MARTINELLI. «Tour, Giro e una crescita continua»

PROFESSIONISTI | 06/01/2014 | 10:04
Quali sono le qualità indispensabili per un buon direttore sportivo? «Carisma, carattere e anche un pochino di amor proprio». Parola di Giuseppe Mar­ti­nelli, premiato alla Notte degli Oscar tuttoBICI come miglior diesse della stagione 2013.
«È fondamentale saper amalgamare il gruppo e impegnarsi con attenzione sempre al cento per cento. I tempi sono cambiati, ora il ciclismo non si fer­ma mai. La stagione si conclude al Giro di Pechino e una settimana dopo si è già al lavoro per stilare i programmi dell’anno successivo. Come i corridori, anche gli altri membri della squadra devono sempre essere sul pezzo» racconta il team manager della Astana che, dopo aver corteggiato a lungo Vin­cenzo Nibali, ha siglato con il siciliano una stagione tra le migliori della sua ricca carriera, nella quale spiccano le vittorie al Giro d’Italia di Pantani, Gar­zel­li, Simoni, Cunego e Contador e quelle al Tour de France di Pantani e Contador. Dopo aver fatto sbocciare lo Squalo e aver vinto con lui una preziosa maglia rosa, ora il condottiero della formazione kazaka punta a tornare a vincere la Grande Boucle con un team che «se non è il più forte al mondo, ci va molto vicino! Scarponi è l’uomo in più che ci serviva, vedrete alla fine del 2014...» promette Martino dal ritiro di Montecatini dove l’Astana ha gettato le basi per la stagione che sta per iniziare.

Diesse del 2013: non male, no? 
«Per niente, anzi sono molto gratificato da questo premio, ma come ho detto il 13 novembre a Verona è facile vincere un premio così guidando un corridore come Nibali. Non mi ritengo più bra­vo di altri miei colleghi italiani che si trovano al timone di squadre più piccole. Questo riconoscimento mancava al mio palmarès quindi ne sono felice ma, ripeto, devo dividerlo assolutamente con la squadra». 

Chi ti ha insegnato questo mestiere? 
«Ho avuto tanti maestri a cui devo dire grazie. A cominciare da Primo Fran­chini, che è stato il mio diesse per antonomasia quando ero corridore dal 1978 al 1985 (eccetto il biennio ’81-82 in cui vestì i colori della Santini prima e della Selle San Marco poi, ndr) e al fianco del quale ho debuttato al termine della mia carriera agonistica nella Ecoflam. A seguire sulla mia strada ho avuto la fortuna di incontrare Davide Boifava con cui ho lavorato 10 anni alla Carrera Jeans e infine c’è l’uomo con cui ho avuto temporalmente meno a che fare ma a cui devo di più, vale a dire Lu­cia­no Pezzi, general manager della Mer­ca­to­ne Uno nel ’97. Da lui ho imparato che la chiave per un team vincente è co­struire un gruppo affiatato attorno a un leader forte».

Che voto dai alla tua squadra per la stagione 2013? 
«Penso che un 9 sia giusto e sia quasi del tutto merito di ciò che ha raccolto Vincenzo. La nostra stagione è stata così importante e positiva grazie a lui, l’Astana 2013 è sinonimo di Vincenzo Nibali. Se fossimo andati a segno an­che alla Vuelta e fossimo andati meglio al Tour mi sarei sbilanciato con un 10, ma c’è sempre qualcosina da migliorare. Il momento più emozionante per tutti è stato l’arrivo a Brescia del Giro, ho sempre sognato di arrivarci in rosa. Vedere Vincenzo sul podio è stata un’emozione che mi ha toccato dentro e gratificato dei sacrifici che tutti noi abbiamo affrontato per arrivare fin lì vincitori».

Apriamo una parentesi sulla tua vita privata. Non è comune che un diesse così in vista abbia un figlio corridore così promettente. Molto probabilmente Davide (se­condogenito di Beppe e Anna, fratello di Fran­cesca, segretaria del team Astana e giudice di gara, ndr) nel 2015 passerà al professionismo. 
«Davide ha il suo bel caratterino, come tutti i ragazzi di 20 anni che si stanno formando. Si è diplomato al Liceo Spor­tivo Gianni Brera di Brescia e ora sta cercando la sua strada nel ciclismo. Non accetta mai i consigli senza dire la sua, ma devo dire che in fondo in fon­do mi ascolta (sorride, ndr). Le scelte, giuste e sbagliate che siano, le prendiamo insieme. Decidere di trascorrere an­cora un anno da dilettante con il team Colpack, nonostante ragazzi della sua classe (1993, ndr) siano passati nella massima categoria, per lui è stato come fare un passo indietro. “Ho un papà diesse nel World Tour, passano altri che hanno raccolto anche meno risultati di me e non io” pensa, ma io l’ho spinto a non avere fretta perché per il suo futuro un altro anno tra gli Under 23 è la soluzione migliore. Ma­tu­rare conta molto, bisogna arrivare alla massima categoria pronti, avendo vinto qualcosa di buono che ti permetta di ritagliarti il tuo spazio». 

