NEL MONDO DI NIBALI. Vanotti, l'amico di una vita

PROFESSIONISTI | 03/09/2014 | 08:00
Ha passato più tempo con Vin­cenzo nella stessa camera da letto, che con sua mo­glie Romina. Per certi versi - con tutto il rispetto per lei -, la stessa Rachele certe cose di Vincenzo non le conosce e probabilmente non le potrà conoscere mai, perché sono l’intimo più intimo di un corridore. Come si addormenta un campione alla vigilia di una tappa decisiva in un Grande Giro, co­me si sveglia. Cosa è solito dire e fare nel pieno del suo lavoro, in una corsa difficile e snervante come il Tour de France.
Alessandro Vanotti, 33 anni, bergamasco, da otto anni in tutte le trasferte divide la stanza con Vincenzo. Anche in questo Tour portato a casa trionfalmente, è stato colui che l’ha accompagnato nel mondo dei sogni per tre settimane. E l’ha fatto anche con un pizzico di invidia.

«Sì, è vero, Vincenzo è incredibile anche quando deve coricarsi. Una delle sue doti, importante per recuperare, è che dorme come un sasso. Il tempo di dirsi la buonanotte e già dormiva. Io invece mi giro e rigiro nel letto, non riesco ad addormentarmi così bene e così in fretta. Anche in quello, Vincenzo, è un fuoriclasse».

Con questo Tour Vanotti ha portato a termine la sua diciassettesima esperienza nel­le grandi corse a tappe.
«Ogni mattina, appena svegli, davamo un’occhiata alle prime pagine dei giornali italiani e vedevamo che l’interesse aumentava di giorno in giorno. Poi anche un’occhiata ai siti. Il primo? tuttobiciweb.it, il preferito da tutti i corridori».

Ma che Tour è stato?
«Incredibile. Diciamo incredibile perché è andato tutto davvero molto bene. Io e Michele (Scarponi, ndr) lo pren­devamo in gi­ro perché Vincenzo si comportava come se la maglia fosse sulle spalle di un altro. Abbiamo passato giorni e giorni a prenderlo in giro. Vincenzo, ma lo sai che sei in maglia gialla? E lui ci guardava e divertito rispondeva: embé, cosa dovrei fare secondo voi, mettere i manifesti, appendermi alle grondaie? Lo so, ho la ma­glia, ma non abbiamo ancora fatto niente. L’enorme vantaggio di Vin­cenzo, co­me ho detto, è che gli pas­sa tutto sopra, come l’acqua sui sassi. Lui è un fuoriclasse, non per come va in bicicletta, ma per come riesce ad estraniarsi e a staccare la spina. Spesso sono più agitato io per lui…».

Alessandro è un nipote d’arte. Suo zio, Ennio, è stato negli anni Ottanta un buon corridore, ai tempi di Silvano Con­tini. Alessandro co­mincia a correre da G2 a 7 anni, con la maglia della GS Vanotti Kociss. Poi la Rota Nodari di Almenno San Bar­to­lomeo e la Ber­ga­masca di Antonio Bevilacqua. Passa come stagista nel 2002 alla Colpack De Nardi e lì incontra lo zio Ennio, che era diesse alla Index.
«Mio zio ha una passione smisurata. Anche in questo Tour è venuto a trovarmi, sull’Izoard è arrivato con 70 persone e mi ha fatto un immenso piacere. È ancora in grande forma. È forse anche più rigoroso di me nell’alimentazione e a lui devo molto, perché mi ha davvero insegnato tantissimo».

Cosa hai imparato da Vincenzo in questi anni?
«A non caricarmi di troppa tensione, anche se io non sono come lui. Io non riesco a staccare mai veramente. Però è bello stare al suo fianco. È un grandissimo corridore, ma soprattutto è una bellissima persona. È difficile trovare corridori così umili e disponibili. Ce ne sono tantissimi che non valgono una sua unghia e se la tirano come pochi».

È vero che tu eri il regista della squadra?
«Ero il punto di raccordo tra Martinelli e Shefer. Sono uno che sa leggere la corsa, che capisce le situazioni e i miei compagni mi riconoscono questo ruolo. Io lo faccio con grande piacere».

Ma quanto tempo tu e Vincenzo siete stati in giro?
«Prima sono andato ad allenarmi da lui a Lugano, poi su al Teide, poi il Del­fi­nato, poi le Dolomiti al Passo San Pellegrino, e infine il Tour. Insomma, tolti un paio di giorni tra una cosa e l’altra per cambiare la valigia, sono almeno tre mesi che siamo in giro assieme».

Che tipo di corridore eri da dilettante?
«Lento. A parte gli scherzi, ero più uno scalatore. Non ho mai vinto tantissimo, ma ero molto forte e possente. Poi passato professionista ho trovato una nuo­va dimensione. Più passista, più regista, più uomo capace di limare e aiutare a stare nel posto giusto al momento giusto».

Oltre alla lettura dei giornali, Vincenzo cosa amava fare nei pochi momenti di relax?
«Ascoltavamo musica. Lui ha portato anche le casse della Bose e ascoltavamo musica di ogni genere, anche se a lui piacciono soprattutto i cantautori come De André, De Gre­gori, Dalla e Jo­va­notti. Poi aveva anche un hard-disk nel quale aveva caricato tantissimi film, ma non siamo mai riusciti a vederne uno dall’inizio alla fine: troppo stanchi».

Dicono che sia anche un tipo molto ge­ne­roso…
«Molto, e non è da tutti. Fa regali ai com­pagni. Per il Gi­ro ha regalato un viaggio a tutti. Una vacanza. Ognu­no ha scelto quello che voleva, io sono andato con mia moglie a Ortisei. Non volevo andare troppo lontano, ero davvero sfinito e allora siamo andati al “Cavallino Bianco”, dove ti tengono anche i bimbi (Alessandro è papà di Angelica, 6 anni) e io e mia moglie ce la siamo goduti come due fidanzatini. Adesso per la vittoria al Tour dobbiamo ancora decidere. Una cosa è però certa, quest’inverno dovrò andare a trovare Vincenzo in Sicilia. Da anni che mi invita e io, pigro, non ci sono mai andato. Quest’anno se gli dico di no mi ammazza».

Il segreto di questa vittoria?
«Secondo me l’aver corso pochissimo. A differenza di altri è arrivato al top al Tour e si è visto come andava».

Se ci fossero stati Froome e Contador come sarebbe andata a finire?
«C’erano, e fin quando ci sono stati erano indietro, molto indietro. Poi non sono un mago indovino. Dico solo che Alberto (Contador, ndr), per me più in palla del britannico, non avrebbe recuperato 2’30” con tanta facilità».

Quello che dici, però, contrasta con il progetto che ha in animo di avviare Vin­cenzo: Giro e Tour…
«È un progetto, ambizioso. Per ora gli frulla in mente, ma poi ci si siederà e si discuterà il programma. Intanto godiamoci il Tour. Quan­do mi capiterà di vivere ancora una emozione così?».

Pier Augusto Stagi, da tuttoBICI di agosto
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COMMENTI
Sarei attento
3 settembre 2014 09:06 cesco381
....se fossi Vanotti sarei attento visto la fine che ha fatto Agnoli! Scherzi a parte Nibali farebbe bene a contornarsi di qualche italiano in più, perché fino a che Vino "ordina" cosa deve essere fatto per Nibali ai suoi concittadini il nostro ciclista avrà aiuto ma se per caso non lo dice siamo messi con le braghe in mano!

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