KITTEL, FAST AND FURIOUS

PROFESSIONISTI | 18/02/2016 | 07:13
Dopo una stagione da dimenticare - «la mia peggiore di sempre» - Marcel Kittel ha voglia di riprendersi il trono di re dei velocisti. Lo sprinter tedesco, accasatosi alla Etixx Quick Step, è pronto a firmare nuovi traguardi al Gi­ro d’Italia, al Tour de France e non solo. Il tedescone (189 cm per 86 kg) nato l’11 maggio ’88 a Arnstadt, vanta oltre 50 successi in cinque stagioni nella massima categoria e, al sesto an­no, nella formazione belga sembra aver trovato i nuovi stimoli necessari per tornare a dire la sua.

Ripartiamo dal 2015.
«La ragione principale del fatto che non sono andato come mi aspettavo è che sono stato a lungo ammalato, ho perso tanti allenamenti e corse, non sono riuscito a raccogliere quanto sperato perché sono stato costretto a saltare gran parte della preparazione. Dopo il Po­lonia stavo abbastanza bene, ma mi mancava la stabilità di condizione che ti dà una grande corsa a tappe. Mi è bruciato non essere schierato al Tour, ma ormai è acqua passata e voglio im­parare dagli errori commessi. Penso po­sitivo: ho avuto un 2015 leggero in termini di impegni, quindi nel 2016 do­vrei essere bello fresco (sorride, ndr). Sono convinto che i risultati arriveranno e tra un anno potremo ritrovarci a parlare di quanto il 2016 sia andato bene».

Quanta voglia avevi di iniziare a correre?

«Tantissima, ho avuto un bell’impatto con il team e abbiamo fin da subito parlato di cosa vogliamo fare insieme. Ho spiegato ai miei compagni dove vo­glio arrivare, dove voglio essere in cor­sa, come mi aspetto di lavorare con lo­ro, ora non ci resta che tramutare il pia­no in realtà per regalarci dei risultati importanti. Nel team mi sono sembrati tutti molto rilassati, alla mano, dalla mentalità aperta. Avevo bisogno di un’accoglienza come quella che mi hanno riservato. Per me è tutto nuovo. È vero che sono sempre io, sono sempre in sella e devo sprintare come so fare, ma trovare confidenza nel finale di corsa con nuovi uomini richiederà del tempo. Siamo pronti a metterci in gioco. Per il treno, il miglior allenamento sono le corse: non abbiamo un corridore con un ruolo fisso, con una posizione rigida, vogliamo essere pronti a reagire a qualsiasi inconveniente».

Le tue ambizioni?
«Per la prima parte di stagione l’obiettivo è partire bene e costruire un bel treno per essere competitivi sui palcoscenici più importanti, a partire da Gi­ro e Tour. Non sarò alla Sanremo e neanche alle Classiche per cui abbiamo un team fortissimo, correrò solo la Schel­deprijs. Da qualche anno ormai ci sono meno corse di un giorno per velocisti, la Sanremo e altre gare che una volta potevano essere considerate per velocisti ora sono adatte ad atleti più completi, tipo Sagan per intenderci e in alcune corse a tappe, come la Vuelta, è quasi assurdo presentarsi al via se sei un uomo veloce, visto quanta salita c’è. Non è una lamentela, ma una semplice constatazione. La vita dei velocisti è un po’ più dura, ultimamente».

Avverti un po’ di pressione nel dover so­stituire Cavendish?
«No, ognuno ha la propria personalità ed il proprio modo di correre. Lui ha lasciato un certo ricordo in questo team, io ne lascerò un altro al di là dei successi che raccoglierò e delle sconfitte che incasserò. Io non sono un rimpiazzo di Mark perché sono Marcel e anche la squadra sta cambiando negli anni. Non mi piace fare paragoni e classifiche tra corridori e team. Con la Giant Shimano è finita come sapete, non è semplice parlare di un rapporto giunto alla fine, soprattutto a caldo. Con quel gruppo ho avuto soddisfazioni grandissime, mi restano un mix di emozioni belle e meno belle, ma di co­mune accordo abbiamo scelto di prendere ognuno la propria strada. In questo momento penso solo a lavorare al meglio con i miei compagni. Per me è davvero importante aver trovato un gruppo molto professionale, concentrato sugli obiettivi e allo stesso tempo rilassato che mi darà la serenità per tornare a dimostrare quanto valgo».

