Nibali rosa: "Piddu" raccontato da Michele Pallini
PROFESSIONISTI | 02/07/2013 | 09:18 Uno sguardo. Gli basta questo per capire cosa passa per la testa dia Vincenzo Nibali. Per questo Michele Pallini, di professione massaggiatore, è sempre al suo fianco. Avete presente il ragazzo alto con l’immancabile cappellino Astana, che dopo ogni arrivo al Giro d’Italia lo abbracciava tra la calca di giornalisti e addetti ai lavori appena tagliata la linea per portarlo a cambiarsi? Ecco, Michele Pallini è lui. Pisano classe ’71 massaggia la maglia rosa dal 2007 e ormai Piddu, «in squadra Vincenzo lo chiamiamo così, non so come sia nato questo soprannome ma credo sia opera di Agnoli (in dialetto siciliano l’Etna viene chiamato Iddu, ossia “lui”)», lo conosce come le proprie mani. Michele, come sei entrato a far parte del mondo delle due ruote? «Sono nato in una famiglia in cui la passione per il ciclismo si respirava come l’aria. Mio zio correva da giovane, negli anni ’50, poi ha trasmesso la “malattia” a mio padre, mancato quattro anni fa, che a sua volta l’ha passata a me e a mio fratello minore. Ho gareggiato fino a junior primo anno, ma è inutile girarci intorno: andavo piano. Così dopo il servizio militare mi sono concentrato sugli studi, ottenendo il titolo di infermiere professionale e specializzandomi in massofisioterapia. Il giorno dopo l’esame, sono partito per il mio primo Giro d’Italia. Nel 1996 ho infatti debuttato nel Team Selle Italia-Glacial, poi ho trascorso un anno nella Refin-Mobilvetta e quello successivo alla Cantina Tollo, dal 1999 al 2004 ho lavorato in Saeco, nel 2005 in Liquigas, le due stagioni successive sono stato in Lampre e dal 2008 di nuovo alla Liquigas. Da quest’anno, la mia diciassettesima stagione nel mondo del ciclismo, per volontà di Vincenzo sono passato con lui al team Astana». E Vincenzo quando l’hai conosciuto? «Nel 2007 in occasione di una preolimpica in Cina con la Nazionale. La prima impressione che ho avuto di lui ad essere sincero non fu delle migliori, forse perché entrambi caratterialmente siamo un po’ chiusi. Sapete cosa chiesi al mio collega Michele Del Gallo (il massaggiatore di Pozzato, ndr) riferendomi a Vincenzo? “Ma a questo, secondo te, viene naturale rompere le balle così?”. Lui mi rispose: “No, è solo giovane”. E aveva ragione lui. A ripensarci oggi, mi viene da ridere perché tra di noi si è creato un legame speciale. L’anno successivo al nostro incontro sono passato alla Liquigas e mi sono stati affidati i giovani, quindi lui, ma anche Kreuziger, Pellizotti e gli altri emergenti. Ho iniziato a lavorare in maniera più specifica con lui alla Vuelta a España 2010, quella che vinse. Io non dovevo andarci, facendogli i massaggi qualche tempo prima gli avevo però raccontato i miei programmi dicendogli che nel periodo successivo sarei stato a casa. Lui mi stupì dicendo candidamente: “E io come faccio?”. Visto che mi voleva con lui, chiesi ad Amadio se potevamo cambiare il mio programma e senza problemi Roberto mi disse di sì. Da quella volta, lavoro praticamente a tempo pieno con lui, tra ritiri e corse mi resta davvero poco tempo da dedicare ad altro». Cosa succede durante il rito del massaggio? «Partiamo col dire che lavorare con Vincenzo è semplice perché è un ragazzo preparato e competente, se non sbaglio quando aveva 16 o 17 anni ha frequentato anche un corso di massaggi quindi se e quando ha problemi me li indica lui. Dopo anni di convivenza ci conosciamo così bene che non occorre che parliamo tanto, ci capiamo al volo, non si tratta di magia ma come un meccanico esperto capisce al volo se il cambio della bici non funziona come dovrebbe, io ci