Amici: sì alla Lega, sì alle radioline

| 26/03/2011 | 09:29
Amici ne ha tanti, anche perché non si può non voler bene ad Adriano Amici, ad uno dei punti di riferimento del nostro sport, il numero due degli organizzatori che da oltre trent’anni opera da numero uno.
Era il 1959 quando l’esordiente Adria­no Amici era il campione della categoria. Undici corse, undici vittorie, con la maglia del V.S. Reno, che i suoi coetanei avversari impararono a conoscere molto bene. «Se c’è Amici è meglio che noi si vada a correre da un’altra parte», dicevano.
C’era chi lo temeva e chi lo amava. Ben presto i suoi aficionados diedero vita anche ad una squadra tutta per lui, la GS Amici di Casalecchio, dove rimase fino al secondo anno da dilettante.
«Sarei dovuto passare professionista già nel 1964, a soli 21 anni, alla San Pellegrino di Gino Bartali, ma il blocco olimpico fece saltare tutto», ricorda Amici.
Momento difficile, quello. Già pronto a pregustare il salto di categoria, invece co­stretto a restare ancora lì, a correre con i “puri”, con poca voglia e pochi risultati. Una stagione con la Nicolò Biondo, quindi un biennio con la Pejo del compianto Riccardi, infine nel 1968 con la Sis Ca­val­lino Rosso di Ettore Milano. Tante vittorie, moltissime di prestigio, per un velocista di razza.
«Dovevo andare alla Pepsi Cola con Mi­che­le Dancelli, ma Gino Bartali era sempre lì a farmi la corte e così decisi di seguirlo alla Eliolona che Ginettac­cio dirigeva insieme a Silvano Ciampi».
Un anno non certo esaltante. Chiude la Eliolona, si apre la Cosatto Marsicano, con Vito Taccone e diretta da Ron­chi­ni, da poco sceso di bicicletta. Papà Ala­dino (bravo dilettante negli anni Qua­ranta/Cinquanta) e mamma Alber­tina l’avrebbero trattenuto anche vo­len­tieri nel loro negozio (tutto per l’in­fanzia), ma la bicicletta è un richiamo troppo forte per il giovane Adriano: si rimette in sella. Il ’70 non è certamente una buona annata, molto meglio il ’71. «Vinco due circuiti - ricorda -: a Ligna­no Sabbiadoro e a Bologna (prima gara organizzata dal medesimo Amici, ndr). Poi faccio un secondo posto alla coppa Sabatini e quarto nel Circuito di Mo­digliana».
Due circuiti che per certi versi condensano il passato e il presente dell’Adria­no Amici corridore e organizzatore. Il circuito di Li­gnano Sabbiadoro gli è rimasto nel cuo­re perché oltre a vincere si lascia alle spalle nientemeno che Marino Basso in ma­glia iridata. Quello di Bologna vinto per grazia ricevuta da Domenico De Lillo ed Eddy Merckx, ma è lì che prende l’ab­brivio il suo futuro: giù di bicicletta e sopra ad un’am­miraglia ad organizzare corse e manifestazioni.
«Quel circuito mi è rimasto nel cuore per due ragioni: la prima per il gesto di grande amicizia da parte di tutto il gruppo. Ero diventato papà di Andrea da due giorni e Gimondi, Merckx e compagnia hanno fatto di tutto per farmi un regalo. Poi quel giorno compresi molto bene quale fosse realmente la mia strada, diciamo con un po’ di enfasi la mia vocazione».
Modesto Adriano Amici. Modesto e so­prattutto onesto.
«Anche la Cosatto, dopo due an­ni smi­se. Io mi trovai a piedi. Bar­tali mi convinse ad andare avanti con il Gs Gior­dani: pi­sta, stayer, qualche buon risultato arriva ancora, ma niente di più. Decido di guardarmi attorno. Siccome in negozio bastavano papà e mamma, feci domanda come autista all’azienda di trasporti di Casalecchio. La risposta fu no. Da quel rifiuto, a 28 anni, nacque l’idea di ampliare l’attività commerciale di famiglia e fu un successo enorme. Lavorai sodo con i miei “vec­chi” fino al 1989, quando a Calderara di Reno decisi di fondare il Centro Ciclistico Amici che è in pratica il fratello maggiore dell’attuale Amici Pro Cycling, società di consulenza e marketing guidata oggi dai miei figli, Elisa e Andrea».
