IL TERZO TEMPO CHE NON C'E' PIU'

TUTTOBICI | 29/10/2023 | 08:13
di Gian Paolo Ormezzano

Da sempre si esalta il terzo tempo del rug­by, un rituale che dà a questo sport un qualcosa di speciale: il senso cioè, fortissimo, della fratellanza tra atleti - anche e so­prattutto rivali - supersite al­le fasi pur acri della partita appena finita con i suoi due tempi regolamentari. Lo stereotipo più diffuso è quello di un incontro fra i giocatori tutti, più qualche tecnico e dirigente (e magari anche l’arbitro e i suoi collaboratori), nei locali degli spogliatoio, con scambio comunque di pacche sulle spalle e con innumeri brindisi, liquido preferito la birra.


Ci sono molte cose an­che bruttarelle, della partita appena finita, da archiviare, in uno sport che esalta il contatto fisico e che fa della violenza una sua caratteristica. Il tas­so alcolico del terzo tempo cresce a mano a mano che decresce il tasso di rivalità, talora anche di rabbia, di li­vore, vissuto in campo. Il terzo tempo del rugby molte volte ha un prolungamento con il banchetto comune in cui gli orchi giocano ancor di più al gioco di essere comunque sempre fratelli, missionari pacifici per conto della famiglia tutta del rugby.


Si cerca di riprodurre il terzo tempo in altri sport, meglio se sempre di squadra (anche se per me il terzo tempo più intenso resta quello del pugilato, quando i due, gonfi di botte reciproche, si abbracciano sul ring quale che sia il verdetto). C’è anche recita, finzione, formalismo, magari ipocrisia. C’è la televisione a farsi palcoscenico di qualsiasi commedia, nel segno degli ascolti da perseguire. Ma c’è (e ci siamo) uno sport che non riesce a darsi un terzo tempo molto suo e intanto molto valido, al di là dello stanti rituale delle interviste “a caldo”, dei “processi “ a freddo. Ed è il ciclismo.

Siccome sicuramente menti eccelse, sublimi tecnologie, alleanze di cervelloni e supermacchinari stanno progettando anche per il ciclismo un terzo tempo (ora che persino il rigidissimo Tour de France ha aperto gli spazi su­bito dopo il traguardo a mogli, amanti, prole, amiconi ed amichetti, testimoni in­somma della grandezza del campione come anche della serena piccolezza del battuto), mi pare giusto dire che nel mondo delle corse a tap­pe il terzo tempo c’era, ed era molto speciale, soprattutto viveva magari il giorno do­po nello sfruttamento giornalistico.

Era il terzo tem­po messo insieme dal giornalista solitamente giovane, spinto dai cantori che lo comandavano, con la visita agli alberghi delle squadre, o almeno delle squadre con i campioni più impegnati. Lo si effettuava nel pomeriggio avanzatissimo, quando i corridori affamati erano già a ta­vola e i cantori stavano decidendo dove cenare. Durava poco il terzo tempo, due do­mande e quattro chiacchiere sulla giornata, i corridori do­vevano essere lasciati in pa­ce, ma poi si apriva il mercato dello scambio fra i giornalisti giovani rampanti, scambio di dichiarazioni raccolte e anche impressioni recepite, roba tutta da elaborare - sem­pre scambi - il mattino dopo nella località di partenza. Nel diluitissimo terzo tempo il giornalista raccoglieva echi della tappa, stimolava ricordi peraltro an­cora belli caldi, annotava cu­riosità inedite. Tardi per l’articolo ormai da un bel po’ trasmesso al giornale, ma largamente in tempo per l’articolo del giorno dopo, specie se la cronaca della tappa era povera. Venivano interpretate e usate frasi che, rubacchiate ai ciclisti mentre mangiavano, nella notte erano lievitate gonfiandosi di sottintesi, paure, minacce, confessioni assortite. Erano magari frasi spacciate come se raccolte in corsa, emesse dai corridori, e i lettori ci credevano, ci stavano, pensando che davvero il giornalista avesse intervistato in cor­sa il pedalatore.

