BRAMATI E LA PRIMAVERA DEI LUPI

PROFESSIONISTI | 30/05/2018 | 07:34
Come lupi famelici hanno divorato la prima parte di stagione. Stiamo parlando del wolfpack della Quick Step Floors. Il gruppo guidato dell’esperto Patrick Lefevere ha scelto come soprannome “branco di lupi” ad indicare la voglia di correre e la fame (agonistica) del team più forte al mondo.

A fine aprile il bilancio recitava: 27 successi, di cui 12 gare World Tour e 2 Classiche Monumento come il Giro delle Fiandre e la Liegi-Bastogne-Liegi, ottenuti con 10 corridori diversi in soli 4 mesi in quattro continenti.

Davide Bra­mati, che ha diretto la squadra al Giro d’Italia, ci spiega cosa c’è dietro il su­per avvio di stagione della formazione belga di cui è direttore sportivo dal 2006, appena conclusa la sua carriera da corridore professionista.
Il branco conta 28 corridori di 13 na­zionalità diverse. In poco più di 15 stagioni i successi totali sono 639, con 17 corse Monumento. In questo palmares ricchissimo, mancava solo la Liege-Ba­stogne-Liege: conquistata il 22 aprile scorso da Bob Jungels.

Gilbert non ha ancora completato la sua #striveforfive, ma come squadra ci siete riusciti.
«Sì, la Liegi era l’unico Monumento che ci mancava e finalmente siamo riusciti a conquistarla. Avevamo preparato bene la Doyenne. Nella ricognizione del venerdì avevamo provato gli ultimi 75 km e notato che dopo la Redoute, nel tratto in cui il percorso era cambiato, presentava strade strette, curve e dossi. Abbiamo deciso che in quella fa­se avremmo dovuto controllare corsa. La squadra si è mossa bene, Enric Mas ha svolto un ottimo lavoro, in seguito alle prime azioni ci siamo mossi con Philippe Gilbert e Bob Jungels, che ha firmato una grande azione. Quando ha guadagnato 15”, non potevamo più guardarci indietro. Come abbiamo festeggiato? Come per tutte le altre clas­siche. Si cambiano i voli, si prenotano camere di albergo e si rimane in zona per una notte in più del previsto. Abbiamo cenato e brindato tutti insieme a Gent, nel ristorante di un amico della squadra. E la mattina successiva, dopo le dovute celebrazioni, ognuno è ripartito verso casa, con la testa alle prossime corse».

Ti aspettavi Alaphilippe in trionfo alla Freccia Vallone?
«Venivamo dal Giro dei Paesi Baschi in cui Julian ha vinto due tappe, eravamo consapevoli del suo stato di forma, ma le corse non sono matematica. Ser­ve anche fortuna. L’arrivo secco che ci aspettava era adatto a lui e i compagni l’hanno assistito al meglio. Scha­ch­mann ha anticipato, per non far sprecare energie al team e si è giocato le sue chance fin quasi all’ultimo chilometro, quando Julian è dovuto entrare in azione seguendo Vanendert non ha sbagliato. Ha vinto bene e la domenica successiva, nonostante fosse la nostra pun­ta, ha ripagato la squadra. Quando Bob ha preso il largo, Julian ha chiuso su tutti gli avversari. Sono stati entrambi successi di squadra».

E Terpstra vincitore alla Ronde?
«Anche al Fiandre è stato merito del gruppo se siamo riusciti ad andare a se­gno, non sorprende infatti che abbiamo conquistato anche il terzo posto con Gil­bert. Dopo aver vinto Le Samyn e so­prattutto l’E3 Harelbeke sapevamo che Niki stava volando e non ci ha de­luso. Quando è scattato Nibali, gli è an­dato dietro e non si è più voltato. All’ultimo passaggio sul Vecchio Kwa­remont ha ripreso i tre in fuga e ha continuato tutto solo. Lui è stato fenomenale, allo stesso tempo dietro i compagni hanno svolto un ruolo di marcamento impeccabile. Ancora una volta, la nostra carta vincente è stato il gioco di squadra. Tro­varsi in superiorità nu­merica nel finale di corse di questo tipo facilita molto le cose».