metto poco a scovare eventuali fastidi nelle sue gambe. Nella stanza in cui facciamo i massaggi, per abitudine, non metto mai la tv. Vincenzo o ascolta la musica o dorme. Si rilassa e quando è a pancia in giù addirittura spesso russa. E dire che io ho anche una mano non propriamente leggera, ma quando è stanco prende sonno facilmente». Com’è Vincenzo lontano dalle telecamere? «È come appare al grande pubblico, un ragazzo per bene, tranquillo, buono. Per natura è molto timido, riservato, quindi si concede ai media un po’ contro voglia, ma non perchè voglia fare il prezioso, anzi. L’hanno notato anche gli addetti ai lavori, è un professionista molto disponibile sia con i tifosi che con gli stessi giornalisti». Confermo. Raccontaci però qualcosa che non sappiamo di lui. «Vincenzo è pignolo all’ennesima potenza. Ha una faccia scanzonata, ma è un vero perfettino. Se una cosa non gli piace o non è come la vuole lui, come in bici, non molla finché si fa come dice lui. Per questo e perché abbiamo un carattere molto simile bisticciamo spesso, ormai abbiamo davvero un livello di confidenza per cui ci scontriamo come succede tra marito e moglie. Quando si arrabbia con me perché non gli do ragione, magari mi tiene il muso e per tre o quattro ore non mi parla, poi tutto torna a posto. Credo ormai mi veda come un fratello maggiore, è normale e anche produttivo non essere sempre d’accordo. Quando sono a casa mia, il che non accade spesso, magari non lo chiamo per qualche giorno perché so che ormai mi associa al lavoro e voglio farlo staccare del tutto lasciandolo tranquillo, ma alla fine mi telefona lui e mi dice “mi trascuri”. Ormai conosco i suoi tempi, so che è meglio chiamarlo alle 22.30 piuttosto che alle 16.00, orario in cui senz’altro sta facendo il pisolino. Sono piccole cose, ma è per farvi capire la complicità che ormai si è instaurata tra me e lui. Un aneddoto per farvi capire quanto è meticoloso? Vuole che il numero dorsale sia sempre perfetto, sul body per le cronometro pretende che lo attacchi rigorosamente io perché sa che come lui sul lavoro sono un precisino. Un altro esempio? Mi ha comprato i feltrini per i piedini del tavolo da massaggio per non rischiare di rigargli il pavimento di casa. Avete capito che stress che è? (ride, ndr)». Com’era la tua giornata tipo al Giro d’Italia? «I compiti cambiano da corsa a corsa, ma le giornate dei massaggiatori sono sempre molto lunghe. Di solito ci si sveglia alle 6.30 e si va a letto attorno alle 23.00. Nelle tre settimane del Giro, alla mattina mi occupavo di preparare tutto ciò che riguarda l’alimentazione liquida, quindi le borracce con acqua, sali, zuccheri, maltodestrine mentre un altro collega si occupava dei panini, le barrette e il resto. Con il cuoco ero deputato a stare con gli atleti a tavola durante la colazione. Non per servirli, ma per fare gruppo. Martino (Beppe Martinelli, ndr) mi voleva lì, come all’arrivo, perché sono quello che ha più confidenza con il leader, quindi nel caso si fosse creato qualche problema in squadra con uno sguardo me ne sarei accorto e con una parola avrei potuto cercare di risolverlo. Alla partenza davo una mano al bus assistendo Vincenzo, anche se di solito prima del via non ha bisogno di niente di particolare e poi mi occupavo del rifornimento. Quindi all’arrivo gli davo una mano a cambiarsi, lo aspettavo per la conferenza stampa, poi ci trasferivamo in auto o in elicottero. In hotel mentre lui era sotto la doccia io gli lavavo i panni, rigorosamente a mano (ve l’ho detto che è un perfettino!). A seguire arrivava il momento dei massaggi e finalmente la cena». Vincenzo è molto scaramantico, durante il Giro alla fine di ogni tappa diceva: “La maglia rosa non è ancora mia, domani vedremo...”