ACCPI. SALVATO: C'È ANCORA TANTO DA FARE

PROFESSIONISTI | 28/01/2017 | 07:20
Augurando uno splendido 2017 a tutti gli appassionati di ciclismo, in questo primo mese dell’anno abbiamo deciso di ti­rare le somme dell’operato dell’Associazione Corridori Ciclisti Professionisti Italiani insieme al suo presidente. Con questa intervista Cri­stian Salvato ci ricorda quanto è stato fatto da lui e i suoi collaboratori da quando ri­copre questa carica e ci svela i suoi propositi per l’ultimo anno del suo mandato.

Presidente, soddisfatto?
«Sì, sono alla mia prima esperienza politica e mi sono reso conto che per cambiare le cose ci vuole tanto lavoro e anche la dovuta moderazione con le altre componenti in campo, ma qualche bel traguardo in questi ultimi tre anni di lavoro lo abbiamo tagliato. Penso al “protocollo meteo” ideato con l’AIMEC, l’associazione dei medici italiani del ciclismo; oppure a quanto fatto in ambito femminile e fuoristrada, allargando i nostri orizzonti al ci­clismo a 360°; o ancora alle iniziative internazionali promosse insieme al CPA, il sindacato internazionale guidato da Gianni Bugno, e ai tanti eventi benefici promossi in casa nostra. Sono felice soprattutto di constatare co­me ci sia una maggiore partecipazione degli atleti alla vita associativa. Come diciamo sempre, l’Assocorridori ha ragione di esistere e potere nelle trattative con le altre parti solo se i corridori sono i primi a battersi per i loro stessi interessi. Vedere il nu­mero di partecipanti alle riunioni in continua crescita stimola me e l’intero consiglio direttivo a impegnarci sempre più per il gruppo».

In questo senso il coinvolgimento dei neoprofessionisti è stato la chiave di volta.
«Senz’altro. Nell’estate 2013 abbiamo istituito un corso di riconoscimento professionale che ci sta regalando grandi soddisfazioni. L’idea di un incontro formativo e aggregativo obbligatorio per staccare la tessera da professionista, che con il tempo ormai è diventato un momento di ritrovo e aggiornamento per l’intera categoria, ha riscosso l’approvazione del presidente della Federciclismo Re­na­to Di Rocco e del Consiglio della Lega del Ciclismo Pro­fessionistico guidato dal presidente Enzo Ghigo e va via via migliorandosi anno dopo anno. Siamo stati ispirati da un’intervista di Danilo Gal­linari, il cestista italiano che milita nella NBA, che raccontava del corso che ha do­vuto frequentare prima di sbarcare nella massima categoria del basket americano, un corso durante il quale gli è stato spiegato tutto: dalle misure del pallone alle regole del gioco, dal comportamento da tenere con i giornalisti a quello con le fans. Allo stesso modo, anche i nostri ragazzi quando passano professionisti non sanno come affrontare questioni pratiche come la compilazione dei modelli del sistema ADAMS e non conoscono organi che possono tutelarli o strumenti come il Fondo di accantonamento per la loro pensione. Fino a qualche tempo fa, tutte queste conoscenze venivano acquisite grazie alle chiacchiere con il compagno di camera o per sentito dire, mentre ora sono illustrate da persone competenti ancor prima che un corridore acceda al professionismo».

Il 2016 è stato un anno difficilissimo per quanto riguarda la sicurezza, anche in corsa.
«Purtroppo sì, addirittura tra­gico in più di un’occasione. In questo senso noi stiamo cercando di proporre idee dall’interno del gruppo che però né l’UCI né gli organizzatori sembrano voler re­cepire. Se è vero che la vo­ce dei corridori si è fatta più grossa di un tempo, è altrettanto vero che ha an­cora troppo poco peso, considerato che chi rischia la vita in strada sono gli atleti stessi. La presenza del delegato CPA a tutte le corse World Tour è stato un passo importante, ma dobbiamo essere sempre più presenti alle gare per visionare i percorsi e nel caso pretendere modifiche. Certe cadute sono fatalità imprevedibili, altre possono essere evitate semplicemente con più attenzione. L’idea annunciata da ASO, RCS e Flanders Clas­sic di ridurre il numero di corridori in corsa, a mio avviso non ha senso. È co­me se, per paura dei terremoti, togliessimo le persone dalle case invece di costruire abitazioni più sicure. Gli incidenti avvenuti in corsa so­no per la maggior parte stati causati da paletti posti dove non dovevano essere, archi pubblicitari sgonfiatisi sui corridori e soprattutto moto/auto dell’assistenza in corsa. Queste ultime sì che andrebbero ridotte di numero, altro che gli atleti... ».

Proseguirà la vostra campagna sul “metro e mezzo di sicurezza”?
«Sì, per quanto riguarda la si­curezza extra competizione, nella vita di tutti i giorni, sono ormai anni che ci battiamo. Una cultura di rispetto tra i mezzi che percorrono le nostre strade non la si co­struisce dall’oggi al domani e nemmeno far passare una legge è cosa semplice ma noi continuiamo a impegnarci perché il sorpasso sicuro en­tri a far parte del nostro codice della strada come in altri paesi. Quest’anno insieme ad Alessandra Cappel­lot­to ho incontrato a Roma la senatrice Valeria Fedeli (no­minata di recente ministro dell’Istruzione dal neopremier Gentiloni, ndr) e il vi­ceministro Nencini, e la nostra vicepresidente ha te­nuto i rapporti anche con Pa­nizza, De Caro, Bellini e Sbrolini per proporre loro la nostra iniziativa. Intanto il tam tam sui social e sul web continua anche con la nostra “ACCPI cycling academy”, pil­lole che promuovono le buone abitudini da adottare in sella e al volante e condannano invece le scorrettezze che rendono le nostre strade pericolose per le due ruote».

Si discute ancora molto dei freni a disco. Che ne pensa?
«C’è grande con­fusione in merito, i corridori ne sono spaventati dopo la nota ca­duta di Ventoso di un anno fa ma alla fine non è sicuro che la causa delle sue ferite sia stata la lama del freno. Li ho provati personalmente, a livello di sicurezza di frenata sono tutto un altro mondo. In più le case costruttrici stanno procedendo a grandi passi per perfezionarli. Per questo non ha senso mettere i bastoni tra le ruote a questa evoluzione».

Cosa augura al ciclismo per l’anno nuovo?
«Che entri qualche sponsor in più e si riesca ad allestire un team World Tour italiano, darebbe una grande ma­no a tutto il movimento. Nel frattempo continuiamo per la nostra strada difendendo i diritti dei corridori e puntando sulla formazione dei no­stri associati, unica strada per crescere davvero».

da tuttoBICI di gennaio, a firma di Giulia De Maio
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