Editoriale
GRANFONDO. Hanno avuto fino a questo momento un gran fondo, nel senso più tecnico del termine. Solo oggi, o comunque solo da qualche mese (Maratona delle Dolomiti), ci si sta rendendo conto che il mondo delle «Gran Fondo» è il vero terminale di tutti i mali del ciclismo. Diciamo più compiutamente che è il mondo nel quale si fanno i numeri, si fa fatturato.
Quello che però ci fa specie è sapere che dopo il blitz orchestrato dalla pm Paola Cameran il 16 aprile scorso, c’è ancora chi si sorprende. Ribadiamo un piccolissimo concetto già espresso qualche mese fa, dopo il primo blitz dei Nas effettuato a Corvara nel luglio scorso. Le Gran Fondo sono minacciate dagli ex corridori professionisti, sontuosamente pagati, che altro non sono che «informatori scientifici». Sono loro la piaga di questo bellissimo fenomeno chiamato Gran Fondo.
Ma è altrettanto giusto ricordare che il vero problema sono le famiglie, i genitori di questi ragazzi che farebbero e fanno qualsiasi cosa pur di vedere la propria figlia velina e il proprio figlio campione. Anzi, è proprio l’assenza totale di concetto di famiglia il vero problema. L’importante è arrivare: a qualunque costo, a qualunque prezzo.
L’importante è emergere, uscire dal branco, realizzarsi: dicono.
È una società malata, priva di valori, priva di etica e morale, che cerca di curarsi ogni giorno, per qualsiasi cosa. Soprattutto cerca di guarire il proprio disagio interiore, la propria insoddisfazione, agendo solo e soltanto sull’apparenza. Chi si vuol rifare il naso, chi le tette, chi vuole il muscolo più scolpito, chi invece vuole un giorno arrivare a vincere il Giro o il Tour. Sono tutti figli della stessa ossessione: arrivare. Arrivare a qualunque costo, a qualunque prezzo. Per soddisfare le proprie frustrazioni, ma spesso anche quelle degli altri.

USIAMOPRUDENZA. Adesso parlano, ma si scrive poco, o comunque se ne scrive con grande prudenza, con profondo senso del rigore: come è giusto che sia. Ora parlano: gli ex calciatori vittime del morbo di Gehrig. Adriano Lombardi, ex centrocampista di Como e Avellino, alle prese con la sclerosi laterale amiotrofica (Sla o morbo di Lou Gehrig), così come Massimo Mattolini, ex portiere di Fiorentina e Foggia (negli anni scorsi trapiantato di rene) hanno ammesso di aver fatto iniezioni di Cortex, contenente corteccia surrenale.
L’inchiesta del magistrato torinese Raffaele Guariniello ha monitorato circa 24.000 calciatori tra il 1960 e il 1996. Una settantina le morti sospette: tumori al fegato, leucemie e morbo di Gehrig. Quest’ultima patologia ha colpito 35 ex giocatori e 15 sono morti.
Si indaga e si studia. E nel frattempo si mantiene il riserbo. Si legge: «La quindicesima vittima della Sla nel calcio abitava in una città lombarda. Quel che bisogna per ora evitare, però, è l’equazione tra morbo di Gehrig e doping. Se la correlazione fosse dimostrata, tutto sarebbe più semplice: no doping, no Sla». Ma se si fosse trattato di ciclisti, l’atteggiamento sarebbe stato lo stesso?

UNABELLADOCCIA. La borraccia piena di urina nascosta sotto il tappetino del box doccia è il simbolo più avvilente di un ciclismo che fatica a capire. In questi giorni abbiamo ricevuto molte telefonate, in favore di Massimiliano Mori, risultato in seguito negativo agli esami UCI: il primo danneggiato assieme alla Formaggi Trentini Fiavé.
Dalla borraccia di Bartali e Coppi, a quella di Di Francesco e Mori. Da chi l’ha data a chi, a chi l’ha messa lì. Il giallo della borraccia si ripropone a distanza di cinquant’anni. Chi ha messo la borraccia nel box doccia? Mori ha detto chiaramente di non saperne nulla e gli esami UCI l’hanno scagionato pienamente. Di Francesco ha ammesso le proprie colpe, dicendo altrettanto chiaramente di aver fatto una bischerata.
In molti ci hanno chiesto perché devono pagare il corridore e la squadra per colpa di un diesse alquanto facilone per non dire di peggio. Noi ribadiamo su queste colonne che Di Francesco è un tesserato della Formaggi Trentini Fiavé Ciarrocchi e, come accade in questi casi, la società ne deve rispondere. In quella circostanza l’ispettore del controllo medico trovò una borraccia con la pipì del tecnico avvolta dentro il tappetino della doccia, nel bagno dove Mori stava effettuando il controllo. Per il giudice si trattò di un evidente tentativo di truccare l’antidoping. Ulteriore errore, non di poco conto, la conferenza stampa indetta dal team di Giuliani. Anziché tacere e aspettare di capire bene la situazione e soprattutto attendere gli esiti degli esami di Mori, hanno preferito dar voce alla loro indignazione: per altro fuori luogo. L’unica cosa che andava fatta era piuttosto quella di rinchiudere in quello stesso bagno, in quello stesso box doccia, Gabriele Di Francesco: una bella doccia fresca, sarebbe stata la cosa più opportuna da fare.

Pier Augusto Stagi
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