LE STORIE DEL FIGIO. ROBERTO CERUTI, ORGOGLIOSAMENTE GREGARIO

STORIA | 21/12/2022 | 08:08
di Giuseppe Figini

Il nome di Roberto Ceruti richiama, alla memoria degli appassionati più maturi, e rivela, a quelli più giovani, la figura di un forte corridore, professionista, dal 1977, con una validissima carriera che è terminata nel 1987. Dieci anni tondi tondi, dove, oltre alle soddisfazioni in proprio, ha più volte gioito per le affermazioni – e che affermazioni - ottenute in profusione dal suo capitano, più amico che capitano però, Giuseppe Saronni.


E qui basta citare nome e cognome per richiamare alla mente di tutti gli appassionati delle due ruote, le grandi valenze dei successi in carriera del campione di Parabiago, un polo del dualismo storico con il “competitor”, usiamo l’inglese, Francesco Moser, l’altro polo di una fortissima rivalità che ha caratterizzato il ciclismo da poco oltre la metà degli anni 1970 e buona parte di quelli fino al 1990. Un serrato, e pure di più, dualismo che si colloca nella storia del ciclismo italiano, nel solco di quello di altri campioni di varie epoche, che hanno dato molteplici motivi di utilizzare sale e smalto, dai toni assai accesi, agli schieramenti contrapposti delle due fazioni che monopolizzavano l’attenzione ciclistica, garantendo comunque gran risalto, e conseguente interesse, a tutti i livelli, allo sport delle due ruote.


Diciamolo subito: Roberto Ceruti rivendica con orgoglio, anche a distanza di molti anni, l’attribuzione di ”gregario” – termine invero un po’ in disuso nel ciclismo attuale e sovente rifiutato -, ritenuto non “politically correct”.

E Roberto, corridore nato a Paderno Ponchielli, nel cuore della provincia di Cremona il 10 novembre 1953, comune che porta il nome del noto compositore Amilcare Ponchielli, è orgoglioso dell’attribuzione di “gregario” riferibile al suo sodalizio sportivo e d’amicizia, che dura tuttora, con Giuseppe Saronni.

In proprio il cremonese, dopo la militanza nelle categorie giovanili con la maglia dell’Unione Ciclistica Cremonese 1891, approda nel 1972 fra i dilettanti con l’Unione Ciclistica Melzo-Meggiarin, dove si pone in buona evidenza vincendo la Targa Libero Ferrario a Parabiago nel 1973 e ripetendosi l’anno successivo (quasi una premonizione del destino) e la Milano-Bologna. Nel 1975 e 1976 veste la divisa della Itla, fortissima formazione sotto l’egida di un industriale, grande appassionato di ciclismo come il cavaliere del lavoro Vittorio Ghezzi con, alla guida tecnica, Domenico Garbelli, direttore sportivo di primo rilievo. Vinse il tricolore della strada nel 1975 a Cassano allo Ionio e la medaglia di bronzo al mondiale della strada a Yvoir, in Belgio mentre l’anno successivo è secondo nella classifica finale del Giro d’Italia dilettanti, alle spalle dell’umbro Franco Conti, e disputa le Olimpiadi di Montreal nella rappresentativa azzurra. Meritano la citazione altri ottimi risultati fra i “puri” come il Circuito del Porto, il Trofeo Arvedi – corse di casa per il cremonese Roberto Ceruti – la Coppa Mobilio a Ponsacco e altri piazzamenti di spicco oltre alle vittorie al G.P. Guglielmo Tell in Svizzera e alla Settimana Bergamasca.

Il 1977 è l’anno del passaggio fra i professionisti che riguarda gran parte dei componenti la Itla con l’azienda elettronica milanese GBC di Jacopo Castelfranchi quale primo sponsor e, in ammiraglia, l’effervescente Dino Zandegù con Domenico Garbelli. E il corridore cremonese s’impone nell’allora classico Giro di Romagna gara in cui Giuseppe Saronni cadde, riportando la frattura della clavicola, con conseguenze tali che gli impedirono di partecipare al suo primo Giro d’Italia. Nella corsa a tappe rosa del 1979 Ceruti è primo nella tappa Treviso-Pieve di Cadore vestendo la maglia Magniflex-Famcucine diretta da Luciano Pezzi e con, al 2° posto a 1’12” – indovinate un po’ – Giuseppe Saronni, già in maglia rosa per il suo primo Giro conquistato, e 3° Francesco Moser a 1’18”.

Nel 1978 corre ancora per una squadra diretta sempre da Dino Zandegù, la Mecap, azienda vigevanese di calzature sportive, ottenendo due secondi posti, a Civitanova Marche, traguardo della Tirreno-Adriatico e nella Coppa Placci.