L’Adriano Amici organizzatore incomincia a farsi le ossa agli inizi degli anni Set­tanta (circuito Casalecchio, Rocca di Roffeno e via dicendo, ndr), ma va a pieno regime nella primavera del 1980, con il Criterium dei Giardini Mar­gherita, subito dopo il Giro d’Italia, sotto la regia dell’indimenticato Nino Recalcati.
«Lasciai l’attività commerciale di famiglia senza alcun rimpianto - ricorda oggi Adriano, classe 1943, deus ex machina del Gs Emilia -. Ci misi passione e impegno, come in tutte le cose che faccio. Ma ad un certo punto ho cominciato a sentire in me stesso il peso del dovere. Quel­lo che andavo a fare tutti i santi giorni era davvero un lavoro. Da quando ho intrapreso l’atti­vità organizzativa non mi sono mai pentito della scelta fatta. Ho passione e lo faccio con passione. Se penso al giorno che dovrò dire basta, mi viene già il magone. È meglio che non ci pensi…».
Quella di Adriano è un po’ la fine di un discorso senza fine. Le sue parole po­trebbero essere quelle degne di una conclusione, invece non siamo nemmeno all’inizio di questa intervista che vuole essere un’inchiesta, l’ennesima puntata tra i personaggi più significativi del no­stro sport, per capire cosa c’è che va e ciò che non va.
Fino a questo punto abbiamo parlato di te, di quello che sei stato come uomo, corridore e organizzatore, ma noi siamo qui per sapere come vedi il ciclismo…
«Io il ciclismo continuo a vederlo bene, perché mi sembra essere ancora lo sport più bello del mondo, ma è innegabile che ci sono tante cosette da sistemare».
Tipo?
«Mi piacerebbe davvero che tornasse a prendere forma la Lega. Una Lega for­te e autonoma, che abbia come missione quella di ricompattare tutte le componenti del nostro sport sotto una stessa bandiera. Occorrono regolamenti certi e univoci. Senza figli e figliastri. Mi sembra che anche i dilettanti stiano lavorando per dare vita ad una Lega di categoria: fanno bene. Anche questa è una strada più che giusta».
Ma è possibile fare una Lega, con squadre che in Italia nemmeno sono affiliate?
«Se si mette in piedi un buon progetto, vedrai che i team torneranno ad affiliarsi in Italia».
Sì, team che hanno affiliazione italiana ma società di gestione all’estero: e al Coni tutto questo può andar bene?
«Penso che Renato Di Rocco, il nostro presidente, e la commissione che sta lavorando a questo progetto sappiano quello che fanno. Soprattutto sapranno muoversi nei confini di un regolamento che non può essere eluso o scavalcato. Cer­to, il problema delle contabilità all’estero è un grosso problema, ma è in­negabile che la pressione fiscale è molto forte nel nostro Paese. Ad ogni modo una Lega forte e autonoma serve per mettere ordine nel nostro ciclismo, per salvaguardare un po’ tutti: i grandi e i piccoli team. I grandi e i piccoli or­ga­nizzatori. Per tutelare meglio anche i corridori: insomma, può essere un be­ne per tutti. Non c’è nulla di male nell’avere gli squadroni e le squadrette, l’impor­tan­te è che ognuno rispetti le regole e tutte facciano il necessario per essere considerate davvero squadre professionistiche. E lo stesso discorso vale per noi organizzatori. C’è la Rcs Sport che è la mamma di tutti noi , ma ci sono delle realtà come la mia che hanno il dovere di fare le cose nel mi­gliore dei modi per non sfigurare e non far sfigurare il movimento. Quindi, la Lega ha il dovere di varare un format e tutti devono adeguarsi».
Per te qual è la parola d’ordine?
