«Tutte le salite del mondo», ecco "Salvate i ciclisti"

STORIA | 05/04/2013 | 10:42
Un ciclista è come un acrobata da circo, quelli che camminano sul filo.  La bici è la macchina perfetta, lo diceva Enzo Ferrari, perché ha in sé tutto. Non consuma. Non fa rumore. Non inquina. Non ha bisogno di benzina. E’ un mezzo democratico, alla portata di tutti. Mette in relazione con l’ambiente circostante. Bike low

Il modo migliore per conoscere un posto nuovo è visitarlo a piedi, correndo o camminando. O sulle due ruote. Rispettando il tempo e il ritmo naturale delle cose.

Diverso, invece, radicalmente diverso, è muoversi su quelle scatole di metallo chiamate auto. Si fa in fretta. Si corre. Isolati dal mondo esterno, da tutti i rumori, da tutte le storie che ci sono attorno a noi sulla strada se solo ci sforziamo di aprire gli occhi e allargare lo sguardo. Ma ci vuole tempo per guardare. Per godere di quello che c’è oltre il nostro naso e la nostra fretta quotidiana. Così la lotta tra bici e auto è persa in partenza. Le auto sono sempre più veloci. Le strade sempre più piene di veicoli. Le autoradio sempre più sparate a tutto volume. E quegli strani acrobati chiamati ciclisti – “ma che ci fa quello stupido davanti alla mia auto”, “ma perché mi blocca la carreggiata?”, “mi obbliga a frenare, a spostarmi di lato per non metterlo sotto” – agli occhi di chi sfreccia veloce nelle scatole di latta, sono solo un disturbo, quasi un insulto che rallenta per un attimo il loro vivere accelerato (per andare dove poi?). Spesso quel disturbo finisce per cadere, appeso com’è al filo delle due ruote. E ci rimette la vita. Non è raro. Ma è raro che faccia notizia. Foto1E che questa notizia contribuisca a cambiare comportamenti, politiche, cultura. Così è. C’è poco da fare. Allora gli animali chiamati ciclisti vanno a caccia di strade poco frequentate, le vecchie provinciali le strade di campagna, quelle dove le auto passano meno, per potersi finalmente godere la strada che hanno avanti, senza paura. Io ho cominciato a correre in bicicletta da bambino, in una squadra di giovanissimi, categoria C e D e poi esordienti. Le bici erano di acciaio, il caschetto in plastica e gomma a strisce, le maglie ancora di lana rosse e bianche con l’insegna della mia squadra: la Polisportiva pennese. Ricordo Giovanni Santamicone, un uomo enorme, dalle mani grandi, maestro elementare con gli occhi accesi di entusiasmo, che spronava legioni di ragazzini a salire sulle due ruote e a darci dentro per arrivare alle gare. Ci accompagnava con un pulmino 850 Fiat alle gare di domenica.

Non ho mai vinto, forse una volta. Mi piazzavo. Più spesso cadevo, prima delle volate o in una curva presa troppo veloce. Di solito vinceva sempre un ragazzino che era alto una spanna più di tutti noi: il fantomatico Martino Carlone. Non so dove sia finito e che cosa abbia combinato nella vita ma Martino, che aveva cosce grandi come un vitello, partiva e vinceva. Sicuro. Senza paura. Non faceva neanche più notizia. Vinceva trenta-quaranta corse l’anno. Quando andava bene spuntavo qualche piazzamento. Ottavo, settimo, terzo… Ma la cosa che ricordo di più di quelle gare è solo che prima di partire, sempre un attimo prima, mi scappava la pipì. Puntuale. Come un cronometro svizzero. E dovevo farla da qualche parte all’ultimo minuto, dietro a un cespuglio, una macchina, un banchetto che vendeva noccioline vicino allo striscione dell’arrivo. Eppoi via a tutta birra, con le nostre biciclettine con solo tre o quattro cambi dietro e la corona fissa davanti, i pedali con i fermapiedi in cuoio e i tacchetti in metallo piazzati con i chiodi nelle scarpette. Non era un secolo fa ma solo nei primi anni Settanta. Ebbene, allora, poco più di un bambino, non avevo paura di girare da solo o con i miei compagni per le strade attorno al mio paese nativo, Penne, sulle colline macchiate di ulivi che degradano verso il mare, in Abruzzo. Ora sì. Avevo avuto una bella formazione ciclistica dai ragazzi più grandi che gareggiavano nei dilettanti o negli allievi. E loro mi avevano insegnato ad andare sul serio in bici. Ricordo Alfonso, in particolare, detto ‘Faiele, oggi fa l’idaulico e credo sia già quasi nonno. Le prime volte lui ci scortava lungo il circuito di Conaprato a noi pulcini e giovanissimi. Seguiva il gruppo attento ci spiegava come si deve andare e a volte ci colpiva con la pompa sulla schiena, che all’epoca era lunga come il tubo centrale del telaio, se provavamo, presi dal timore, a pigiare sui freni. “Non frenare. Non devi frenare in discesa, ci diceva. Devi imparare a volare sulla bici. A cercare le traiettorie in curva”…

