FISCO, COSI' PER SPORT. I RAPPORTI DI LAVORO IN AMBITO SPORTIVO

SOCIETA' | 01/08/2019 | 07:38
di Umberto Ceriani

Con il presente intervento si cercherà di fare chiarezza sui rapporti di lavoro che possono essere instaurati nell’ambito sportivo, partendo dalla fondamentale differenza tra professionismo e dilettantismo, con la consapevolezza che questo secondo tema è foriero di grandi contestazioni in occasione di verifiche.


La normativa nazionale ha disciplinato nel lontano 1981 l’attività sportiva professionistica, tramite l’approvazione della Legge 91 denominata “Norme in materia di rapporti tra società e sportivi professionisti” ai sensi della quale all’art. 2 “sono sportivi professionisti gli atleti, gli allenatori, i direttori tecnico-sportivi ed i preparatori atletici, che esercitano l’attività sportiva a titolo oneroso con carattere di continuità nell’ambito delle discipline regolamentate dal CONI e che conseguono la qualificazione dalla Federazioni sportive nazionali, secondo le norme emanate dalle Federazioni stesse, con l’osservanza delle direttive stabilite dal CONI per la distinzione dell’attività dilettantistica da quella professionistica.”


Al contrario nessuna norma nel nostro ordinamento ha mai definito cosa si debba intendere per attività sportiva dilettantistica e di conseguenza la sua definizione avviene per esclusione: è dilettantistico qualsiasi  rapporto di lavoro sportivo svolto in ambiti nei quali manchi la qualificazione giuridica di professionismo stabilita dal CONI e dalla Federazione di riferimento, senza poter tenere in considerazione ne la tipologia di contratto sottoscritta tra le parti ne il compenso stabilito contrattualmente per la prestazione.

Il fatto che il riconoscimento del professionismo sia basato su una scelta discrezionale della Federazione di riferimento in base a direttive del CONI ha portato nel corso degli anni al riconoscimento del settore professionistico solamente in sei Federazioni Sportive:
    •    Federazione Italiana Giuoco Calcio (F.I.G.C.)
    •    Federazione Pugilistica Italiana (F.P.I.)
    •    Federazione Ciclistica Italiana (F.C.I.)
    •    Federazione Motociclistica Italiana (F.M.I.)
    •    Federazione Italiana Golf (F.I.G.)
    •    Federazione Italiana Pallacanestro (F.I.P.)

Tra l’altro di queste sei Federazioni solo quattro continuano a portare avanti il settore del professionismo in quanto il motociclismo ha chiuso il settore nel 2011 e la boxe nel 2013.

L’attività sportiva professionistica inoltre non può essere esercitata da ASD o SSD, ma soltanto nella forma della società per azioni (Spa) o di società a responsabilità limitata (Srl).

L’art. 2 della Legge 91/1981 contiene come abbiamo visto l’elenco delle figure definite come professioniste ai quali applicare il rapporto di lavoro subordinato previsto dalla normativa, ma in realtà non vige una presunzione assoluta di lavoro subordinato, in quanto ai sensi dell’art. 3 comma 2 la tipologia contrattuale (se subordinata o autonoma) da applicare alle figure professionali sportive dovrà essere accertata di volta in volta valutando se ricorrano i seguenti requisiti:
    •    l’attività sia svolta nell’ambito di una singola manifestazione sportiva o più manifestazioni tra loro collegate in un breve periodo di tempo;
    •    l’atleta non sia contrattualmente vincolato per ciò che riguarda la frequenza a sedute e preparazione od allenamento;
    •    la prestazione che è oggetto del contratto, pur avendo carattere continuativo, non sia superiore a otto ore settimanali oppure cinque giorni ogni mese ovvero trenta giorni ogni anno.

Di conseguenza, al diminuire della “intensità della prestazione” si passerebbe dal lavoro subordinato al lavoro autonomo, ma sempre nell’ambito del professionismo.
Considerato da un lato le numerose limitazioni e le difficoltà applicative del lavoro professionistico e dall’altro la necessità di retribuire, all’interno della più vasta platea di enti sportivi dilettantistici, tutti i soggetti definiti in via “residuale” come sportivi dilettanti non stupisce il fatto che vi sia stato un forte utilizzo e spesso anche abuso delle forme di retribuzione previste dall’art 67, comma 1, lett. M, DPR 917/1986 definiti come “Compensi sportivi” esenti da imposte fino alla soglia di 10.000€ in base alla Legge di Bilancio 2018 (Legge 205/2017).

Questa netta e per certi versi ingiustificata distinzione tra professionismo e dilettantismo è ravvisabile a livello europeo solo nella normativa italiana.

E’ evidente che le distinzione tra professionismo e dilettantismo realizza forti differenze tra soggetti che praticano attività sportiva, sia in termini di tutele che di diritti come vedremo nel corso di questo approfondimento; si tratta in particolare di differenti tutele sanitarie, previdenziali e di forme contrattuali applicate considerato che la gran parte degli enti sportivi dilettantistici applicano forme contrattuali che non prevedono ad esempio comunicazioni obbligatorie preventive, ferie, malattie, TFR, preavviso in caso di risoluzione del rapporto di lavoro o altre tutele a carico del committente.

Tali differenze dovrebbero essere colmate, almeno in parte, con l’adozione della Legge delega di Riforma dello sport ove per la prima volta si propone l’ipotesi dell’introduzione, a fianco di dilettantismo e professionismo, anche del semi-professionismo e di tutele previdenziali per i dilettanti.

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