. Quando ti ha detto: “Ce l’abbiamo fatta”? «Mai. Voi pensate dopo la cronoscalata Mori-Polsa o alle Tre Cime di Lavaredo? Neanche per sogno! Né lui me l’ha mai detto, né io a lui. Sinceramente neanche a Brescia, lì ci siamo solo abbracciati e guardati negli occhi. Non sempre servono le parole. Io sono sempre stato più fiducioso di lui, ma anche io sono abbastanza scaramantico quindi fino a Brescia non ci siamo scomposti. A proposito di scaramanzia, sapete che Vincenzo ha usato fino a Brescia la maglia rosa che ha indossato a Saltara? Per questo mi toccava lavarla tutti i giorni a mano...». Al via da Napoli quindi nemmeno una scommessa sulla vittoria del Giro? «Assolutamente nessuna. Battute a parte, ci siamo dati degli obiettivi per questa stagione e abbiamo lavorato tutti al meglio e in maniera molto seria per raggiungerli. Se non abbiamo fallito è perchè Vincenzo, i suoi compagni e tutte le persone che gli stanno attorno hanno lavorato al massimo senza lasciare nulla al caso. Il giorno dopo la cronoscalata, su Eurosport stavano ritrasmettendo la tappa. L’abbiamo rivista assieme per vedere in cosa avremmo potuto fare meglio. Se agli spettatori la sua prova è sembrata perfetta, posso dirvi che abbiamo scovato una infinità di errori. Si può sempre far meglio». Come avete festeggiato questo successo? «Con una festa alla Villa Fenaroli a Rezzato (BS) con i nostri familiari, i dirigenti della squadra e alcuni politici kazaki che hanno seguito anche le ultime tappe della corsa rosa. Questa cena è stata organizzata dalla squadra prima che avessimo la certezza di aver vinto, si sarebbe fatta indipendentemente dal risultato. A Brescia è arrivato un autobus da Mastromarco con i tifosi di Vincenzo e (in macchina) dalla Sicilia, la sua famiglia: mamma Giovanna, papà Salvatore e i cugini. Per il resto come ho sempre detto, Vincenzo voleva solo trascorrere un po’ di tempo a casa tranquillo quindi, dopo un salto dagli amici in Toscana e dai parenti in Sicilia, è tornano a Lugano con Rachele». Com’è essere l’angelo custode della maglia rosa? «Sinceramente non me ne rendo conto perché vivo la persona e non il personaggio. Al Giro come in ogni altra corsa mi preoccupo che non prenda freddo, che recuperi al meglio, che abbia tutto quello che gli serve. Vederlo in maglia rosa a Brescia mi ha commosso perché so quanta strada è stata fatta per arrivare fin lì, da lui e da tutti coloro che hanno creduto in lui. Immagina poi il tipo di rapporto che si è instaurato tra di noi in questi anni che ormai va al di là del lavoro. Trascorriamo 250 giorni all’anno insieme, praticamente sto più a Lugano a casa sua che in Spagna dove vivo con la mia compagna Elena. Guardandolo con in mano il trofeo senza fine ho ripensato ai tanti sacrifici compiuti e a quelli che ci aspettano per i prossimi traguardi che ci siamo posti. Pensate che tra due mesi diventerò papà. La data prevista per l’arrivo del mio primogenito è il 20 agosto, esattamente un giorno prima di partire per la Vuelta. Giusto il tempo di veder nascere il mio bimbo e dovrò partire. Anche dal punto di vista professionale il suo successo è stato per me una soddisfazione enorme. Personalmente io cerco di essere sempre all’altezza, frequento tutti i corsi di aggiornamento che posso, non sono fossilizzato su quello che ho studiato, ma cerco di allargare la mia conoscenza, insomma nel mio campo ho la stessa fame che ha lui in bici. Disputo una corsa in parallelo alla sua. D’altronde se vuoi stare con il migliore, devi essere il migliore».
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