Eh sì che di auto ce n’erano anche allora sulle strade. Ora che di anni ne ho quasi cinquanta quando mi capita di andare su strade molto trafficate ho letteralmente paura, non faccio fatica ad ammetterlo.

Con il tempo, anche grazie alla corsa – i podisti hanno più o meno gli stessi problemi dei ciclisti – ho maturato una super sensibilità ai rumori dei motori, riesco a distinguere le auto dai camion che arrivano da dietro. Come se avessi Foto2gli occhi dall’altra parte della testa o una sorta di radar speciale, capisco dai rumori, la velocità e quanto ancora sono distanti i veicoli che tra qualche secondo mi sfreccieranno accanto…  Mi preparo, mentre continuo a pedalare, a occupare meno spazio possibile. Ma sono fatto di carne come quell’uomo o quella donna nascosta dalle lamiere che sta arrivando. Mi faccio, come tutti i ciclisti, di lato, spostandomi per quanto possibile sul ciglio della carreggiata, oltre le strisce bianche quando ci sono. Al margine della strada insomma dove è più difficile procedere perché il fondo è sconnesso, spesso ci sono buchi, sassi, c’è la terra del selciato che costeggia l’asfalto e quel ghiaietto maledetto spinto lì dagli pneumatici sui cui gli acrobati ciclisti e le loro bici scivolano come bucce di banane o non di rado bucano. Con il tempo ho imparato anche a prevedere i possibili ostacoli davanti agli occhi. Ad annusarlo il possibile pericolo: un semaforo, un bivio, quall’auto ferma in doppia fila, cercando di intravedere se dentro c’è una signora distratta che sta scendendo per andare a compare il pane e rischia di stendermi con lo sportello. Cose così. Per questo motivo pur amando immensamente la musica, non uso mai (o se lo faccio le metto a basso volume) le cuffiette con l’iPad. Per non isolarmi da quanto c’è attorno a me: sulle strade italiane si rischia la pelle. Poco da fare e da dire. Fino a quando non cambieranno le politiche di mobilità e fino a quando non aumentarà la cultura e il rispetto da parte dei più forti – autobus, camion, automobili, verso i più deboli – ciclisti, podisti, sognatori, la storia è questa.