Non potevate chiedere di più a questa pri­ma parte di stagione.
«Abbiamo vinto parecchio, ma non siamo stupiti. Nel senso che abbiamo lavorato per questo. Un anno fa non abbiamo vinto Freccia e Liegi ma ci eravamo arrivati vicino, avevamo conquistato il Fiandre e l’Amstel, avevamo chiuso secondi alla Roubaix, terzi alla Sanremo. Sta andando tutto bene, questo è innegabile. Inoltre la nostra squadra è impostata per questo tipo di cor­se. Non siamo come Sky o Movi­star, più concentrate sui grandi giri. Noi vo­gliamo fare bene nelle Classiche, nelle corse di un giorno».

E al Giro d’Italia avete continuato a dare spettacolo.
«Alla corsa rosa abbimo schierato una squadra impostata su Viviani. Non era facile ripetersi, un anno fa con Gaviria vincemmo cinque tappe, ma amiamo le sfide e con Elia l'abbiamo vinta. Viviani si è su­bito integrato molto bene in squadra, ha iniziato a vincere gare in gennaio, al Tour Down Under, e ha continuato a inanellare successi che gli hanno dato morale. E poi c'è stata la crescita di Maximilian Schachmann, che ha vinto una gran tappa a Pratonevoso».

Elia ci aveva confidato che non vedeva l’ora di essere diretto da te.
«Anche io sono felice di poter lavorare con lui. Finora in gara ci eravamo trovati solo alla Milano-Sanremo, ci siamo mossi bene ma in via Roma Elia è arrivato senza energie. Dopo 300 km ci sta. E poi Nibali ha fatto davvero un grande numero, quel giorno non ce n’era per nessun altro».

Quanto conta la componente italiana nella squadra?
«È sempre contata molto. Quando è nata la Quick Step, dopo gli anni da secondo sponsor della Mapei, come me tanti altri hanno sposato il progetto. C’era anche Paolo Bettini, che ha fatto la storia. Speriamo di poter contare co­sì anche in futuro».

La tua più grande soddisfazione ottenuta con questo team?
«La vittoria di Matteo Trentin nel Tour de France 2013 a Lione e il successo di Gianluca Brambilla al Giro due anni fa ad Arezzo».

Un rimpianto?
«Da quando sono diesse non sono an­cora riuscito a vincere la Sanremo. Nel 2016 Gaviria era in grande forma ed è caduto a 300 metri dal traguardo. Mi brucia ancora. In squadra abbiamo uno e più corridori che sulla carta possono vincerla, chissà che non ci riescano già il prossimo anno. La Classi­cis­sima sarà un obiettivo, sicuramente».

Chi ti piacerebbe dirigere dall’ammiraglia?
«Questa è una domanda difficile. Gian­ni Moscon è giovane e italiano. Ne sentiremo parlare molto. È al terzo anno da professionista e ha già dimostrato cosa può fare nelle gare che a noi piacciono tanto».

Come si fa a far convivere tanti galli in un solo pollaio?
«A volte non è facile gestire un gruppo così ampio di campioni. Riuscire a parlare con ognuno e motivarli nel modo giusto è l’aspetto più importante. Le basi vanno gettate d’inverno. Il ciclismo è una ruota: bisogna aver chiaro chi è in condizione e chi no. Chi non lo è deve mettersi a disposizione di chi ha la possibilità di vincere. Cerchiamo di coinvolgere il più possibile i corridori. Lo scorso inverno abbiamo perso atleti importanti come Marcel Kittel, Daniel Martin, De La Cruz, Trentin, Bram­bil­la, per questa stagione abbiamo investito su giovani di valore. Per quanto riguarda il budget, siamo sui livelli di tutte le altre squadre World Tour. Ne­gli ultimi anni abbiamo vinto quasi 60 gare l’anno. Vedremo se riusciremo a migliorarci».
Il lupo perde il pelo, ma non il vizio.

Giulia De Maio, da tuttoBICI di maggio
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COMMENTI
30 maggio 2018 14:23 Line
sei un grande per quello che stai facendo da Ds
bravo

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