MOSCON. Dal trattore all'Oscar

PROFESSIONISTI | 29/12/2015 | 08:43
Non sarà molto british, ma è stato battezzato il “trattore della Val di Non”. I tifosi di Gianni Moscon, pronto al de­butto tra i professionisti in maglia Sky, hanno deciso: questo sarà il suo soprannome. All’Under 23 più talentuoso di casa nostra questo nickname non dispiace affatto, basti pensare che non ha lasciato la sua valle nemmeno per le vacanze. Dopo 9 successi tra cui il Campionato Italiano, il Palio del Re­cioto e il Trofeo Almar in Coppa delle Nazioni, oltre al secondo posto al Giro delle Fiandre e un unico rimpianto in un’annata da incorniciare, vale a dire il 4° posto al Campionato del Mondo di Richmond, in questi mesi ad una spiaggia esotica ha preferito le sue mele, il suo trattore appunto, i suoi affetti e vo­lente o nolente i libri dell’università. Per diventare grandi bisogna allenare gambe e testa, il ventunenne trentino lo sa e promette molto bene. Il tempo del raccolto non è così lontano...

Il tuo 2015 in maglia Zalf Euromobil Dé­­sirée Fior si è chiuso con l’Oscar tut­toBICI.
«Per me è stato un grande onore vincere questo premio, che è il più prestigioso in Italia per gli Under 23. L’anno scorso partecipai alla cerimonia a Ve­rona per ritirare il riconoscimento mes­so in palio dal GS Capodarco, fu una cerimonia perfetta con tanti campioni dello sport, una bellissima vetrina e sono molto contento di essere stato uno dei protagonisti anche quest’anno in una cornice esclusiva come l’Hotel Prin­ci­pe di Sa­voia nel cuore di Milano. Vo­glio condividere questo titolo con la squadra in cui sono cresciuto nelle ultime tre stagioni e che mi ha permesso di maturare per presentarmi pronto (almeno spero) al confronto con la massima categoria».

E poi è arrivata una splendida cucina Eu­romobil...
«Altra grandissima soddisfazione, quel­la di essere premiato dai fratelli Lucchetta nello showroom aziendale. La loro straordinaria passione ha consentito alla squadra di scrivere pagine bellissime in oltre trent’anni di storia e sono orgoglioso di aver contribuito anch’io con quale bella vittoria»

Il bilancio dell’anno che sta per concludersi?
«È senz’altro positivo. La vittoria a Tai­no in Coppa delle Nazioni è il risultato più prestigioso che ho conquistato, il Campionato Italiano ha sempre un gran fascino perché in palio c’è la maglia tricolore che ho indossato con orgoglio, in più ho accumulato tante esperienze importanti. Ricordo tra le altre il Tour de l’Avenir, anche se non sono riuscito a portarlo a termine a cau­sa del riacutizzarsi di una tendinite che mi ha fatto tribolare un po’. Amo le corse a tappe e le salite francesi mi hanno affascinato e divertito. Sarà perché l’anno scorso viaggiavo nel gruppetto, mentre questa volta prima di ritirarmi ero quinto in classifica, ho visto di essere migliorato nettamente. In questa stagione ho raccolto persino più di quello che speravo all’inizio, ma ormai è alle spalle ed è già ora di pensare alla prossima».

Come stai trascorrendo l’inverno?
«Dopo lo stop ho ripreso a uscire un paio di volte a settimana per un’oretta, fino a metà novembre una pedalata ogni due-tre giorni ma senza stress per poi iniziare ad allenarmi seriamente. Non sono andato in va­canza, ho preferito stare a casa e sbrigare un po’ di faccende. Sono sempre in giro come una trottola e il tempo vola, le giornate sono piene di impegni perciò ho approfittato del periodo più calmo dell’anno per stare tranquillo e, per quanto possibile, studiare visto che sono iscritto a Ingegneria Gestionale all’Università di Vicenza. È molto difficile conciliare lo studio con la bici, so­prattutto perché si tratta di una facoltà impegnativa, già un ragazzo che non fa altro che studiare fa fatica a rimanere in pari con gli esami... Io sono un po’ indietro ma d’altronde, anche se d’inverno cerco di fare il grosso, nel secondo semestre con le tante gare del periodo estivo è impossibile dare tutti gli esami in programma. Comunque tengo duro anche su questo fronte (sorride, ndr). Il 6 dicembre poi è iniziato il primo ritiro con la squadra e... è già ora di pensare alle prime gare».

