| 26/04/2012 | 08:15 «13ore di bici in tre giorni. Fra un po’, neanche quando correvo. A giorni mi aspetta un’uscita impegnativa e non devo farmi trovare impreparato...» Un tweet di un giorno qualsiasi di primavera, firmato da @Bartolimichi, al secolo Michele Bartoli, classe 1970, uno dei corridori più talentuosi del nostro ciclismo a cavallo degli anni Duemila, un uomo che il ciclismo ce l’ha dentro, piantato dritto nel cuore. «Io nel ciclismo praticamente ci sono nato - spiega con orgoglio l’ex campione toscano - e sono contento di essere rimasto legato a questo ambiente, nel quale davvero mi sento come a casa. Sono collaboratore della cicli Prestigio, di un paio di aziende di abbigliamento sportivo, del Light Clinic Sport Service, un nuovo centro che è nato in provincia di Lucca e che mi permette di mettere la mia esperienza al servizio di tanti appassionati. In più, ho la mia gran fondo e la cronosquadre della Versilia...». E poi c’è il ciclismo pedalato. «Quello non manca mai. Esco spesso con i corridori che vivono in Toscana, la strade sono quelle di sempre... Pedalare mi piace e continua a darmi grandi soddisfazioni». Al punto che sei in splendida forma. «Grazie, troppo buoni. Ma ve l’ho detto, il ciclismo continua a piacermi. Di questo sport mi mancano l’ambiente, l’atmosfera della squadra, le vigilie, i profumi e ovviamente le persone con le quali ho condiviso tutta la carriera». Pensi ancora come un corridore. «Il ciclismo è la mia grande passione e forse quando ho deciso di ritirarmi l’ho fatto in maniera troppo affrettata: avevo già 34 anni, la bambina cominciava a piangere ogni volta che partivo, mi sono trovato a vivere uno stato emotivo particolare e ho smesso. Ma avrei potuto andare avanti ancora un po’. Ricordo che dopo un anno mia moglie mi disse di tornare in sella, ma persi l’occasione e rientrare dopo due anni sarebbe stato troppo. Diciamo che è andata così e che così va bene». Più di una volta hai parlato del sogno di costruire una squadra tutta tua: ci pensi ancora o è un progetto tramontato? «No, nessun tramonto. L’idea c’è e al progetto sto lavorando anche in queste settimane: i contatti ci sono, l’interesse per il ciclismo anche, poi non sempre le risposte arrivano con la tempestività che ti aspetti, soprattutto a causa del difficile momento economico che stiamo vivendo. Prima a frenare il ciclismo è stato il doping, ora c’è la crisi economica, ma io resto ottimista. E prima o poi realizzerò il mio sogno». Nella tua squadra ideale, comunque, ci sarebbe sempre un posto per Basso e Petacchi... «Nel gruppo ho ancora tanti amici, ma Alessandro e Ivan per me sono come due fratelli. E sono convinto che questa possa essere la loro stagione. Ale ha solo bisogno di centrare qualche buon risultato e di ritrovare morale: da sempre lui si esalta in maniera straordinaria quando si sente forte, ma si abbatte altrettanto quando le cose girano male. Da questo punto di vista Ivan invece è una roccia: si carica da solo come pochi altri sanno fare e vedrete che sarà protagonista di una grande stagione». C’è qualche corridore che in gruppo ha le tue caratteristiche? «A livello mondiale facile dire Philippe Gilbert. In Italia mi parlano bene di Enrico Battaglin. Ha vinto a Peccioli, è chiaro che deve crescere. Ma l’importante è che il ciclismo italiano ritrovi il trascinatore che in questo momento gli manca». Ma in gruppo non c’è proprio nessuno che possa ambire a questo ruolo? «Io continuo a puntare su Nibali e Visconti. Giovanni ha fatto una scelta giusta andando a correre alla Movistar. In questo modo potrà disputare corse importanti con una certa continuità, soprattutto si potrà misurare in prove da 250 chilometri, cosa che invece alla Farnese non poteva fare se non in due o tre occasioni all’anno. E