PARIGI-BREST-PARIGI. Due italiani d'antan...

STORIA | 06/09/2015 | 09:28
Stimolato dall'articolo firmato ieri da Marco Pastonesi - CLICCA QUI - sulla Parigi-Brest-Parigi, Carlo Delfino, medico varazzino e grande appassionato di ciclismo storico, ci propone il racconto dell'avventura di due italiani d'antan sulle strade francesi.

Tra i circa di seimila ciclisti ai nastri di partenza della Paris Brest Paris partita il 16 agosto figurano due velocipedisti alquanto insoliti a vedersi, lo scaligero Simone Lamacchi, su macchina Garrigues del 1902 e il parmense Alberto Boschi, su macchina Automoto del 1903. 
La Paris Brest Paris è la randonnée più famosa dell’universo a due ruote e vi confluiscono impavidi atleti da ogni continente.
1230 km di incessanti cote che si susseguono senza tregua (se ne contano circa 300) e che portano il dislivello positivo a quasi undicimila metri.
 Venendo ai mezzi, prima di addentrarci nei meandri della cronaca della corsa, la macchina di Simone Lamacchi è una Cycles Garrigues rapporto 23x10, passo humber, freno anteriore a tampone, posteriore a fascetta con tiraggio dal basso (uno dei primissimi esempi di freno di tal tipo), cerchi in ferro, borsello anteriore con due bottiglie, posteriore con tutto l’occorrente per il lungo viaggio. La macchina di Alberto Boschi è una Automoto, rapporto 27x12, passo humber, freno anteriore a tampone, scatto fisso, anche lui stesso tipo di borselli.
 Anche l’abbigliamento è filologico, maglia con tasconi e calzamaglia in lana grezza, scarpini a mocassino, basco e occhialoni per la polvere. 
Sono due veri Touriste Routier isolati, quindi nessuna sorta di assistenza esterna.
 Alle 17.15 del dì di festa, dopo le operazioni di punzonatura, la nostra magnifica gioventù si invola verso la battaglia passando tra un autentico mare umano di spettatori trepidanti e frementi di gioia. 
I battiti salgono, non ci si può più tirare indietro, due anni di allenamenti per la ciclopica prova che col tricolore Uvipino sul petto (Unione Velocipedistica Parmense) sarà foriera di emozioni per i nostri due prodi eroi.
 Loro son lì per rendere il giusto tributo a chi li ha preceduti, in primis Maurice Garin, le petit ramoneur, che nel 1901 è stato l’unico italiano (prima di acquisire la nazionalità francese al termine di quell’anno) a vincere l’immane fatica francese. 
Sul percorso tredici punti di controllo dove festanti paesi accolgono i soldati gloriosi in un’attesa attonita e gaudente.
 Ma si attraversano molti altri village festanti e ivi gli abitanti con i loro audaci giovinetti offrono bevande e torte in abbondanza il tutto sempre contornato di un paesaggio agreste verdeggiante guardato a vista da sonnolente vaches.
 Tradizione vuole che nei paesi attraversati, alle famiglie che offrono i loro prodotti si contraccambi non con moneta sonante ma nello spedire una volta tornati a casa una cartolina a ricordo della manifestazione e di indirizzi i nostri baldanti giovani ne porteranno parecchi nelle colme tasche.


Durante la prima notte la falange audace avanza ancora fitta con le luci dei fari all’orizzonte che guidano nel tracciato sinuoso e vallonato.
 I principali centri che si passano sono Mortagne au Perche, Villaines la Juhel, il più festante e Fougeres con il suo maestoso castello ad attenderli a metà del tracciato di andata verso l’oceanica Brest. 
Dopo circa soli 200 chilometri la macchina del Boschi preoccupa per un problema alla catena che nelle discese più ripide e veloci sobbalza troppo e fuoriesce per cui i due coequipiers sono costretti a fermarsi numerose volte per risolvere il danno perdendo tempo prezioso al loro intento di giungere alla meta nel tempo limite di 90 ore.
 La prima notte i due non dormono nonostante i cascinali tentatori, col Boschi che in alcuni tratti battendo la banchina tira le fila di uno sparuto gruppo che si lascia guidare senza pensieri. 
Le salite si fan sempre più erte e tortuose ma nonostante siano sprovvisti di cambio Simone e Alberto incedono in un passo magnifico alternandosi in testa.
 Ecco finalmente il primo chiarore dell’alba nascente, seppur la nebbia la offuschi un po’, la temperatura è scesa parecchio e i gradi sopra lo zero sono meno di dieci (e così sarà anche per le successive notti bretoni).


Brest è sempre più vicina, l’aria dell’Oceano da lontano sferza le loro macchine, ma resta, prima di intravedere l’agognato immenso mare, la scalata alla Roc de Trevezel, la salita più lunga anche se non la più arcigna.
 Dopo circa 41 ore eccoli al giro di boa in una raggiante Brest le cui strade assomigliano tanto ad una americana San Francisco. Il tempo di una quiche lorraine e via per respirare l’aria della ville lumiere anche se il titanico cimento è ancora lontano…quasi irraggiungibile.
 Il percorso della via del ritorno è per lunghi tratti lo stesso dell’andata, tema dominante nello sfondo sono colline a tratti brulle e ubertose vallate che sembrano dipinte dai loro mai domi ultracentenari cavalli di ferro.
 Al km 800, ad un tratto, nei paraggi di Meneac, uno dei pneumatici che sospingono il Lamacchi, l’anteriore, scoppia, è un tumulto ma grazie all’aiuto del corridore amico, riparano in un men che non si dica alla sventura e ripartono come due soldati gloriosi. 
Nelle ore centrali del giorno la temperatura sale, oltre le medie delle terre bretoni, si toccano i 28 gradi e la sete porta a prendere d’assalto le fontane dei borghi attraversati. 
Nella notte si pedala sempre incessantemente un passo severissimo, il sonno può attendere ed alla fine in totale le ore dormite saranno solo due. 
Ormai sembrano lanciati alla conquista della gloria anche se sulla macchina del Boschi incombe sempre la spada di Damocle di una catena che non vuol saperne di compiere il suo dovere. Per mantenere una velocità ridotta nelle discese che andrebbero in realtà affrontate a velocità più precipitosa, egli ha ormai consumato quasi tutta la gomma del freno a tampone e ingegnandosi in una scintillante idea, utilizza la suola delle scarpe per ridurre l’impeto del suo velocipede.


A circa 200 chilometri dall’Omerico traguardo a Souge le Ganelon, Boschi lascia andare Lamacchi in avanscoperta per evitare nella peggiore delle ipotesi che il entrambi non riescano a terminare la superba lotta nelle 90 ore.
 Ma la storia ha un lieto fine, la meravigliosa vittoria all’esterno del velodromo di Saint Quentin li attende, 84 ore per Lamacchi, 87 ore per il Boschi, l’omerico cimento è vinto, ora l’Italia vuole ammirarvi, il cuore batte per voi.

Carlo Delfino
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