Il bello del dogma
di Gian Paolo Ormezzano
Vado verso un’anagrafe psicofisicooperativa intensa e terrificante per chi totalmente c’è ancora, dico nel mondo del giornalismo, o crede di esserci (io), chi non c’è più ma mi fa da esempio e da monito, chi c’è ancora e appunto spero mi segua e mi aiuti, chi c’è anche se non dovrebbe più esserci (io????). Io, anni 83 di cui 66 di giornalismo abusivo, sottopagato, pagato, sin troppo pagato (massì), dopato dal diciamo successo, apprezzato, tollerato, pensionato, ancora omaggiato di collaborazioni (tipo questo articolo), ora spesso piallato dall’indifferenza più o meno esplicita o dalle novità ideologiche e tecnologiche, ancora in linea di massima sopportato (spero) ma non supportato. E oggi, adesso, qui, proprio quiiiiiii, la voglia impellente di scrivere quello che altrove scriverei se Dio mi offrisse la postfazione della Bibbia o dei Vangeli, o più semplicemente & umanamente se ci fosse un editore immane, assoluto, universale, persino migliore di quelli di tuttoBICI- che sempre sian lodati - sui quali scarico la mia follia, e mi scarico, insomma scrivo le righe che seguono persino temendo/sperando/contando che le pubblichino.
Ecco, voglio permettermi il lusso di scrivere che nella mia vita lavorativa ho appunto scritto di tutto, da tutto il mondo dello sport e non solo, ho scritto di tutti sempre amando le persone e gli eventi, perché prova di vita, e superamando i loro primattori specialmente se onesti, sempre amando lo sport e il giornalismo e il mestiere e il lavoro e il mondo e l’universo, ma che per me, alla fine (tocca ferro) ormai di tutto e tutti, vien da pensare che solo sul ciclismo e sui suoi eventi e sui suoi uomini e sulle sue cose ho (forse) davvero prodotto qualcosa di valido. E se non altro ho prodotto la trasfusione, non so quanto bene riuscita ma messa nero su bianco al mio meglio, dei miei sentimenti.
Tanto grande calcio, tanti supercampionati di atletica nuoto basket volley sci pugilato ecc. ecc. e persino ping-pong, tanti viaggi anche in Cina (1966) quando quasi nessuno riusciva ad andarci, anche a Cape Canaveral per Apollo 11 che nel 1969 saliva alla Luna con i suoi terricoli pionieri, anche da Cassius Clay cioè Muhammad Alì in Congo e da Pelè nel Brasile delle macumbe, anche fra le balene della Baja California che è Messico e negli stadietti clandestini della lotta di galli e di pesci assassini e di pugili a tutto corpo in Thailandia, tutto bello e tutto (tutto insieme) meno di un ricordo spicciolo dal Giro d’Italia, dal Tour de France, dalla Parigi-Roubaix…, e adesso con quel che accade in Venezuela anche da San Cristobal, Mondiali su strada del 1977 a due passi da Cucuta, che è invece Colombia, diventata oasi di esuli venezuelani disperati. Ecco, (ri)prende attualità un ricordo minimo ed enorme, quel collega milanese che proprio nel Venezuela del ciclismo iridato mi disse: “Un allungo di Simone Fraccaro vale un Mondiale intero di calcio”. Se qualcuno ricorda, sa che Fraccaro era un medio ciclista professionista, anche pistard, però a noi due bastava per fare una scelta d’amore.
Niente come il ciclismo, come una sera di luglio nella sudaticcia provincia francese a parlare del Tour con un professore di latino, come l’attesa a Sanremo di un ostrogoto vincitore, come l’immaginarti la miss tappa del Giro in topless, come un ristorante di Tirano con i pizzoccheri magici, come il nulla assoluto, senza neanche il mare, di tanto lungomare italiano, come l’enorme testa lessata di un bue su un carretto a Metaponto per i panini volanti, con senape, dei ragazzini, come la Ciociaria grassa del Giro del Lazio, come Scilla e Cariddi viste dall’alto di una strada del Giro di Calabria, come la Valle d’Aosta delle montagne in francese e come le mie montagne intorno a Cuneo in piemontese, come la Riviera ligure sull’Aurelia seguendo i corridori e snobbando l’autostrada dei fiori, come un accidenti rimbalzando sul pavè.
Come tutto quel mondo col quale sarò sempre in debito, imprecisabile e però forte, un debito senza cifre fatto di memorie sottili ed intense, quel mondo dove seminai, concimai, raccolsi, cucinai, divorai sentimenti.
Un angolo di ciclismo (l’allungo di Simone Fraccaro) vale tutto il resto del mondo dello sport. Parola e dogma di giornalista, per chi mi crede e magari crede pure al mio giornalismo. Del dogma non so spiegare il perché, ma questo è il bello del dogma.