Che impressione hai avuto del Team Sky?
«A gennaio di un anno fa ho trascorso 5 giorni a Maiorca con compagni e tecnici, a luglio ho partecipato al ritiro sul Sestriere. Eravamo in una decina: Vi­viani, Puccio, Kiryienka... e c’era una bellissima atmosfera. Mi hanno accolto fin da subito come fossi già uno di loro e l’organizzazione ho subito capito es­sere impeccabile. A Londra il mese scorso ci siamo ritrovati per svolgere le visite mediche, i primi test, stilare i programmi e visitare i gli sponsor. Ho avuto un’ottima impressione della squadra, l’ambiente non è rigido e schematico come sembra dall’esterno, è decisamente più caloroso di come ce lo si può immaginare, sia i compagni che lo staff hanno cercato di coinvolgermi, mi sono sentito a mio agio. Chiacchierando, alla domanda “il personaggio più importante che hai conosciuto nella tua vita?” ho risposto sen­za problemi: “Froome, che ho incontrato ieri”. Hanno riso tutti ma è la realtà, sono in una squadra di 30 corridori di cui più della metà sono campioni con la C maiuscola, allo stesso tem­po sono persone semplici e alla mano. So­no felice di essere entrato a far parte di questo gruppo e orgoglioso delle belle parole che ha speso su di me Dave Brailsford (il team manager di Sky l’ha definito l’Under 23 italiano più forte, ndr). Mi fido del suo giudizio».

Chi ti allena?
«Per la preparazione e il programma gare il mio “coach” è Dario David Cio­ni. Mi è andata bene, almeno con lui posso parlare italiano. Scherzi a parte, con l’inglese me la ca­vo, mi faccio capire e capisco, ma devo migliorare anche da questo punto di vista. Che rapporto ho con Fondriest? Sono legato a Mau­rizio da amicizia, abitiamo vicini e ho sempre militato in squadre che orbitano attorno a lui, al suo negozio e alle sue bici, è naturale che siamo in contatto. Mi dà consigli, ma nulla di più perché il mio riferimento è sempre stata e sempre sarà la squadra per cui lavoro. La linea blu sulla maglia nera che in­dosso da quest’anno indica il confine tra la sconfitta e la vittoria. Tra fare le cose bene e al top. Io darò il massimo per essere dalla parte giusta. Già nel primo ritiro abbiamo cercato di focalizzarci al meglio su quelli che saranno gli obiettivi di squadra. Brailsford ci ha caricato con un discorso in cui non si è limitato a dire “abbiamo concluso una grande stagione” ma ha aggiunto “l’anno prossimo dobbiamo migliorarci ul­teriormente”».

Sei già entrato nell’ottica dei “marginal gains”.
«Sì, è la filosofia della mia nuova squadra e mi ci ritrovo molto. Per emergere in gruppo bisogna prestare attenzione ai minimi dettagli. Ogni piccolo passo contribuisce a determinare il risultato. Sa­crifici e rinunce non mi han­­no mai spaventato. An­dare in bici per me è come raccogliere le mele. Il prodotto riflette l’impegno: se ci metti cuore e tempo, in autunno raccogli buoni frutti, altrimenti il risultato è negativo. Il discorso vale sia per l’agricoltura che per uno sport come il no­stro. Per questo mio primo anno nella massima categoria voglio riuscire a essere in corsa, ossia a essere d’aiuto ai miei compagni nelle fasi già calde della corsa, non pretendo di arrivare coi primi perché sarebbe esagerato, ma non voglio nemmeno far fatica a tenere le ruote del gruppo».

Il tuo programma?
«Esordirò a gennaio a Maiorca, quindi andrò al Dubai Tour e al Nord per iniziare ad assaporare le classiche. Sulla carta non di­sputerò Fiandre e Roubaix, ma quelle minori. Successivamente correrò la Coppi&Bartali, il Giro del Trentino e il California per poi staccare e fare un bilancio della prima parte di stagione. Non sarò al via di grandi giri per quest’anno, me lo aspettavo e penso sia la scelta migliore. Sono passato in una squadra World Tour che in qualsiasi gara si deve presentare ad alto livello con capitani che possono vincere e meritano di avere un gruppo, attorno a loro, che li supporti al cento per cento. Alle prime esperienze non sarei utile al leader designato perché non sono pronto fisicamente né sarebbe una grande mossa per me visto che dovrei affrontare uno sforzo troppo grande rispetto al trend a cui è abituato il mio fisico. Mi piacerebbe mettermi alla prova in qualche classica mo­numento, alle più prestigiose sono iscritto come riserva, chissà... In­di­pen­dentemente dal calendario, comunque, voglio partire forte e far vedere che ci sono».

A Livo (TN) che dicono?
«Sono felici per me. Papà Bruno e mam­ma Luisa e le mie tre sorelle maggiori Valentina, Francesca e Federica, rispettivamente dell’80, ’83 e ’89, sono orgogliosi ma allo stesso tempo mi tengono con i piedi per terra, in tutti i sen­si. L’agricoltura è la mia seconda passione, papà ha un’azienda agricola, quando sono a casa e posso, cerco di rendermi utile. Prediligo i lavori che si possono fare con il trattore per non stancarmi troppo, così il ciclismo non ne risente. Mamma dà una mano in azienda e si occupa principalmente del­la casa mentre le mie sorelle si dedicano a tutt’altro. La più grande è avvocato e insegna all’Università di Trento Facoltà Giurisprudenza, la seconda la­vora per uno studio legale di Bolzano e la terza fa la segretaria per un notaio. Io fin quando ho militato nella categoria juniores avevo più tempo per lavorare, ora ne ho meno perché sono spesso via ma curare i meli mi piace molto. Mi sono diplomato perito agrario (con il massimo dei voti) anche per questo».