Da chi potrai imparare maggiormente?
«Dai più esperti come Boonen. Tom è un ragazzo  davvero alla mano, è un punto di riferimento del ciclismo mondiale da anni, ma ha sempre una gran voglia di andare in bici e svolgere questo lavoro con assoluta passione e semplicità. Lo ammiro e da lui vorrei prendere proprio questa incredibile motivazione. Anche se sarò in grado di vincere tanto, come spero, vorrei avere sempre la sua stessa voglia di trascorrere sei ore in sella con la semplicità che lo accompagna. Vorrei continuare a divertirmi come sono solito fare e come Tom dimostra di saper fare da anni. Boonen ama davvero quello che fa e per me questo è l’esempio più grande, l’insegnamento più prezioso che ho appreso in queste prime settimane di raduni e allenamenti: per dedicarsi al cento per cento al proprio lavoro oc­corre serenità, passione, professionalità e leggerezza. E si è leggeri e felici solo se le cose vanno bene. Io quest’anno voglio essere leggerissimo: e volare».

Il Tour 2017 partirà da Dusseldorf, il ciclismo tedesco sta vivendo un gran momento.
«Non sono d’accordo visto che è stato annunciato poco tempo fa che quest’anno non si disputerà la Bayern Rundfahrt, l’ultima grande corsa per professionisti nel nostro Paese, a causa della mancanza di sponsor. Sicu­ra­mente è un bel segnale l’annuncio della Grand Depart 2017 del Tour, ve­dremo se ne conseguirà qualcos’altro di buono. Il fatto che la tv nazionale sia tornata a raccontare questo sport è stato uno momento chiave, sono felice che i risultati miei e di altri ragazzi tedeschi stiano riaccendendo l’interesse sul no­stro movimento dopo anni bui. Non ho paura di dire quello che penso, come molti altri miei connazionali - penso a Tony Martin e John De­genkolb - che come me lottano per di­mostrare che siamo diversi dai ciclisti del passato. Un cambiamento rispetto ad anni fa c’è stato ed è evidente. Se si avesse il tempo di parlare alla gente con buoni argomenti, lo si potrebbe far capire a tutti. Quali sarebbero gli argomenti? Già solo il fatto che i giovani siano liberi di parlare liberamente di questo argomento senza nessuna censura o paura è effettivamente una no­vità rispetto a prima. In più è innegabile sia cambiato il modo di lavorare dei team, molto più professionali che in pas­sato».

Facciamo qualche passo indietro: come hai scoperto il ciclismo?
«Da bambino non sognavo una professione in particolare. Mi sono sempre piaciuti gli sport, ne ho praticati diversi finché a un certo punto si è accesa in me la passione per il ciclismo. Quan­do avevo 12 anni ho chiesto a mio pa­dre Mathias, ex corridore, di comprarmi una bici. Ho iniziato a pedalare con una Mtb, la prima gara è stata appunto una corsa con il team del paese in cui sono nato, Arnstadt. In famiglia ormai la bici è la prima passione, mamma El­ke è stata contagiata come mio fratello minore Martin, che fino a poco tempo fa si divertiva gareggiando».

Cosa pensi quando stai sprintando?
«In realtà a nulla, è difficile da descrivere. In quegli istanti se sei dietro sei concentrato solo su chi è davanti a te e vuoi superare tutti con ferocia e determinazione, mentre se sei in testa pensi solo a rimanere primo. Non riesci a percepire molto altro ad eccezione del­le urla del pubblico. È come essere in un tunnel, nell’ultimo chilometro non avverti nient’altro se non i corridori che ti stanno a fianco. Solo dopo il traguardo capisci cosa hai fatto. Quan­do vinco, sono felice e orgoglioso perché ho dato prova che ce la posso fare a bat­tere tutti gli altri grazie alla mia forza e a quella del mio team, se al contrario perdo prima di tutto cerco un posto tranquillo per calmarmi perché sai, in quel momento così intenso, ci sono in ballo tante emozioni che ti passano per la testa e il corpo che non è il caso di mostrarle nel modo sbagliato».