da Vincenzo, invece, mi aspetto che diventi un vero leader, un capitano a tutto tondo». Lasciamo per un attimo il ciclismo pedalato e passiamo a quello organizzato: se ti dico mondiale di Firenze? «Ti rispondo che ho l’orgoglio di aver portato, insieme a Gabriele Sola, il mondiale in Toscana per la prima volta nella storia. E aggiungo che mi è spiaciuto non poter continuare a seguire il progetto, ma le proposte che hanno fatto a Gabriele e a me erano per ruoli “di frontiera”. E a quel punto abbiamo preferito ringraziare e togliere il disturbo». Cos’è successo? «In sostanza, abbiamo costruito la macchina, l’abbiamo rodata e poi siamo usciti di scena: quando ci siamo dovuti confrontare con le istituzioni, abbiamo capito che non c’era più la possibilità di lavorare con la stessa passione profusa da noi fino a quel momento». Ma l’idea com’è nata? «Nel 2009, un pomeriggio mi trovai a passeggiare in Piazzale Michelangelo con degli amici e mi dissi “pensa come sarebbe bello l’arrivo di un mondiale in questo scenario...”. Ne parlai con l’allora assessore allo sport di Firenze Giani, l’idea gli piacque e pensai subito di chiamare Gabriele Sola, che veniva dall’esperienza di Verona 2004 e Varese 2008. Così partì il progetto: siamo stati noi a pensare di coinvolgere più città per le varie prove, siamo stati noi a contattare l’Uci, a scegliere le strutture che saranno utilizzate nel 2013. I problemi sono nati in un secondo tempo, non tanto con Firenze quanto con la Regione Toscana: dopo tre anni di lavoro ci siamo trovati relegati a comparse e abbiamo preferito salutare, seppur a malincuore. A chi guida ora il progetto auguro di avere successo per il bene e l’immagine della Toscana, ma non posso nascondere né l’amarezza né la realtà dei fatti. Ma ormai è andata, non sono uno a cui piace guardare troppo indietro». E allora torniamo al ciclismo pedalato: ti piace Bettini ct? «Sono convinto che Paolo abbia le doti per fare bene. Il suo unico punto debole è quello di essere appena uscito dal gruppo, quindi rischia di essere ancora influenzato dalle squadre, dalle amicizie, dalle pressioni e dalle situazioni politiche, come peraltro succede in tutti gli sport. Tatticamente e tecnicamente è pronto, aveva bisogno di fare esperienza, ora dopo due mondiali penso che abbia colmato anche questo gap». Ti piace anche la sua idea di allargare gli impegni della nazionale? «Quella no: per me la Nazionale è sinonimo di Mondiale. Lì si vede la capacità di mettere insieme corridori forti per un sol giorno, di rispondere alle aspettative, di vincere la sfida più importante. Diciamo che per certi valori io preferisco un ciclismo un po’ più all’antica». A proposito di antico e moderno: cosa ne pensi del ciclismo di oggi? «Riconosco che marketing e comunicazione abbiano conquistato grande importanza negli ultimi anni e non possano essere accantonati, ma io penso che il movimento dovrebbe fare un passo indietro lungo dieci anni. A cavallo del nuovo secolo c’erano gare vere, veri corridori, vere squadre. Oggi ci sono troppe corse, i corridori sono costretti a scegliere e il ciclismo risulta un po’ annacquato. E se facessimo un passo indietro ne trarrebbero beneficio anche gli sponsor: chi investisse in un top team avrebbe la certezza di correre le gare più importanti con i rivali più importanti, in un contesto di interesse mondiale. A chi piace il vino, non puoi servire acqua e vino: a chi piace il grande ciclismo, devi dare eventi che siano interessanti per tutti, quindi con il maggior numero possibile di grandi campioni al via. Mi piacerebbe fare una squadra mia anche per questo, per provare a far rivivere quel ciclismo: vorrei avere al mio fianco i miei collaboratori storici, gli amici di sempre per provare a fare un ciclismo più spettacolare».