Così è stato anche nelle mie prime due uscite stagionali sulla bicicletta. Due prime tanto attese in questo lungo inverno che non sembra mai finire (anche stamane mi ero riproposto di fare una 90ina di km con il gruppo di Andrea Noè e dei sui "Brontolo bike", ma la pioggia battente mi ha convinto a restare tra le coperte a sonnecchiare e a leggere… per poi ripiegare con un 2mila metri in piscina ad Abbiategrasso, con i miei amici master Elite Italia). Comunque nella prima uscita della stagione ho inforcato la bici da corsa e sono andato fino a Pavia attraversano una strada provinciale che pensavo poco trafficata. Ho fatto una sessantina di chilometri a un buon ritmo, da solo, in agilità, tutti in pianura, attraversando piccoli borghi, risaie, filari di pioppi. La mia vittoria della mattinata è stato un caffè conquistato dopo un paio d’ore di pedalate in un bar di periferia a Pavia, con degli astanti pensionati meravigliati dall’arrivo di quell’uomo bardato e coperto dalla testa ai piedi che sfidava il freddo e la strada… Ebbene il giro è stato piacevole ma ho sofferto Abbiategrasso-20130326-00227per il freddo e  il traffico di camion e furgoni che sgommavano e acceleravano nei punti stretti, con l’asfalto sconnesso un po’ ovunque (i Comuni non hanno soldi e le strade minori sono ridotte male). Insomma: un incubo. Tanto che mi sono riproposto di non farla più quella strada, troppo pericolosa, ma di prendere, nel caso, le varie deviazioni di campagna che ci sono da un paese all’altro, sui due lati della provinciale… L’ultima uscita è stata ieri mattina per andare a Milano. Da tempo uso la bici da corsa come mezzo di locomozione per andare e tornare dal lavoro. Vivo a circa 30 km dalla città, in uno splendido paesino, Cassinetta di Lugagnano, adagiato tra antiche ville e una natura incontaminata, lungo il Naviglio Grande e la sua lunga pista ciclabile. Andare in bici a Milano in auto o in bici è la stessa cosa in termini di tempo. La differenza non è di poco conto. Bisogna organizzarsi un poco: lasciare dei vestiti puliti in redazione, il necessario per lavarsi, portarsi delle luci se capita di far tardi… Ieri mattina ero di super fretta e ho deciso di percorrere al posto della pista ciclabile la strada, la Milano-Baggio, che è più veloce. Ma passano le auto e poi arrivi a Milano e sei immerso dentro al traffico di Milano. Il viaggio è andato come potete immaginare e come ho cercato di spiegare sopra. Sono anche caduto a un semaforo. La scena è questa. Auto in fila. In doppia fila. E c’è sempre il furbo che cerca di stringere a destra per andare più avanti. A destra di solito pasano i ciclisti. E ieri mattina passavo io. Ero quasi fermo, ma con i pedalini. Il furbo ha inchiodato. Sono riuscito a frenare e a staccare un piede ma non a poggiarlo per terra subito e sono caduto. Per fortuna non è successo niente perché ero quasi fermo. Ma mi sono davvero arrabbiato con me stesso e con quel picio di automobilista che si è scusato in tutte le lingue ma è subito ripartito sgasando… Nelle prossime settimane si svolgerà a Foto3Milano una grande manifestazione e una raccolta di firme per una legge di iniziativa popolare sul tema della mobilità sostenibile. Salvate i ciclisti. Vi invito a partecipare e ad aderire.

Questo è il comunicato della Fiab, la Federazione italiana amici della bicicletta onlus:

“La FIAB aderisce alla Rete per la #MobilitàNuova che unisce pedoni, ciclisti e utenti del trasporto pubblico e collettivo. La FIAB sarà presente a Milano, sabato 4 maggio, al grande corteo pacifico a piedi che chiamerà a raccolta da tutta Italia pedoni, ciclisti e utenti del trasporto pubblico. Il raduno sarà in Piazza duca d’Aosta di fronte alla Stazione Centrale. L'iniziativa si propone di chiedere una ridistribuzione delle risorse pubbliche destinate al comparto trasporti. In un paese in cui l’indice di motorizzazione privata è il maggiore in Europa con il 61% rispetto alla media europea del 46%, ma dove il 60% degli spostamenti quotidiani degli italiani non supera i 5 Km e ogni automobile circola mediamente per sole 2 ore al giorno rimanendo ferma da qualche parte nelle restanti 22 ore, chiedere finalmente di rivedere il sistema di assegnazione delle risorse pubbliche molto più sbilanciate verso le cosiddette grandi opere piuttosto che verso la mobilità ciclopedonale e il trasporto collettivo, sembra ormai una priorità. Per la FIAB occorre mettere al centro anche il rilancio del trasporto integrato bici e treno. E per essere concretamente operativi gli organizzatori a partire dal 5 maggio lanceranno una petizione popolare. Obiettivo un milione di firme a sostegno di una proposta di legge di iniziativa popolare per la revisione dei criteri di assegnazione delle risorse. La FIAB già in passato aveva chiesto che il 3% dei finanziamenti pubblici destinati alle infrastrutture fosse destinato alla mobilità ciclistica.


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