
Memo Garello, che nel 1960 vinse il Giro del Ticino, in Svizzera, dopo una notte passata a dormire in macchina con due compagni di squadra. Matteo Cravero, che nel 1969 fu quarto al Giro di Romagna e per insubordinazione (il suo capitano, Gianni Motta, arrivò secondo) venne escluso dal Giro d’Italia (ma all’ultimo momento sostituì proprio l’infortunato Motta). Giampaolo Cucchietti, che nel 1967 si aggiudicò il Gran premio di Antibes, in Francia, ma siccome era una kermesse tipo pista non figura negli annali del ciclismo. Remo Rocchia, che nel 1974 da dilettante conquistò una tappa della Vuelta a Tarragona, in Spagna, quella sera gli fu proposto di correre per Bernard Hinault e lui rifiutò, perché fare da gregario a uno che arriva dopo di me?, la storia non gli avrebbe dato ragione. Franco Giuliano, che nel 1975 da dilettante nella classica Torino-Tigliole trionfò in solitaria grazie anche a una manciata di zollette di zucchero prese in un bar e passategli da un amico giornalista.
Garello, Cravero, Cucchietti, Rocchia e Giuliano, ma anche Mollo e Destefanis, Minetti e Perona, Dematteis e Rosa, con uno speciale spazio a Italo Zilioli e Lucien Aimar in “Il pedale nella Granda” (Hever, 296 pagine, 22 euro), che Franco Bocca ha dedicato a storie e personaggi del ciclismo cuneese. Un paesaggio di strade, un panorama di avventure, una grammatica di caratteri, una mappa di sentimenti che la Vuelta, nei suoi quattro giorni piemontesi dell’edizione 2025 (dal 23 al 26 agosto) ha abbracciato, nutrendosi, fortificandosi. La Granda è la provincia di Cuneo, cui il ciclismo deve moltissimo: le tappe al Giro d’Italia, ma anche quella di Prato Nevoso al Tour de France del 2008, il Giro delle Valli Cuneesi e la granfondo Fausto Coppi, l’opera instancabile di Renzo Tealdi ma anche quella silenziosa e anonima di appassionati e volontari, dirigenti e accompagnatori, genitori e atleti, più o meno vincenti, sapendo che ogni volta in cui si sale su una bici e si affronta un cavalcavia, uno zampellotto, un passo è già una vittoria.
“Il pedale nella Granda” è uno scrigno di racconti. Quello di Giuseppe Viale detto Jose. Del 1937, di Borgo San Dalmazzo, era il 1957 quando Jose, dilettante, incrociò Coppi e i suoi compagni della Carpano in allenamento dalle parti di Limone Piemonte e chiese a Tino Coletto se poteva pedalare con loro. “L’ultimo giorno trovai anche il coraggio di scambiare qualche parola con Fausto, al quale dissi che avrei avuto tanto piacere di possedere una maglia da corsa della sua squadra. Lui sorrise e mi disse: ‘Se vieni con noi fino a Limone te la do’. Non me lo feci ripetere due volte. Quando arrivammo in albergo Fausto chiese la chiave della camera alla Dama Bianca, che stava prendendo il sole nel giardino, e dal balcone mi lanciò la maglia della Carpano-Coppi”. E pensare che Jose era bartaliano.
Bocca ha la capacità di trasformare una piccola enciclopedia agonistica in una mappa sentimentale. Paladino del ciclismo, sentinella di questo piccolo mondo antico che vive su due ruote sottili, custode e cultore di commedie umane, Bocca raccoglie tracce e impronte della propria terra: “La terra del Diavolo Rosso” (Hever, del 2001), “La terra dei Campionissimi” (Hever, del 2022), “La Torino del Cit” (Hever, del 2023). A suon di pedali.
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