
Se ne è parlato l’altro giorno, se ne parlerà ancora di sicurezza e alle parole dovranno seguire proposte, numeri, idee e fatti. Intanto qualche numero. «I dati Istat sono chiari e inquietanti: dall’inizio dell’anno abbiamo già contato 206 morti, 30 nel solo mese di agosto – dice Federico Balconi, avvocato cassazionista, specializzato in diritto sportivo e infortunistica stradale fondatore di Zerosbatti -. Interessanti le regioni d’incidenza: la Lombardia ha il primato, ma se andiamo a valutare con attenzione i dati in base ai cento mila abitanti in testa troviamo le Marche e l’Emilia Romagna. Il paradosso? Le strade delle Marche sono più pericolose di quelle lombarde».
Gli fa eco il presidente della Federazione Ciclistica Italiana Cordiano Dagnoni. «Nell’entroterra, dove c’è meno traffico, il pericolo è maggiore. Più una strada è deserta, più sono più piccole più sono veloci e i ciclisti sono molto più vulnerabili. Dove c’è più densità di popolazione, si va più piano e alla fine c’è più attenzione. Se sei solo è molto più pericoloso, e queste sono valutazioni che vengono chiaramente fuori dai dati Istat che fanno una fotografia chiara di una situazione sempre più complessa e emergenziale. Quindi, bisogna insistere con l’educazione stradale, con le infrastrutture dedicate, careggiate ciclistiche e non piste ciclopedonali ibride che sono pericolose sia per i ciclisti che per i pedoni. Sull’immediato mi sono sentito con il Ministro degli Interni Matteo Piantedosi, grande appassionato di ciclismo, che incontrerò prima del Mondiale del Ruanda, al quale ho chiesto la disponibilità per poter fare assieme una pubblicità progresso: noi siamo disponibili a sederci ad un tavolo programmatico con tutti gli stakeholder per affrontare questo stato di emergenza. Noi possiamo anche fornire diversi volti noti, tanti campioni che possono aiutarci a far capire che in bicicletta si sta meglio, ma occorre avere rispetto dei ciclisti».
L’incontro allo stand di Specialized si trasforma in un talk show, gli appassionati si avvicinano, capiscono di quello che si sta parlando e si fermano ad ascoltare. Cosa che continuo a fare anch’io. «Al Parco Nord di Milano l’intuizione di Mario Bodei è ben visibile da anni. L’amico di Francesco Moser e Gianni Motta ha realizzato qualche anno fa una pista protetta di 600 metri che è oggi un’oasi ciclistica apprezzata da tutti gli appassionati e praticanti milanesi – spiega sempre Dagnoni -. Quello è un format da declinare in tutta Italia. Io lo predo ad esempio spesso come investimento virtuoso. Ne avevo parlato anche con Nicola Miceli, ex corridore professionista e oggi imprenditore nel campo del rifacimento dei manti stradali: queste strisce d’asfalto sono una agorà ideale per pedalare in tutta sicurezza».
Federico Balconi rilancia l’azione: «Al Parco Nord circolano più di 70 mila cicloamatori all’anno e la cosa bella è che se il 12 settembre prossimo (incontro con la Regione Lombardia e presidente dei Parchi, ndr) riuscissimo a convincere le istituzioni a riprodurre questo modello in tutta Italia, con anelli da 2 chilometri e magari con l’inserimento di una salita, potremmo anche farli diventare veramente oasi peri ciclisti. Il contributo della Federazione è importante anche perché può portare una serie di dati sulle le criticità che si incontrano sulla strada. Alcune di queste? Il sorpasso: quello del metro e mezzo è una norma importante ma è una soluzione a metà. Dovremmo chiedere, oltre a questa misura, il divieto di sorpassare se lo spazio non c’è e in ogni caso inserire il limite di velocità. In qualunque caso il sorpasso va fatto a velocità ridotta, appena superiore a quella del ciclista. Altre criticità? Le strade devono avere un manto sicuro e la doppia fila va vista come una necessità come già avviene in Spagna e in Inghilterra. E la figura del “ciclista sportivo”? Non è contemplata in nessun codice: va riconosciuta».
Chiosa Dagnoni: «Ci vuole formazione nelle scuole guida. Bisogna “costringerle” a fare corsi guida dedicate in modo da insegnare ai nuovi patentati come ci si comporta quando ci si trova a che fare con un ciclista. Tutti siamo coscienti che il problema c’è, bisogna però unire le forze in un unico soggetto che possa interfacciarsi con le istituzioni per chiedere le norme più giuste. È necessario un lavoro di squadra: noi dobbiamo come Federciclismo essere capofila, ma abbiamo bisogno del supporto di tutti, soprattutto della politica».