Adesso nada de nada: dopo la corsa, diaspora delle squadre in sparpagliatissimi al­berghi intorno alla località di arrivo e a quella (diversa qua­si sempre, e spesso lontana), di partenza, ognuno a cercare il suo piatto ed il suo letto, ognuno dei pochi giornalisti almeno idealmente davvero al seguito e non im­bullonati davanti alla televisione. Ma è il progresso, bellezze.

da tuttoBICI di ottobre

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COMMENTI
Considerazioni
29 ottobre 2023 11:57 italia
Quello era un ciclismo che non esiste più, purtroppo; era un'epoca umana e le relazioni tra persone erano sentite e calorose. Secondo me non e' cambiato il ciclismo, ma è cambiata la societa'

Considerazioni sconcertanti
29 ottobre 2023 21:02 italia
L’articolo di Ormezzano parla del ciclismo che fu, visto da un giornalista; io lo descrivo da appassionato di ciclismo di quei tempi gloriosi, mi ricordo che in questo periodo, come mese, Merckx fece il record dell’ora, e la mia memoria va al giorno dopo del record, dove avevo lezione di applicazioni tecniche alle superiori e di fronte a me vedevo il professore che per tutto il tempo leggeva su un giornale le pagine, pagine,pagine e pagine dedicate al record con tutti, dico tutti i dettagli; altro ricordo che mi viene in mente era il trofeo Baracchi vinto da Ocana e Mortensen alla strepitosa media di 48,706 (mi è rimasta in mente da oltre 50 anni) mi ricordo con grande piacere che il giorno dopo tutte le locandine delle edicole riportavano in evidenza al’impresa. Che tempi !
Ormezzano parla di “terzi tempi” ed in particolare riguarda al pugilato del terzo tempo naturale dell’abbraccio tra i pugili dopo tante botte.
Ormai il ciclismo è relegato a sport di nicchia ad eccezione del Giro d’Italia che crea un un pò d’interesse e mi chiedo come mai questo tracollo; ci ho riflettuto per decenni anche coadiuvato da un mio amico appassionato di ciclismo. Sono giunto grazie al mio particolare interesse verso un altro settore, alla seguente conclusione sconcertante.
Il calcio è portato dai poteri forti,secondo me in base alle mie riflessioni, perche in questo sport si tifa (ossia non si ragiona), è divisivo ( si costituiscono fazioni) ed prodromico all’odio e questa situazione si trasla in altri settori; per cui un popolo “addomesticato”, ripeto “addomesticato” a tifare (conseguenzialmente a dividersi e odiare) è uno scherzo da ragazzi per i poteri forti traslarlo in altri ambiti ben piu importanti come i recenti casi di Russia-Ucraina e ben piu esplicito di Hamas-Israele; i poteri forti raggiungono i loro obiettivi (che possono essere anche legittimi), mediante di divisione del mondo occidentale e quindi devono prodromicamente, per preparare per tempo il terreno, cancellare o limitare tutte quelle situazioni di segno opposto come l’abbraccio dei pugili o il rispetto dell’avversario e i buoni valori trasmessi dal ciclismo, che per queste ragioni devono scomparire dal vissuto quotidiano dei cittadini
Quindi è da cambiare l’OTTICA di certe situazioni; in sostanza non è detto che se una cosa è buona è da valorizzare; anzi al contrario se questa osta e va contro agli obiettivi dei poteri forti non ha una valida prospettiva (per usare un eufemismo). Risultato: il pugilato è scomparso e il ciclismo sta seguendo la sua strada.
Questa è soltanto una mia ipotesi sulla scomparsa del ciclismo: se non la condividete spiegatemi, con il seguente esempio plastico, perché ai tempi di Merckx e anche di Mery Cressari si parlava profusamente di ciclismo e ai tempi di Ganna (condiviso un record storico tra una battuta di una modesta partita di pallavolo e un giro di pista) e quello della Bussi “criminalmente” passato inosservato.
Grazie per l’ascolto
Saluti




@Italia...
30 ottobre 2023 09:54 Bullet
In Italia il ciclismo è finito un giorno di inizio giugno 1999 quando la tv faceva oltre il 50% di share e nei bar si girava canale per seguire il ciclismo. Come dici te ci doveva essere un solo sport trainante e poi oggi il giornalismo scritto e in tv cerca di creare tifo pure sul ciclismo, i pupilli sempre bravi e belli contro lo squadrone di chissà quali cose nascoste dipinti sempre come antipatici e antisportivi, tanto per non spiegare e approfondire nulla per non creare cultura sportiva quella vera che porterebbe anche più giovani a seguire e fare ciclismo. Peccato che il ciclismo non è adatto a ridurlo al solo tifo e per questo é ormai bell'e' che morto e sepolto nel nostro paese che lo ha fatto conoscere al mondo.

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