PROFESSIONISTI | 08/07/2017 | 07:46 Nietzsche al Tour de France? Sì, c’è. E pedala con Guillaume Martin, 24 anni, scalatore normanno della Wanty Gobert Group, diplomatosi in filosofia all’Università di Nanterre con una tesi di master intitolata «Lo sport moderno: è l’applicazione della filosofia nietzschiana?». E Jean-François Balaudé, professore di filosofia e presidente dell’Université Paris-Nanterre, spiega: «Guillaume Martin è il solo studente che io ho accettato di seguire nel suo lavoro di tesi perché il suo percorso sportivo, allora era alle soglie del professionismo, mi aveva intrigato. Il soggetto che aveva deciso di trattare l’ho trovato piuttosto originale».
E aggiunge: «Il fatto che Guillaume partecipi al Tour per me è una grande gioia. Spesso si è utilizzato a sproposito il termine di “ciclista intellettuale”. Laurent Fignon, per esempio, era definito così solo perché portava gli occhiali... Altri sono stati definiti tali per i loro studi in ingegneria, ma un ciclista filosofo, un intellettuale tout court è davvero una rarità».
La sua scelta filosofica Martin l’ha fatta nel 2014, quando ha accettato di entrare a far parte della nazionale francese Under 23. Avrebbe potuto fare il giornalista o l’attore come sua madre o il maestro di aikido come suo padre. Ma proprio pedalando con quest’ultimo, ciclista dilettante, ha imparato a misurarsi nelle cronometro: «Bisogna spingere più forte, i fratelli Petochin hanno già 30 secondi di vantaggio su di noi» gli urlava il papà. E il fatto che i fratelli Petochin fossero un’invenzione non preoccupava Guillaume, impegnato a dare il massimo nella pedalata.
«Nella vita di tutti i giorni sono calmo, introverso - racconta Martin - quando sono in gruppo invece posso essere disinvolto, simpaticone, a volte sembra quasi che io abbia assunto bevande alcoliche. Avete visto come Nacer Bouhanni è capace di innervosirsi dopo uno sprint? Il ciclismo è così».
Nella vita di tutti i giorni, Guillaume parla poco, fa vita regolare sia che pedali, sia che si riposi. Per il Tour è partito mettendo in valigia quattro libri che gli ha consigliato la sua compagna che fa la bibliotecaria. Più di un libro da leggere a settimana: «Questo sì che è un obiettivo difficile da raggiungere, al Tour». Il libri? Sono “Informatica celeste” di Mark Alizart, dedicato al rapporto tra filosofia e computer, poi “2.000 anni di storia golosa” di Patrice Gélinet, un diario di viaggio attraverso le Montagne Rocciose e poi un classico come le “Affinità elettive” di Johann Wolfgang von Goethe.
Quanto a Nietzsche, Martin lo ha scoperto a 16 anni, leggendo “Ecce Homo”. «Un libro che parla di tutto, anche di pasti non troppo dietetici... mi è venuta voglia di saperne di più e ho continuato a leggere». A leggere e studiare, fino a redigere una tesi di 183 pagine che ipotizza un rapporto tra il filosofo e lo sport moderno. Un rapporto che nella realtà non c'è stato: il filosofo tedesco morì nel 1900, i Giochi Olimpici erano appena rinati, il Tour non aveva ancora visto la luce, in pratica non è mai entrato in contatto diretto con lo sport come lo intendiamo noi. Ma si occupava del corpo e di tutto quello che gli stava attorno.
Guillaume è partito dalla citazione de La Gaia Scienza«Dio è morto! Dio resta morto! e noi lo abbiamo ucciso» per ipotizzare che lo sport abbia sostituito nei tempi moderni la religione. Con tutte le sue contraddizioni: «la professionalizzazione dello sport, che va contro il principio delle possibilità uguali per tutti; il doping, che testimonia la volontà di vincere ad ogni costo; le sponsorizzazioni, che dimostrano come il piacere di partecipare non sia la sola motivazione per gli atleti; il tifo negli stadi, che rappresenta la resurrezione del nazionalismo contro una filosofia cosmopolita...».
E allo stesso modo trovano applicazione nello sport tutti i capisaldi del pensiero di Nietzsche, vale a dire transumazione, il superuomo, la volontà di potenza, l’eterno ritorno.... Per Guillaume Martin, il pensiero di Nietzsche offre une una nuova visione del corpo e dello sport: «Possiamo dire che la filosofia di Nietzsche ci ha permesso di pensare allo sport in maniera più autentica di quello che ci consente la morale dei nostri giorni. Come dire che nel mito nietzschiano possiamo trovare i fondamenti dello sport - il piacere del confronto, il desiderio di primeggiare - che oggi sono travestiti da un’ideologia di fair-play.»
Ed il professor Jean-François Balaudé spera che Martin possa dare un ulteriore seguito al suo lavoro. Anche perché scorrendo le pagine della tesi di Martin di legge: «I dopati dei nostri giorni assumono prodotti di sintesi, creati da scienziati che operano in laboratori che nulla hanno a che vedere con la vita reale, allo scopo di distruggere i limiti naturali del corpo umano. Creando così dei mutanti... Di contro, lo sportivo autentico, anche il superuomo, sarà sempre naturale e cercherà di superare i suoi limiti semplicemente sfidando se stesso».
I suoi compagni descrivono Martin come un ragazzo studioso, curioso, simpatico, igienista ma senza eccessi, nietzschiano insomma nella cura del suo corpo. In inverno vola lontano, in Nepal per esempio, mentre d’estate - che sia in corsa o no - si misura con le grandi salite delle Alpi. Nato a Parigi, oggi vive a Lione dopo essere cresciuto nella regione dell’Orne, precisamente a la Boderie, un gruppo di vecchie fattorie che i suoi genitori hanno riadattato per ospitare dei gîtes, una sala di teatro e degli asini che sono a disposizione di chi ama passeggiare. Ed è qui che Martin torna di tanto in tanto, alla ricerca dell’ispirazione...
Nello scorso mese di ottobre Guillaume Martin ha scritto anche la sua prima opera teatrale, Platon VS Platoche. Dedicata alla filosofia, naturalmente. Creata per essere allo stesso tempo istruttiva e divertente. Sua madre, attrice e regista, sta lavorando al casting e alla prossima tournée. Tra i personaggi della pièce ci sono Socrate, che è il padre spirituale, e Diogene che esce dalla sua botte per psicanalizzare selvaggiamente Platone. Quest’ultimo è il personaggio principale, piegato dalle sue stesse frustrazioni. Guillaume Martin si diverte raccontando l’intreccio: «È basato su una storia vera… E si scoprirà che Platone non è felice della sua posizione di intellettuale solitario. Come lascia capire da alcuni scritti, avrebbe voluto essere un grande artista oppure un politico influente. E perché non uno sportivo?»
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