«Serietà. Con la serietà si garantiscono qua­­lità, sicurezza e professionalità. Dob­biamo sempre rammentarci che siamo noi per primi a dare visibilità al nostro sport. Se noi organizzatori diamo una brutta immagine di noi stessi, diamo una brutta immagine a tutto il nostro sport. Questo è un momento molto delicato, perché stiamo vivendo una crisi economica molto violenta e gli enti pubblici, così come il privato, non ti regalano cer­to i soldi. Vogliono garanzie, chiedono qualità: al primo posto c’è l’imma­gine. Una delle mie grandi soddisfazioni è proprio quella di avere dei partner che sono con me da diversi anni. La Gra­narolo è al no­stro fianco dal 1983, la Beghelli dal 1996, la Unicredit da otto anni, da 22 anni abbiamo Felsinio, da trenta la SIDI, da dieci la Vil­lani: insomma, si lavora con impegno e i nostri sponsor ce lo riconoscono con atti concreti: standoci vicino.».
Però dall’Uci forse qualche riconoscimento in più potrebbe arrivare…
«In verità noi come Gs Emilia avevamo chiesto di far diventare Pro Tour (oggi World Tour) il Giro dell’Emilia: non abbiamo ricevuto risposta. Ci spiace, ce ne faremo una ragione, anche se penso e ritengo che questa sia una cor­sa patrimonio della Federazione italiana e mondiale».
Anche quest’anno tante corse in cantiere…
«Il Giro di Sardegna (disputato dal 22 al 26 febbraio, ndr) come consulenti tecnici, poi la 14a Coppi e Bartali dal 22 al 26 marzo; la seconda edizione del Ballerini Day (4 giugno a Canta­grillo); il secondo Gp Città di Modena (17 settembre); la 7a edizione del Me­morial Marco Pantani (il 1° ottobre); la 94a edizione del Giro dell’Emi­lia (8 ottobre); infine il 14° Gp Be­ghelli (9 ottobre)».
E il GiroBio?...
«Abbiamo curato l’aspetto tecnico del­la corsa nel 2009 e nel 2010 ma per l’edi­zione che andrà in scena quest’anno dobbiamo ancora mettere nero su bianco con l’organizzatore Gian Carlo Broc­ci».
A proposito di GiroBio: un progetto che sta prendendo sempre più piede…
«Brocci e la Federazione hanno ideato qualcosa di molto importante. Come tutte le cose, va perfezionato, messo a punto, oliato, ma siamo sulla strada giusta. Questa è una corsa credibile, che può davvero diventare un format da esportare fuori dai confini del Giro Bio. Il progetto della Lega dei dilettanti nasce e trova conferma proprio dal Giro Bio. Il ciclismo, dai giovani al professionismo, ha bisogno di maggiore credibilità e per assicurarlo a sponsor e appassionati  è necessario seguire la strada del rigore».
Non pensi che le Federazioni nazionali, og­gi, abbiano troppo poco peso in un contesto di ciclismo globalizzato?
«Le Federazioni devono lavorare di più e meglio per avere maggiore credibilità in seno all’Uci. Certo, per quanto mi riguarda, per come vedo io il ciclismo, auspico un movimento più rispettoso della storicità delle corse, della trazione di certi Paesi. È mai possibile che il Giro d’Italia abbia in concomitanza il Giro della California? Sarà anche vero che la concorrenza fa bene, ma certe cor­se vanno salvaguardate, soprattutto quelle organizzate con tutti i santi crismi. Ca­pisco la concorrenza tra le corse di se­conda e terza fascia, per fare in modo che si innalzi il livello, ma mettere pressione anche al Giro lo tro­vo semplicemente folle. Quest’anno, poi, anche noi del Giro dell’Emilia avre­mo come concomitanza il Giro della Cina. E du­rante la Coppi & Bar­ta­li ci saranno le con­comitanze del Ca­talogna e della Freccia. Insomma, mi sembra un tutti contro tutti che non fa altro che indebolire un movimento già debole. Forse so­no troppo italianocentrico, ma la situazione io la vedo così».
Quindi cosa proponi?