Quanto lo segui? 
«Quando sono a casa molto, quando so­no via a volte mi dimentico... Non di lui o della mia famiglia sia chiaro, ma di tutto ciò che va oltre alla squadra e alla gara in cui mi trovo a lavorare. Amo questo sport al cento per cento, mi assorbe così tanto che trascuro un po’ tutto il resto. Per questo dicevo che un buon diesse deve avere anche un po’ di amor proprio, per non perdere di vista le priorità e capire che il lavoro è importante ma non è tutto».

Dove può arrivare Davide? 
«Non sta a me dirlo, sono decisamente di parte. Io gli ho sempre consigliato, come a qualsiasi giovane che si approccia al professionismo, di andare avanti sempre con i piedi di piombo. La carriera del ciclista si è allungata ma, co­me gli ripeto sempre, è fondamentale arrivare nelel ciclismo che conta pronti. Oggi c’è tanta confusione tra i professionisti veri e quelli che lo sono solo sulla tessera, purtroppo è sotto gli oc­chi di tutti che molti ragazzi passano e dopo un anno o due sono al vento, sen­za squadra. Dobbiamo tutelarli di più. Seguendo Davide e le corse dei ra­gazzi della sua età, ad ogni modo ho la certezza che abbiamo un buon ciclismo che sta per arrivare, un gruppo di ra­gaz­zi che ha potenziale, deve crescere con calma ed essere consigliato al me­glio».

Lo proporresti mai a Vinokourov? 
«Da papà sinceramente mi piacerebbe molto averlo con me all’Astana, ma a Vi­no non l’ho mai proposto perché non so quale potrebbe essere la sua ri­sposta. L’ideale sarebbe che Davide passasse con un’altra formazione per poi ritrovarci, professionalmente parlando, più avanti. All’inizio credo sia giusto cammini con le sue gambe e tro­vi il suo spazio, avendomi come papà e non anche come team manager».

Torniamo al lavoro. Torniamo al dilemma: Giro o non Giro?
«Pochi giorni fa abbiamo stilato i programmi individuali e gli obiettivi di squadra. L’obiettivo numero uno per Vincenzo nel 2014 è il Tour de France, ma non abbiamo mai escluso a priori la sua partecipazione al Giro d’Italia, prenderemo una decisione definitiva al riguardo solo a febbraio (mese in cui Nibali diventerà papà, ndr), quando vedremo le prime vere pedalate in gara e adotteremo concretamente la strategia per arrivare al top al Tour. Attorno a lui abbiamo costruito un gruppo solido con ragazzi come Fuglsang, Kes­sia­koff e Vanotti che svolgeranno un programma identico o quasi al suo in vista della Grande Boucle».

Personalmente, nel decennale della scomparsa di Marco Pantani, vorresti correre il Giro d’Italia per vincerlo? 
«Certo! Per me la corsa rosa conta davvero tanto, ne ho vinte cinque e da italiano è la mia gara preferita. È come lo scudetto per un tifoso di calcio, la Champions League sarà anche più im­portante ma il cuore batte quando vinci nel tuo paese. Va bene l’internazionalità, ma la nostra nazione resta l’Italia. Mi piacerebbe eccome vincerlo per onorare anche Marco, in occasione di questo triste anniversario. In ammiraglia, soprattutto in certe tappe, avrei mol­ta emozione. La scelta di puntare tutto sul Tour con Vincenzo è stata voluta e condivisa davvero da tutti noi e con l’arrivo di Scarponi e la presenza del promettente Aru, anche se Vin­cen­zo non fosse al via, sono certo che la Astana farà comunque una gran figura al Giro».

