Da «Il Giornale». Caro Giro, chi non «speak english» è perduto

| 09/05/2010 | 09:57
Caro diario, do you speak english? If you don’t speak english, è perfectly inutile to come al Giro. Qui l’english è la nuova lingua corrente e dominante, chi non si aggiorna is out. Il Giro formato export, il Giro internazionale che parte da Amsterdam, allarga ulteriormente i confini e si consegna al pedale di estrazione anglosassone. La prima tappa, cronoprologo nella capitale dell’Olanda e della mobilità eco-compatibile (la bici, via), presenta un ordine d'arrivo very very particular. Secondo pronostico, vittoria e prima maglia pink al britannico Wiggins, che è grandissimo specialista del settore, ma anche il peggior spot d’apertura per la megalomane spedizione Rai: corre con maglia Sky. Alle sue spalle, tutto parla english: secondo l'americano Bookwalter, terzo l’australiano Evans. E comunque nei primi dieci ci sono un altro inglese, un altro australiano e persino un neozelandese. Wonderful, direbbe la regina, sognando un trionfale ritorno del Commowealth, quanto meno in bicicletta (nell’idillio di sua Maestà, solo l’americano Bookwalter rompe the marrons).
Ovviamente i distacchi sono sospiri, dopo 8,4 chilometri, ma sono anche segnali importanti. Per esempio quello di Evans, il canguro superfavorito, conferma la sua fredda determinazione a vincere questo Giro da subito. Così come quello di Vinokourov e quello del nostro Nibali rassicurano sulle loro effettive volontà di protagonismo. Quelli di Basso e Sastre (che perdono 23” e 25”) confermano invece che i loro motori diesel hanno bisogno di altre distanze e di altre fatiche.
Caro diario, dear diary, è comunque una grande partenza. Great start. Lo è soprattutto perché i big si fanno subito coinvolgere dal clima aristocratico di questa bella Amsterdam, capitale dell’Olanda e della pedivella. Nelle nostre capitali, leggi Milano e Roma, il Giro ormai rompe l’anima. In queste nostre città, si è diffusa la febbre metropolitana dell’alta mondanità, sia essa la sfilata di moda o il festival del cinema, sia la selezione del Grande Fratello o il galà al Foro Italico. Sembra quasi che il genere nobilmente popolare sia venuto a noia, o comunque sia visto come una caduta di livello e di prestigio personale. Ad Amsterdam, che di certo non può essere definita provincia, si respira tutta un’altra aria, niente affatto modaiola, più libera e più spigliata. Meno fuffa, più sostanza. Qui le famiglie passano la mattina al museo Van Gogh e il pomeriggio al Giro d’Italia, con uguale incanto e analogo piacere. Forse, facendo qualche confronto spassionato, è facile scoprire che la vera provincia restiamo ancora noi, schiavi delle mode e delle tendenze, senza neanche chiederci un perché.
Caro diario, sarei curioso di sapere se questo Giro che speaks only english può in qualche modo riqualificarsi e diventare accettabile al nostro pubblico più esigente ed esterofilo, a quel pubblico moderno che parla la lingua degli inglesismi molto wow, fashion, appeal e trendy, di sabato pure ecstasy. Lo capiremo strada facendo. Anche se qualcosa s'è già capito in questi anni, e cioè che sbagliamo a considerare Italia solo quella di Milano e di Roma, delle passerelle e dei work-shop: quando il Giro ci riporta nei borghi e nelle vallate, improvvisamente ci accorgiamo con incredili bagni di folla che per fortuna sopravvive in piena salute anche l’altra Italia, ancora capace di accalorarsi per l'adunata degli Alpini, per il palio di Siena, per la sagra del tortello e sì, pure per il Giro d’Italia, con le sue storie e i suoi colori, con la sua fiera umiltà e la sua immutata umanità.
A questo, oltre che al business del patron Zomegnan (1,5 milioni per tre tappe), serve la fantastica partenza olandese: a riproporre su scala mondiale un italian format (do you know?) ancora attualissimo, apprezzatissimo oltre confine, nella speranza che al ritorno in Patria si perpetui la consueta epopea popolare.
Dear diary, per il momento dobbiamo fermarci qui. Lasciami esprimere soltanto le condoglianze all'unica famiglia di Amsterdam che ha pianto sul passaggio del Giro: è quella del piccione che ci ha lasciato le piume finendo disgraziatamente sotto le ruote del nostro Nibali lanciatissimo. Una scena tremenda. Direbbe la letteratura retorica del ciclismo: il piccione ha chiuso le ali. In sede di «Processo» lo rivedono più volte alla moviola. Anche queste sono le storie del Giro. A proposito: non c’è un cane che qui sappia rispondere alla domanda più urgente. Come si dice Giro in inglese?

da «Il Giornale» del 9 maggio 2010 a firma Cristiano Gatti
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COMMENTI
9 maggio 2010 12:57 defe91
complimenti a gatti, un altro bell'articolo e anche quest'ultimo fà riflettere.

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