Trentin: «Sanremo? Rendiamo vita dura ai velocisti»

di Giulia De Maio

Non gli era mai capitato di vincere la prima corsa dell’anno. Anzi, sì. Una volta, da allievo. Sportivamente parlando, una vita fa. Mat­teo Trentin è nel momento migliore della sua carriera o ci è vicino. A quasi 30 anni sta raggiungendo l’akmè della sua parabola di atleta e di uomo.
Il ventinovenne trentino della Mit­chel­ton Scott è andato a segno ad Alicante nel­la seconda tappa della Vuelta Va­len­­cia­na davanti a Bouhanni, Swift, Colbrelli e Kristoff al termine di una tappa mol­to dura e ha confermato di avere un’ottima condizione anche all’Andalusia, dove ha vinto due tap­pe. An­che se non le conta, ormai ha 22 vit­torie all’attivo nel­la massima ca­tegoria. Il campione d’Europa in ca­rica, che vanta tra l’altro due Parigi-Tours e tappe al Giro, Tour e Vuelta, è atteso a una primavera da protagonista nelle classiche che da sempre ha nel cuore. A partire dalla 110a Milano-Sanremo, in programma sabato 23 marzo.
La prima Classica Monumento della stagione vedrà i migliori corridori del mondo sfidarsi su quasi 300 km per conquistare una delle vittorie più am­bite dell’anno. L’ultimo vincitore della Classi­cis­si­ma è stato Vincen­zo Ni­ba­li, che con un at­tacco capolavoro sul Poggio è riuscito a prendere il largo e a trion­fare in solitaria sul traguardo di Sanremo. Sarà an­cora festa azzurra?
Finora non avevi mai vinto pri­ma del 26 maggio, quest’anno hai rot­to il ghiaccio il 7 febbraio.
«Chi ben comincia, ben comincia... Di solito le prime corse dell’anno non offrono troppe occasioni per chi possiede le mie caratteristiche tecniche, quel che è certo è che ho trascorso il mio miglior inverno di sempre. Sono sempre stato bene, non ho avuto problemi. Una differenza abissale con l’inverno precedente quando mi ero rotto una costola in allenamento a gennaio. Sono contento di come sono andato alla Valenciana e alla Vuelta a Murcia, al di là della vittoria sono riuscito a esprimermi ad ottimi livelli. È quello che volevo».
Hai cambiato qualcosa nella preparazione?
«Ho lavorato di più sulla potenza e sull’intensità, ho fatto qualche allenamento “lungo” in meno. A inizio stagione preferivo semmai “allungare” in corsa, dopo le tappe. La distanza non l’ho mai sofferta. Devo ringraziare la squadra che a gennaio mi ha concesso di restare con la famiglia (Matteo è legato all’ex azzurra di sci Claudia Morandini: hanno due figli, Giacomo di 4 anni e Jacopo, prossimo a spegnere la prima candelina, ndr) invece di andare in ritiro. Durante l’anno siamo già molto spesso lontano da casa, ho potuto lavorare bene e in serenità. Dopo An­da­lucia e Ruta del Sol, mi ve­drete in Belgio e alla Parigi-Niz­za prima delle grandi classiche di primavera».
Anche Viviani è partito forte. Alla Sanremo potremmo assistere a una sfida tricolore?
«Chissà. Elia è più veloce di me. Arrivando testa a testa in via Roma penso sinceramente che avrei meno possibilità. Se starò bene, dovrò cercare di “farlo fuori” pri­ma, così come tutti gli altri sprinter. È ancora troppo presto per immaginare come si svilupperà la corsa, dipenderà da chi sarà il grande favorito. Lo capiremo solo tra Tirreno-Adriatico e Parigi-Nizza. I nomi con cui dovrò vedermela sono i soliti, oltre a Elia, mi aspetto tra i protagonisti Sagan, Van Avermaet, Ala­phi­lippe, Gilbert, Kri­stoff e Gaviria. Chi sa­rà più in condizione detterà con i propri compagni l’andamento della gara».
Delle edizioni passate quali ricordi?
«Di quando la guardavo in tv mi sono rimaste impresse le vittorie di Paolo Bettini, le volate di Mario Cipollini e Ales­sandro Petacchi, lo scatto di Ga­briele Colombo sulla Cipressa nel 1996. Avevo 7 anni ma lo ricordo perfettamente. Delle più recenti, la prima che ho disputato nel 2012 perché è sta­ta ricca di emozioni. Non dovevo essere al via, mi hanno chiamato il mercoledì per correre il sabato e mi sono trovato nel finale a giocarmela. Pur­troppo all’ultima curva mi sono cappottato. Poteva arrivare un buon risultato già al primo colpo, ma così non è andata».
Come ci si allena per arrivare pronti a una corsa monumento?
«Bisogna essere in forma, non ci sono segreti che tengano. Una delle caratteristiche fondamentali per poter ambire a questa classica è che devi reggere be­ne le lunghe distanze. È un dono di na­tura, come l’essere veloci. Ti puoi allenare quanto vuoi ma se non sei uno sprinter non potrai mai diventare un missile in volata. Dopo 220-230 km, la performance di tanti cala più che per altri, il divario diventa maggiore rispetto alle corse più corte».