Come si fa a vincere il Tour de France? 
«Eh, bella domanda (sorride, ndr). Bi­sogna sentirlo dentro, correre un anno in funzione di quelle tre settimane, partire bene, ottenere subito dei buoni ri­sultati per la tranquillità di tutta la squa­dra, che deve supportare al cento per cento il capitano fino a Parigi. A Leeds voglio che Vincenzo guardi i suoi uomini e sappia che sono all’altezza di questa grande sfida e voglio che a loro volta ognuno di loro si convinca che è giusto essere lì e dare il massimo. Tappa per tappa, poi, è tutto molto più facile. La tattica si può cambiare in cor­so d’opera: è vero che si può im­prov­visare meno che al Giro, ma anche in Francia si può pensare a qualche imboscata. In Italia Vincenzo sarebbe il faro della corsa, al Tour ci sono così tanti corridori forti che meritano di essere nella lista dei favoriti e squadre super organizzate, che potremo correre sugli avversari e approfittare degli errori altrui. Ogni giorno dovremo guadagnare quanto possiamo, sfruttando i passi falsi dei nostri avversari: le corse a tap­pe si vincono così. Nello specifico ab­biamo già segnato qualche punto chiave come il tratto di pavè della Rou­baix, sarà scontato ma è proprio una di quelle occasioni in cui non vedremo chi vincerà il Tour ma chi l’ha perso». 

Avete svolto una campagna acquisti mirata alla maglia gialla: sei soddisfatto dei nuovi arrivi? 
«Sì. Abbiamo colmato quasi tutte le nostre lacune con tasselli importanti. Con Scarponi e gli altri siamo cresciuti qualitativamente. Avevamo bisogno di corridori forti e di esperienza che san­no arrivare al posto giusto nel momento giusto, gente che ha voglia e conosce il proprio ruolo. Michele nello specifico è la persona ideale, proprio quella che fa al caso nostro. Sa motivare il gruppo, assumersi le sue responsabilità in prima persona e lavorare se serve per gli altri. Un professionista vero. Vor­rei spendere due parole anche su Mikel Landa che arriva dalla Euskaltel: è un ra­gazzino di talento, un giovane che mi auguro già quest’anno potrà far uscire il meglio di sé. Sarà al Giro con Aru e Scarponi per imparare da Mi­che­le e te­ner duro in salita. Scommettiamo che si farà vedere già davanti?».

Ci fidiamo. A proposito di promesse, parliamo di Aru. Nibali ha dichiarato che gli ricorda molto lui da giovane e che tra qualche anno vincerà il Giro d’Italia. 
«Anche io ho speso tante parole buo­ne, anzi buonissime su Fabio perché sono convinto che rappresenti il futuro italiano delle corse a tappe. Deve crescere con tranquillità, non bruciare le tappe e non deluderà le grandi aspettative che nutriamo in lui. L’arrivo di Scarponi sono sicuro gli farà bene, gli darà tranquillità e sicurezza, gli permetterà di imparare come si vive da protagonista un grande giro senza ave­re sulle spalle la pressione che questo comporta da dicembre a maggio. Que­sta responsabilità l’avrà Michele, ma la corsa rosa è adatta a Fabio. In­sieme ci faranno divertire».

Guardini invece ti ha deluso? 
«Andrea non ha brillato, è innegabile, ma aspettiamo a dire, come qualcuno si è già permesso di fare, che ha sbagliato a venire nella nostra squadra. È giovane e deve maturare molto, nei pri­mi anni da professionista ha avuto mol­ta fortuna e tutto gli è andato liscio, le aspettative nei suoi confronti sono au­mentate molto, ma una stagione difficile può averla chiunque. Rispetto al 2012 è cresciuto come “motore”, prima della fine del 2014 secondo me è affrettato esprimere giudizi su chi è e dove potrà arrivare. Il confronto con grandi velocisti come Cavendish, Greipel, Boas­son Hagen e compagnia bella non è facile per lui ma ha tanta grinta e volontà di arrivare e per me questo con­ta tanto». 

Chiudiamo con i confermati. 
«Il gruppo italiano ormai si è amalgamato bene nella compagine kazaka. Ab­biamo tenuto Gasparotto, Gavazzi, Agnoli e altri corridori che si sono di­mostrati fondamentali per la squadra e anche nel 2014 sapranno supportare al meglio le nostre forti individualità. Ol­tre agli azzurri, abbiamo anche stranieri molto importanti. Non dimentichiamoci per esempio di Alexey Lutsenko, campione del mondo Under 23 nel 2012, talento indiscusso, che vi garantisco vedremo davanti nelle classiche già di quest’anno».

Cosa chiedi ai tuoi ragazzi per la stagione alle porte?
«Di farmi gioire come sono riusciti quest’anno spesso e volentieri. Alla prima riunione, a Mon­tecatini, ho chiesto loro di guardarsi negli occhi e di fissarsi bene in mente che, se non siamo la migliore squadra al mondo ci siamo molto vicini e alla fine del 2014 voglio che tutti nel mondo del ciclismo lo sappiano». 

di Giulia De Maio, da tuttoBICI di dicembre
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