L'ORA DEL PASTO. GIURO CHE NON AVRO' PIU' FAME

LIBRI | 03/01/2019 | 07:56
di Marco Pastonesi

L’Italia veniva dalla miseria, dalla fame, dal freddo, veniva dal vuoto, dal niente, veniva dalla guerra, la Seconda guerra mondiale. Tre famiglie su quattro non avevano il bagno in casa, un italiano su 50 possedeva un’auto. Due milioni di case erano state bombardate, 16 milioni di mine erano rimaste inesplose nei campi. Eppure l’Italia resuscitò, risorse, rinacque. Con Gino Bartali e Fausto Coppi.


“Giuro che non avrò più fame”: è l’Italia della Ricostruzione, quella descritta, raccontata, spiegata da Aldo Cazzullo (Mondadori, 254 pagine, 18 euro), inviato ed editorialista del “Corriere della Sera”. “Era un Paese a pezzi. Avevamo perso la guerra due volte: prima contro gli inglesi, i russi, gli americani; poi contro i tedeschi, che in pochi giorni avevano fatto prigionieri 800mila nostri soldati. Ci eravamo dilaniati in una sanguinosa guerra interna. Il bilancio finale era spaventoso: 300 mila militari morti, 150 mila civili; in ogni famiglia si era aperto un vuoto, come dopo la Grande Guerra, finita appena trent’anni prima”. Fu qui che gli italiani dettero il meglio: “Sapevano lavorare e divertirsi. Faticare dodici ore al giorno e uscire la sera a ballare. Appassionarsi alla politica. Sorridere. Guardare al futuro con fiducia”. E dedicarsi, rivolgersi, credere, affidarsi allo sport.


Il ciclismo, innanzitutto. “Era lo sport nazionale. Rappresentava la prima occasione di riscatto per un Paese umiliato”. Bartali: “Non era soltanto un campione sportivo; era l’eroe dell’Italia del dopoguerra”. E Coppi: “Come Ettore non avrebbe senso senza un Achille, allo stesso modo Gino Bartali è indissolubilmente associato a Fausto Coppi”. Così diversi: “Bartali terragno, Coppi aereo. Ginettaccio e il Campionissimo. L’uomo di ferro e il ragazzo fragile che in carriera ebbe tredici fratture; e infatti uno ha vissuto 86 anni, l’altro è morto a quaranta”. Cazzullo ripercorre le loro parabole esistenziali: Bartali capitano che fa da gregario a Coppi gregario diventato capitano sulle strade del Giro d’Italia 1940; Bartali postino di pace durante la guerra, Coppi prigioniero in Africa; Bartali il pio, Coppi lo scandaloso; Bartali che – si dice – salva l’Italia dopo l’attentato a Togliatti trionfando al Tour de France 1948, Coppi che conquista il mondo nel 1953. Non sarà un caso se, nel 1960, l’anno della morte di Coppi, “le vendite delle biciclette crollano del 60 per cento. L’Italia ormai non pedala più; va in moto, sulla Lambretta inventata dall’ingegner Innocenti; o in auto. Qualcuno comincia a prendere l’aereo: è l’anno delle Olimpiadi, a Roma si lavora freneticamente all’aeroporto di Fiumicino. Non abbastanza freneticamente: lo scalo della capitale non sarà finito in tempo, verrà inaugurato nel 1961”.

Ma non c’è solo la storia di Gino e Fausto. Cazzullo racconta di Fiorenzo Magni e Gastone Nencini; del Grande Torino che si sarebbe schiantato sul Superga il 4 maggio 1949; anche di due allenatori di calcio, ungheresi ed ebrei, Erno Egri Erbstein al Torino e Arpad Weisz all’Inter e al Bologna, Erbstein che morì a Superga e Weisz ad Auschwitz; e poi di Benito “Veleno” Lorenzi, attaccante dell’Inter che adottò Sandrino e Ferruccio Mazzola, i figli di Valentino, fuoriclasse del Torino, e “ogni domenica ‘Veleno’ entra in campo tenendoli per mano. Quando l’Inter vince, fa pagare il premio partita anche a loro”; e infine delle Olimpiadi di Londra nel 1948, “anche se c’erano tutte le premesse perché di Olimpiadi non si parlasse più”.

“Giuro che non avrò più fame” è un grande affresco di quegli anni duri, energici, spogli eppure ricchi di valori, ideali, traguardi, anche vittorie, non solo sportive ma umane. Nell’economia, da Olivetti a Mattei; nella politica, da Einaudi alla Merlin; nel cinema, dalla Magnani a Totò; nel teatro, dalla Osiris a Govi. Cazzullo sa che bastano anche quattro righe, giuste, per raccontare una storia. Per esempio, quella del tandem Terruzzi-Perona, la terza decisiva prova quando era ormai sera: “Vincono gli azzurri per un quarto di ruota, ma gli spettatori non hanno visto nulla: vengono accese torce di carta per illuminare il tabellone; gli inglesi apprendono di essere stati sconfitti, e sprofondano nel silenzio”.


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