Abitando a Montecarlo, conoscerai le strade a memoria... Sotto data non servono ri­cognizioni o è meglio dare una rinfrescata alla memoria?
«Ripassare il finale serve sempre. Co­no­scere a menadito la discesa della Ci­pressa è oro aggiunto. Sapere quali traiettorie disegnare dà una mano a recuperare prima dell’ultima battaglia sul Poggio».
Qual è il punto chiave?
«È difficile da dire, dipende da come verrà fatta la corsa. Negli ultimi anni la Cipressa è sempre stata affrontata ad un’andatura non impossibile, o meglio, le squadre dei velocisti hanno sempre preso in mano la situazione per tenere un ritmo adatto ai loro capitani, quindi il momento cruciale è diventato in au­to­matico il Poggio. Sarebbe bello tornare all’antico, fare la Cipressa full gas per rendere la vita difficile ai velocisti».
In sette ore di gara cosa passa per la testa di un corridore?
«Oh, che du balle (ride, ndr). Quasi 300 km sono davvero tanti. Se vuoi puntare al finale, fino a dopo Laigue­glia non devi neanche esistere. Mangi, bevi, fai la pipì, parli un po’, ovviamente il tutto stando attento ma nulla di più. Senza la salita delle Manie, la cor­sa vera inizia da Capo Mele».
A proposito di mangiare e bere, come ti alimenti?
«Bisogna fare attenzione e trovare il giusto equilibrio, se mangi troppo poco nel finale ti ritroverai senza energie, se mangi troppo ti sentirai appesantito. Per quanto riguarda i giorni prima della corsa , ognuno ha il suo metodo: io la sera della vigilia non mangio tantissimo, sposto il carico di carboidrati a due giorni prima. Assumere tan­ta pasta o riso ti gonfia d’acqua, se la corsa par­te ben spedita la prima ora si suda, al­trimenti devi comunque espellerla in qual­che modo, quindi io preferisco por­tarmi avanti anche in questo sen­so».
Come gestisci l’avvicinamento ai grandi appuntamenti?
«Non soffro per la tensione. Io faccio le mie cose, controllo che la bici sia in or­dine e non ci penso più di tanto. Quan­do ti prepari come si deve, sei sicuro di stare bene, sei a posto con te stesso. Più di quello non puoi fare, poi ce la si gioca in corsa, dove non tutto dipende da te».
Hai abitudini o riti scaramantici?
«No, no, sono uno smemorato cronico. Mi dimenticherei anche quelli».
Il tuo podio ideale?
«Io sul gradino più alto, sul secondo e terzo fa lo stesso chi ci sale».
Ami le classiche del nord, ma la Sanremo forse è la più adatta a te. Sei d’accordo?
«In parte. Mi si addice, ma rispetto a dieci anni fa, ormai sono tanti i velocisti in grado di digerire bene il dislivello e potersi giocare le loro carte a San­re­mo come su altri traguardi prestigiosi. Anche Fiandre e Amstel, che ho disputato una volta sola, sono nelle mie cor­de, ne sono convinto. Se per una volta andasse tutto liscio e riuscissi a disputarle tutte senza farmi male, potremmo capire quale è più adatta a me. Per quest’anno io spero solo di migliorare. Voglio che il 2019 sia meglio del 2018».
Sei vicepresidente dell’ACCPI, con la quale ti stai battendo molto per la sicurezza stradale.
«Sulle nostre strade c’è uno spargimento di sangue quotidiano. I dati di morti e feriti in sella a una bicicletta sono allarmanti, gli ultimi incidenti che ci hanno coinvolto direttamente ci hanno spinto a lanciare una campagna di sensibilizzazione verso i ciclisti, che invitiamo a circolare sempre con le luci accese, sia davanti che dietro, e una raccolta firme per chiedere una modifica del codice della strada che preveda una maggiore tutala degli utenti deboli. Sono contento del sostegno e dell’interesse dimostrato da colleghi di altri paesi, che avvertono anche a casa loro quanto la questione della violenza stradale sia urgente. Noi professionisti dobbiamo metterci la faccia. Vi invito, se non lo avete ancora fatto, ad andare su change.org e firmare Siamo sulla stessa strada: rendiamola sicura».
Il 2 agosto compirai 30 anni. Cosa vedi guardando indietro e davanti a te?
«Sono contento dell’uomo e dell’atleta che sono. Non ho mai fatto piani di battaglia, non mi sono mai detto “a 30 anni voglio essere così, aver fatto questo o quello”. Mi guardo in­torno e mi sento felice per quello che ho. Non ho rimorsi, questa è la cosa più importante».

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