«Mi auguro che il nostro presidente Re­nato Di Rocco, che è persona politica capace, e che ricopre anche la vice-presidenza dell’Uci, sappia fare in mo­do che il nostro ciclismo non venga schiacciato da tutto e da tutti. Ecco l’esigenza di fare squadra, di fare sistema tra i confini na­zionali con una Lega forte. È fondamentale la mondializzazione voluta dall’Uci, ma certe corse, che sono organizzate be­ne, che lavorano per il bene del ciclismo, che hanno storia, che hanno un albo d’oro di assoluto prestigio, vanno tutelate. Ti faccio un esempio: il Giro dell’E­mi­lia, come ti ho detto, da HC vo­levo che passasse di categoria. Non ce l’ha fatta. In compenso, il Ballerini, che un anno fa era un circuito è già stato promosso 1.1: non c’è logica. Non c’è meritocrazia».
Cos’altro proponi?
«Che le corse di Hors Categorie siano più lunghe di 200 chilometri. Se le 1.1 arrivano ad un massimo di 199 chilometri, quelle di HC devono essere 220/230 a seconda dei percorsi. Le World Tour, portarle tutte sopra i 240. Questo anche per agevolare i corridori di squadre Professional che corrono in pratica sempre sotto i 200 chilometri e quelle po­chissime volte che sono chiamate (invitate) in corse di World Tour pagano mol­tissimo il plus di chilometraggio. Quindi sarebbe il caso di trovare con le corse di HC un passaggio intermedio».
Da organizzatore come vedi la questione legata al doping?
«Mi sembra che si stia facendo moltissimo e a più livelli. Siamo sulla strada giusta e mi sembra di intravedere un ciclismo certamente più bello e credibile. Spero che torni ad essere anche mol­to più appetibile».
E delle radioline che ne pensi?
«Io sono a favore. Secondo me sono uno strumento di assoluta sicurezza e non vanno a snaturare assolutamente la fantasia del ciclista. Semmai vanno a valo­riz­zare il ruolo del tecnico. Ad ogni modo il ciclismo è sempre stato all’avanguardia e questa presa di posizione contro le radioline la trovo gratuita e stucchevole. Tra l’altro non se ne sentiva assolutamente la reale esigenza. Il calcio è pronto alla moviola in campo, al chip nel pallone e noi ci priviamo del­le radioline. Lo trovo assurdo».
E di Paolo Bettini che vuole una Na­zio­nale tutto l’anno?
«Bellissima idea, spero che i team ap­poggino e incoraggino questo progetto. È un modo per dare una mano alla Fe­derazione, per valorizzare la maglia az­zurra, per verificare i corridori più giovani. Insomma, è un’ottima idea».
A livello di pista siamo quasi a zero, eppure dal velodromo di Montichiari arrivano se­gnali positivi…
«Sento commenti molto buoni e incoraggianti. Mi dicono che tanti ragazzi si stanno avvicinando alla pista, questo è fondamentale per il futuro di una specialità che può solo migliorare. Speria­mo bene».
Sai che a Milano si sta anche pensando di risistemare il Vigorelli?
«È un impianto storico, ma vecchio. Il discorso non è semplice, ma ci penserei su bene prima di far spendere altri soldi alla comunità».
Alla Coppi&Bartali ha deciso di investire nella crono…
«Era uno dei desideri del nostro presidente Di Rocco e io non mi sono fatto sfuggire l’occasione. In Italia non ci so­no cronoman perché ci sono poche gare specialistiche. Io, nel mio piccolo, do il mio contributo alla causa».
Qual è per te la sfida del terzo millennio?
«È quella sulla sicurezza. Più si avrà la forza e l’accortezza di organizzare gare sicure, più si costruiranno anelli ciclabili, più si renderà sicuro il nostro sport, e più il nostro sport avrà un futuro. Il vero nemico del ciclismo sono le strade, sta a noi dare sicurezza ai ragazzi e alle loro famiglie. Questa per me è la vera e grande priorità».