Gli ingredienti indispensabili per essere un ottimo velocista?
«Oltre alla velocità, bisogna essere do­tati di un buon colpo d’occhio per prendere la posizione migliore, avere un feeling particolare con il rischio e una squadra forte che ti supporti perché non bisogna dimenticare che il ciclismo è un gioco di squadra. Se i tuoi compagni non ti portano nel posto giusto al momento giusto, anche se sei il più forte è difficilissimo che tu ce la faccia».

Cosa chiedi al futuro?
«Per quanto riguarda la mia carriera agonistica di continuare a vincere, di poter contare sempre su una buona squadra come quella in cui mi trovo al mo­mento e di non smettere mai di di­vertirmi andando con la mia bici in gi­ro per il mondo. Spero di correre il più a lungo possibile, poi vedrò cosa mi riserverà la vita. Un giorno vorrei che i miei nipoti fossero orgogliosi di me, vorrei poter dire loro che in sella e giù dalla bici mi sono goduto la vita al cen­to per cento».

Pensi già ai nipoti, ma Tess (la fidanzata Von Piekertz, pallavolista olandese in forze al team tedesco Rote Raben Vilsbiburg, ndr) lo sa?
«Si fa per dire (sorride, ndr), siamo mol­to innamorati ma ancora giovani per pensare a dei bambini. Essendo lei stessa una sportiva non serve spiegarle perché devo andare via per un ritiro o una corsa, sa benissimo come funziona il mio lavoro. Averla al mio fianco mi toglie pressione: da atleta professionista, se non hai accanto qualcuno che ti supporta e capisce al cento per cento quello che fai, sarebbe quasi impossibile, e la cosa può avere conseguenze an­che sulle tue performance, perché perdi tempo ed energie in preoccupazioni che in una relazione che funziona non ci devono essere. Sono davvero felice che sia entrata nella mia vita. Peccato che la sua stagione inizi quando la mia è appena finita e non viviamo assieme ma siamo molto uniti nonostante la distanza e gli impegni».

Se la tua casa andasse a fuoco, qual è la prima cosa che salveresti?
«Direi... la mia vita! Non sono una persona attaccata agli oggetti materiali, non mi viene in mente nulla di particolare».

Il tuo eroe?
«Non ne ho, a livello sportivo ci sono nu­merosi uomini e donne che stimo ma nessuno che definirei un punto di riferimento da emulare».

La cosa più costosa che tu abbia mai comprato?
«Vivo a Erfurt da solo, ma la casa non è di mia proprietà, quindi direi la macchina. Ho un’auto sportiva».

Canzone preferita per il karaoke?
«Ovviamente sono una schiappa a cantare (ride, ndr). Mi piacciono gli AC/DC, ma apprezzo tanti cantanti e mi vengono in mente svariati titoli che non saprei sceglierne una sola. Ascolto molto la musica elettronica. In bici mi alleno quasi sempre con le cuffiette».

Sei bravo a cucinare?
«Non molto, preferisco uscire a cena con gli amici. È bello però cucinare in compagnia, quando torno a casa mi di­verto ai fornelli con mio fratello. Amo il buon cibo e tutte quelle “schifezze” gustosissime che, essendo un atleta, dovrei evitare».

Prima delle corse cosa mangi?
«Pasta o riso, anche a colazione. Prima della battaglia bisogna fare il pieno di carboidrati».

L’ultimo libro che hai letto?
«Il “garibaldi” dell’ultima corsa a cui ho partecipato! Scherzi a parte, mi pia­ce molto leggere ma negli ultimi tempi, da quando sono prof, faccio un po’ di fatica».

La tipologia di allenamento che preferisci?
«Le sgambate con pausa caffè».

La tua abitudine più strana?
«Quando mi lavo i denti ci impiego un quarto d’ora camminando per casa».

Hai sempre la stessa catenina d’oro al collo, chi te l’ha regalata?
«Mia nonna, poco prima di morire. Non la tolgo mai per ricordarmi sempre di lei».

Qual è il miglior consiglio ricevuto?

«Me l’ha dato mio papà: “Fai sempre il meglio che puoi, sia che tu vinca o per­da se hai dato il massimo non avrai mai rimpianti”. Me lo disse al via della pri­ma corsa e me lo ripete ancora oggi. Metterlo in pratica è il mio vero mantra».

Giulia de Maio, da tuttoBICI di febbraio
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