premiato».
Poi il racconto scivola sulla pazza idea della Roubaix: «Le classiche delle Ardenne e il Lombardia sono corse più adatte alle mie caratteristiche, non c’è dubbio, ma dopo averle conquistate avevo bisogno di nuove sfide. Sono arrivato nella squadra giusta per vivere questo sogno e il successo ottenuto nel Fiandre mi ha fatto capire di aver fatto la scelta giusta. L’anno scorso alla Roubaix non avevo bevuto abbastanza e ho chiuso quindicesimo, stavolta come ho detto non ho sbagliato nulla, conoscevo il percorso a memoria e mi sembrava di riconoscere la forma di ogni pietra».
Dal 14 aprile Philippe Gilbert in casa ha una pietra in più. Un bella pietra, che tiene in bella vista. Gli manca solo un trofeo: è quello della classica di primavera, da vincere in pieno autunno agonistico. Una vittoria per completare la collezione, e per sentirsi in pace con il mondo. Quella di Roubaix è stata una giornata indimenticabile per Gilbert mentre si è rivelata difficile per gli italiani con Gianni Moscon che non è mai stato veramente in corsa e alla fine ha raccolto un anonimo 84° posto. Matteo Trentin si è arreso a poco più di venti chilometri dal traguardo e ha chiuso 43°. Il migliore degli italiani è Davide Ballerini, alla sua prima partecipazione sulle pietre. Per il canturino un discreto 31° posto. Al traguardo solo 100 corridori su 175 partiti da Compiegne. Penultimo e ultimo due italiani: il giovanissimo Edoardo Affini, 22 anni e un futuro davanti a sé tutto da scrivere e Filippo Fortin, 30 anni, centesimo e ultimo. Difficile guardare il bicchiere mezzo pieno, ma è giusto provarci.