Sono convinto che se avessi mai la fortuna d’incontrarlo non mi basterebbe una mattinata intera per fargli capire le emozioni che mi ha regalato e ringraziarlo per tutto ciò.
La classe che aveva nei modi e sui pedali era semplicemente immensa, e basta parlare con il suo ex D.S. Daniele Tortoli per capire come, già da ragazzo, fosse dotato di quel quid in più rispetto a tutti gli altri.
Il suo non era un semplice giro di pedali ma un cerchio perfetto disegnato nell’aria, il simbolo della perfezione nel gesto dell’uomo come la “O” di Giotto.
Leggendo questo bellissimo articolo del Dr. Broggi (che mi salverò assolutamente), rivivo quelle sensazioni e non nascondo un po’ di rammarico per quella decisione di smettere anzitempo dopo una stagione un po’ troppo sfortunata con la CSC.
Miky, però, aveva già vinto tanto e in quel ciclismo dove si facevano training invernali da marine, e dove la mattina prima della corsa si urlava come invasati nel motorhome, lui non ci si trovava più.
A lui che, quando era dilettante bastava uno sguardo col suo D.S. per fargli capire ai -30 km. dall’arrivo che avrebbe vinto la corsa, certi metodi saranno sembrati assurdi ed il richiamo della famiglia e della quiete della sua casa deve aver fatto il resto.
Tuttavia, ha forse lasciato un senso d’incompiuto nella sua vita ed è per questo che, oltre a continuare ancora ad andare in bici, Michele è attivissimo in tante altre realtà.
Un mio grande amico dice che chi riesce nello sport riesce anche nella vita ed è per questo che, di Michele Bartoli, sentiremo parlare ancora al lungo.
Bartoli64
questa volta...
26 aprile 2012 09:57Fra74
mi tocca condividere, ma ne sono ben lieto, il contenuto di quanto scritto da bartoli 64..
Michele Bartoli un vero CICLISTA, un VERO Sportivo, un Vero UOMO:bravo!
Francesco Conti.
26 aprile 2012 11:05foxmulder
Il ciclismo unisce e questa è la dimostrazione: bartoli64 e Fra74 concordano finalmente su qualcosa! Evidentemente la grandezza di Bartoli è un valore universale. Così come i suoi "voli" alle Liegi...
AVERNE...
26 aprile 2012 12:16stargate
...ancora persone del genere nel ciclismo italiano! Parlo non solo dell'atleta e della sua classe, ma del suo modo di essere campione e uomo. Grandi imprese che non gli hanno mai fatto venire la puzza sotto il naso, sconfitte per le quali non si è arrampicato sugli specchi in cerca di improbabili giustificazioni. AAA CERCASI EREDE! (Alberto Pionca - Cagliari)
VERO
26 aprile 2012 16:21Fra74
..hai ragione, FOX!!! (scusa se ti ho abbreviato...)....
Francesco Conti.
Bartoli
26 aprile 2012 16:35extremo1
E' stato davvero un grande campione, un ciclista di classe con la C maiuscola, lo dimostra anche la sua intervista fatta a tutto bici, l'unica cosa che gli mancava forse una Milano-Sanremo o un campionato del mondo.Gli auguro una squadra con la quale possa esprimere tutto il suo valore di atleta e di uomo
Michele, sinonimo di classe...
26 aprile 2012 16:43cargoone
Talento in bici, e sulla bici stilisticamente perfetto, non può esserci disaccordo su una persona per bene come lui, mi associo ai blogger nel farti gli auguri, magari anche al fine di sostituire qualche dirigente in federazione!!!
Abbiamo bisogno di gente così a dirigere il movimento, non di scaldapoltrone!!!
Cargo
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