Caratterialmente come ti definiresti?
«Un ragazzo schietto. Se penso una co­sa la dico o la faccio capire. Dopo una sfuriata, però, non porto rancore, e quando mi arrabbio mi passa subito. Inoltre sono davvero pignolo, meticoloso, insomma mi piace fare le cose per bene. A volte sono fin troppo ri­fles­sivo. Anche con la bici sono un precisino, ma non dal punto di vista tecnico. Non sento il millimetro di differenza, ma se mi impunto su qualcosa è difficile farmi cambiare idea. Se per esempio ho un certo programma di allenamento e non riesco a svolgerlo, non sono tranquillo, se un giorno mi sembra di andare meno forte del solito torno a casa insoddisfatto e fino all’allenamento del giorno successivo, in cui mi rendo conto che la condizione è buona, non sono contento. Sono uno che cerca sempre conferme, sul dato strappetto faccio sempre la volatina per capire a che punto sono».

I tuoi numeri?
«Sono alto 1.80 mt per 69 kg. Cerco di ispirarmi ai corridori già affermati con le mie caratteristiche fisiche, penso a grandi campioni del calibro di Froome e Wiggins. Idoli? Da bambino in Tren­tino non si poteva tifare altro che Si­moni, oggi ammiro Contador e molti altri ma su tutti se devo fare un nome dico Bradley Wiggins, un personaggio super interessante».

Quando hai iniziato a correre?
«Da G2, a 7 anni. Papà ha sempre avu­to la passione del ciclismo anche se non l’ha mai praticato. Segue le corse, non se n’è mai persa una vicino casa, ogni volta che passava il Giro dalle no­stre parti era una festa. Un giorno a una fiera dell’agricoltura trovai per ca­so uno stand di quella che sarebbe di­ventata la mia prima squadra, all’epoca si chiavama UC Dalla Torre oggi UC Rallo, provai la gimkana che avevano allestito per l’occasione e da lì è iniziata la mia avventura nel mondo delle due ruote».

Ti ricordi la tua prima bici?
«Era azzurra con il nastro rosso. Prima di praticare ciclismo, come tanti bambini nella mia zona, avevo frequentato dei corsi di sci da discesa. Sulla neve ero davvero scarso, ricordo le figure bar­bine raccolte per due anni alle ga­rette di fine corso tra tutti i bimbi partecipanti. Arrivavo sempre ultimo, con distacchi abissali (ride, ndr). Quan­do le mie sorelle vennero a vedermi alla prima corsa in bici davano per scontato avrei fatto una magra figura invece le prime tre gare le vinsi, una dietro l’altra. Rimasero a bocca aperta».

Cosa ti piace del ciclismo?
«Che non ci sono chiacchiere che tengono: se hai gambe hai la possibilità di vincere, se no resti indietro. È uno sport vero, in cui conta la prestazione e non ci si può nascondere».

Come trascorri il tempo libero?
«Suono la fisarmonica. Nelle zone di montagna non è uno strumento così raro, nelle sagre non manca mai. Io ho iniziato a suonarla perché ho frequentato un corso in paese, non faccio parte di nessuna banda, ma mi piace suonarla da solo o “stonando” con qualche amico che strimpella altri strumenti».

Un po’ di tempo per Sofia (la fidanzata Ber­tizzolo, vincitrice dell’Oscar tut­toBICI come miglior donna junior, ndr) riesci a trovarlo?
«Sì, alla Notte degli Oscar per esempio (sorride, ndr). Da più di un anno stiamo assieme, siamo entrambi molto im­pegnati ma siamo felici. La nostra storia è nata in modo curioso: quando eravamo al Sestriere per preparare il Mon­diale di due anni fa, mi sono fatto dare il suo numero da Federico Zurlo e le ho fatto uno scherzo telefonico fingendomi un giornalista. Mi ha stupìto la maturità con cui ha risposto alle mie domande, da quel giorno ho iniziato a corteggiarla e alla fine è andata bene. Ce ne ho messo però di tempo per far­mi perdonare quello scherzo...».

Al debutto tra i professionisti, esprimi un desiderio.
«Il mio sogno è vincere un giorno una grande corsa a tappe, ma le mie caratteristiche mi portano più verso le classiche. Sono un passista-scalatore dotato di un buono spunto veloce, anche se con gli anni maturerò e solo allora capiremo se le mie doti mi permetteranno di puntare a Giro e Tour. Intanto parcheggio il trattore e mi concentro sulla bici, le prime corse sono già qui».

Giulia De Maio, da tuttoBICI di dicembre

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