E’ però nel 1980 che Roberto Ceruti entra nella squadra che ha, quale “capo”, riconosciuto e seguito, Giuseppe Saronni. E’ la Gis Gelati, formazione abruzzese di Giulianova dell’appassionato patron Pietro Scibilia, industriale nel settore oleario e poi anche titolare della Gis Gelati, già presente nel ciclismo dal 1978 con gli esperti Franco Bitossi, Costantino “Tino” Conti e il veloce Marino Basso e che, nel 1979, grazie all’eclettico campione belga Roger De Vlaeminck, vinse la Milano-Sanremo battendo allo sprint proprio Giuseppe Saronni.

E fra l’emergente campione di Parabiago e il cremonese Roberto Ceruti scatta ben presto una sorta di “chimica” speciale, sia in corsa, sia fuori corsa. La direzione sportiva era affidata al pavese Carlo Chiappano, mentore e amico di Giuseppe Saronni, già con lui alla Scic, scomparso in un incidente stradale a Casei Gerola, mentre rientrava nella sua Varzi, nel luglio 1982, una perdita molto sofferta e sentita per Giuseppe Saronni, così come dalla squadra.

Torniamo a Roberto Ceruti in prima persona che intanto, in quell’anno 1980, vince il Giro dell’Umbria e affina sempre più il suo ruolo di “ombra benefica” del capitano, poche parole ma molte pedalate, di quelle giuste, in favore della squadra e del “capo”.

E’ naturale, di conseguenza, il trasferimento con altri compagni di squadra, alla neonata Del Tongo-Colnago, formazione di primo piano con sede della produzione di cucine a Tegoleto, frazione del comune di Civitella in Val di Chiana, provincia di Arezzo, con patron Stefano Del Tongo alla testa dell’appassionata famiglia, in abbinata con Ernesto Colnago, riferimento imprescindibile di vita e amicizia per Giuseppe Saronni, “el Giusepp” per il creativo costruttore di Cambiago.

Dopo la tragica morte di Carletto Chiappano fu chiamato a succedergli in ammiraglia il bergamasco Pietro Algeri, coadiuvato dall’aretino Paolo Abetoni.

E qui, fino al 1988, fu una ricca storia di successi che è difficile condensare le poche righe per una squadra entrata, a pieno titolo, nei piani nobili del ciclismo, non solo italiano, con Giuseppe Saronni e i suoi “boys” in maglia giallo-nera. Roberto Ceruti è stato una parte importante, talvolta determinante, ascoltata, nascosta per l’innata riservatezza, per i successi di Giuseppe Saronni, al suo fianco anche in vari anni con la maglia azzurra della nazionale, che non manca mai, nelle occasioni pubbliche che ora frequenta con una certa assiduità e gioiosa, gustosa, scioltezza d’eloquio, di ricordare e ringraziare. L’ha fatto di presenza alla presentazione del suo libro “L’Italia che vola”, nella festa di fine estate voluta dalla municipalità di Parabiago per celebrare i titoli iridati di Giuseppe Saronni nel 1982 e quello di Libero Ferrario, altro cittadino di Parabiago, nel lontano 1931, a Zurigo, per la categoria dilettanti su strada.

E Roberto Ceruti era presente, in ottima forma fisica, sorridente e ha ricordato pure il successo ottenuto nel 1984 al Gran Premio Città di Camaiore anticipando addirittura Francesco Moser (doppia soddisfazione condivisa).

Il ritiro dalle corse del cremonese coincide con il termine della stagione 1987. Con sano pragmatismo, non insegue ruoli nel ciclismo che presentano sovente aspetti assai aleatori, ma lavora in un’affermata azienda avicola, dove diventa il responsabile delle spedizioni e ora gode la meritata pensione nel tempo libero che gli lasciano i tre nipoti - Ginevra, Alessandro e Filippo - che gestisce quasi a tempo pieno con la moglie Pinuccia. Alla bici riserva distese uscite con cadenza settimanale.

Richiesto di rivelare qualche aneddoto sull’amico oppone un gentile sorriso ricorrendo all’affermazione di un’amicizia vera, duratura, anche con le rispettive famiglie e d’ammirazione per l’eclettico campione e per le doti di classe, allo stato puro, del “capo”, soprattutto se visto da vicino come ha potuto fare lui, contento e orgoglioso del suo ruolo di “gregario”. Un’ampia maggioranza del gruppo attuale, pensiamo, vorrebbe potersi intestare il palmarès di questo gregario esemplare, nel senso migliore del termine.

 

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