AMMAZZA IL CICLISTA

SOCIETA' | 26/01/2016 | 08:37
Cinque ciclisti sono stati ammazzati la settimana scorsa. Se a ucciderli fossero stati cinque colpi di pistola di un pazzo, che so, di uno di quegli americani in armi che ogni tanto fanno strage nelle scuole, i media avrebbero raccontato ogni dettaglio, gli opinionisti avrebbero pontificato, il Paese sarebbe sotto choc, il Governo avrebbe cercato di dimostrare di essere in grado di governare. Invece cinque persone sono morte ammazzate e la cosa è passata inosservata. Anzi l'impressione che si ha è che sia considerato normale - o almeno inevitabile - che ogni anno 250-300 persone perdano la vita mentre pedalano, colpiti o travolti da altre persone armate di veicoli a motore.

Per i due ciclisti uccisi a poche ore di distanza l'uno dall'altro a Torino l'unica voce che ha provato a scalfire il muro del silenzio è stata quella dell'associazione Bike Pride: "Muoversi in bicicletta o a piedi a Torino significa rischiare la vita ogni giorno, nella totale indifferenza delle istituzioni - denuncia Beppe Piras, presidente dell'associazione Bike Pride Fiab Torino - Ci sono stati gravissimi errori del passato che hanno trasformato le strade di questa città in un luogo inospitale per le persone. E gli stessi errori vengono perpetrati nei nuovi progetti. Il solo obiettivo nella pianificazione di Torino è - da sempre - fluidificare il traffico privato e aumentare la velocità delle auto, anche a costo di avere qualche “effetto collaterale”, ma questi “effetti collaterali” hanno un nome e un cognome, sono uomini, padri, fratelli, figli e amici, come Paolo Lorenzati e Dai Shen Shu. L'Amministrazione della città preferisce sacrificare la vita dei suoi cittadini per paura di mettere a repentaglio il proprio consenso elettorale. Si sceglie di salvaguardare qualche parcheggio, invece che ridurre la velocità e dare spazio alle persone, alle donne, agli uomini, ai bambini e alle famiglie. I cittadini sono stanchi di passerelle e promesse. Vogliono vedere il cambiamento promesso, costante e quotidiano. Invece ciò che si ha ora è uno spazio pubblico, la strada, che è solo un luogo di tragedie e di paura. Ma vivere lo spazio pubblico senza paura di morire è un diritto, il più importante dei diritti che le istituzioni e la politica tutta dovrebbero difendere, senza se e senza ma".


Di un altro fatto di sangue che ha coinvolto un ciclista in questi giorni nel leccese ha parlato con grande compostezza e anche tanta lucidità Nando Popu, il leader sdei Sud Sound System. Franco Amati, cicloamatore di 67 anni, sarebbe stato investito volontariamente dopo uno scambio di insulti con un automobilista che aveva appena superato lui e gli altri compagni di passeggiata. L'uomo alla guida dell'auto avrebbe fatto inversione e puntato dritto sugli uomini in bici falciandone due prima di fuggire.


"E' vero, qualche ciclista sbaglia - ha scritto sulla sua pagina fb Nando Popu - Invade la carreggiata. Oppure ostacola il traffico con la sua lentezza antipatica alle vetture. E' vero, la bici non rispetta quella maledetta fretta del mondo in cui viviamo, quella lentezza che ci costringere a spingere sull'acceleratore per essere puntuali evitando i cazziatoni del capo, o per dimostrare di non essere più lenti di chi ci precede. Forse i ciclisti sono antipatici perché pedalano stando per i cazzi loro, intenti a fare i conti con la fatica e se ne fottono del mondo intorno. Posso capire chi non ci sopporta perché il mondo è vario e non posso pretendere che certa gente provi simpatia i ciclisti. Tuttavia, ricordatevi che una bici è una bici e un'automobile è un'automobile... Sorpassatelo e basta. Un colpo di clacson, la freccia e sorpassi. Cosa c'è di strano? Sapete cosa c'è di strano? La nostra società basata sul sorpasso. Quando sei in strada, chiunque tu sia, se sei in auto rappresenti la velocità vincente, mentre se sei su una bici rappresenti la lentezza perdente. Alcuni purtroppo identificano la velocità vincente come una sorta di diritto. Credono che la lentezza perdente debba essere vittima della velocità vincente ed eseguono questo teorema credendo di essere dalla parte della selezione naturale. Sentimenti aberranti. Sentimenti italici, di una nazione poco propensa a proiettarsi in un futuro in cui la bici risolverebbe tanti problemi".

Ecco, questo è un punto su cui riflettere bene: una bici è una bici, un'automobile è un'automobile. Per come è organizzata la nostra mobilità, le utilitarie, i Suv, i furgoni, i camion diventano armi cariche puntate contro i pedoni, i ciclisti, gli scooteristi e - talvolta - anche contro lo stesso guidatore. Bisogna rendere queste armi inoffensive, far tornare i veicoli alla loro unica funzione possibile, quella di utili e inoffensivi mezzi di trasporto. Mercoledì prossimo, alle 13, Bike Pride lo ricorderà a Torino con il presidio #bastamortinstrada di fronte al Palazzo Civico. Sarebbe bene che ce ne ricordassimo tutti. Soprattutto quando giriamo per strada.


Alberto Fiorillo, da L'Espresso

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COMMENTI
da legegre
26 gennaio 2016 10:02 gianni
Una sola cosa dopo aver letto l'articolo: fatelo girare.
gianni cometti

La "giungla nel Bel Paese"
27 gennaio 2016 18:53 nsilvioant
Purtroppo un'analisi allarmante, a conferma che il nostro "Bel Paese" è ormai una giungla
in materia di sicurezza stradale, a mio avviso per l'assenza di norme specifiche, per la
scarsa formazione della società al volante e per un'altrettanto carenza culturale che fa
crescere la scarsa attenzione e considerazione nei confronti dei cosiddetti "utenti deboli"
della strada. Proprio in questi giorni i nostri parlamentari stanno legiferando sul famigerato
omicidio stradale e sarebbe l'occasione buona per inserire un norma sacrosanta ma ancora
inesistente, invece già presente in altri paesi, ovvero la segnaletica con opportuni cartelli
che obbliga i veicoli in fase di sorpasso ad un distanza non inferiore a 1,5 mt dal ciclista!
Addirittura in Spagna, il cartello riporta i ciclisti in doppia fila, cosa che da noi è ancora tabù.
Ho accennato al vuoto di cultura dilagante e basterebbe la promozione di un'efficace campagna
di informazione in tv, durante gli spot pubblicitari, per evidenziare le pessime abitudini
degli italiani da evitare, soprattutto al volante(vedi l'uso del cellulare ancora più
pericoloso da quando è diventato smartphone e quasi legalizzato!) ma anche in bici, da corsa,
sportive o da passeggio.Doverosa precisazione quella di ricordare però,che chi va in giro come
fosse "armato", sono i primi e non i successivi, questi invece restano bersagli e vittime innocenti.
Agli automobilisti,tutti, giovani, neopatentati esperti e navigati va ricordato loro
che la vita umana rimane "sacra" comunque e sempre, anche quando questa si sposta in bici e di
portare più rispetto e tolleranza verso una categoria di utenti che solo nel nostro "Bel Paese"
rimane "debole ed indifesa"nell'indifferenza generale.

Nigro Silvio Antonio

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