da tuttoBICI di Marzo 2011
a firma di Pier Augusto Stagi

Copyright © TBW
COMMENTI
Hai dimenticato i tuoi dati, clicca qui.
Se non sei registrato clicca qui.
TBRADIO

00:00
00:00
Si è svolta aColle Umberto la cerimonia commemorativa in occasione dei 131 anni dalla nascita del Campione Ottavio Bottecchia. Il Team Ottavio Bottecchia, Pro Loco Colle Umberto, ANTEAS, Associazione Gemellaggio di Colle Umberto per la collaborazione all’iniziativa. Al centro della...


Giulio Ciccone torna al successo a San Sebastián. I complimenti di Roberto Pella, Presidente della Lega del Ciclismo Professionistico «A nome mio personale e di tutta la Lega del Ciclismo Professionistico, desidero rivolgere i più sentiti complimenti a Giulio Ciccone...


Il Tour de France Femmes ha una nuova maglia gialla, il suo nome è Pauline Ferrand Prévot. La 33enne capitana della Visma Lease a Bike si è presa il simbolo del primato dopo aver vinto la tappa regina che si...


Al rientro dopo oltre due mesi di assenza dalle corse - i suoi sogni rosa si erano infranti sotto la pioggia di un sabato di maggio a Nova Gorica - Giulio Ciccone ha firmato una bellissima impresa a San Sebastian...


Grande, grandissima impresa di Giulio Ciccone che mette la sua firma sulla 44a edizione della Donostia San Sebastian Klasikoa. L'abruzzese della Lidl Trek è stato protagonista sulle salite basche e da solo ha messo in scacco la UAE staccando prima...


Bel podio di Simone Zanini nella quarta tappa del Tour Alsace in Francia. Il nipote di Zazà chiude infatti al terzo posto la frazione impegnativa di Altkirch che ha visto il successo del norvegese Halvor Dolven davanti al compagno di...


E' il diciannovenne Nicola Zumsteg a mettere la propria firma sulla 43sima edizione della Zanè-Monte Cengio classifca per dilettanti che si è svolta nel Vicentino. L'elvetico del Velo Club Mendrisio, che il prossimo anno correrà in Italia per la Biesse...


Un brivido è corso lungo la schiena dei tanti tifosi di Kim Le Court  che, riuniti a L’Ile Maurice, stanno guardando in televisione l' ottava tappa del Tour de France Femmes quando la 29enne capitana della AG Insurance - Soudal Team...


Dopo l'impresa compiuta a Parigi nell'ultima tappa del Tour de France, Wout van Aert è rientrato a Herentals, la sua città, per una festa con tutti i tifosi ed è stato accolto come una rock star o un attore di...


Rinomato per la sua imprevedibilità, il Tour de Pologne spesso si decide per pochi secondi e anche quest’anno promette spettacolo. L’82ª edizione della corsa UCI WorldTour prenderà il via lunedì e si concluderà domenica. Durante le sette tappe in programma,...


TBRADIO

-

00:00
00:00





DIGITAL EDITION
Prima Pagina Edizioni s.r.l. - Via Inama 7 - 20133 Milano - P.I. 11980460155




Editoriale Rapporti & Relazioni Gatti & Misfatti I Dubbi Scripta Manent Fisco così per Sport L'Ora del Pasto Le Storie del Figio ZEROSBATTI Capitani Coraggiosi La Vuelta 2024