BATTAGLIN RIPARTE: «LA PAROLA D'ORDINE È "COSTANZA". CON VISCONTI SAREMO UNA BELLA COPPIA»

INTERVISTA | 25/11/2020 | 08:10
di Carlo Malvestio

Enrico Battaglin, Bardiani-CSF-Faizanè, Capitolo II. I Reverberi lo avevano lanciato nel mondo dei grandi nel 2012 e ora, cinque anni dopo l’arrivederci, lo riaccolgono, ritrovando un corridore più maturo, consapevole dei propri pregi e difetti, e con ancora tanto da dare al ciclismo. Il 31enne di Colceresa riparte dai suoi ricordi migliori, dalle due vittorie di tappa al Giro d’Italia, a Serra San Bruno e Oropa, e dal successo al GP di Peccioli, quando era ancora uno stagista. Nel mezzo tre anni altalenanti con la Jumbo-Visma, un anno complicato con la Katusha-Alpecin e una stagione flash con la Bahrain-McLaren, condizionata dalla crisi epidemiologica.


«Sono parzialmente soddisfatto del mio 2020, ho ottenuto qualche buon piazzamento dopo un'annata molto strana in cui sono comunque riuscito a prepararmi bene e farmi trovare pronto – ammette Battaglin a tuttobiciweb -. Ho mantenuto uno stato di forma abbastanza costante durante i tre mesi; peccato per quel terzo posto a San Daniele del Friuli al Giro d'Italia, in cui per poco non sono riuscito a rimanere agganciato ai primi due (tappa comunque andata al compagno di squadra Tratnik, ndr), altrimenti la stagione avrebbe avuto senz'altro un altro sapore. Praticamente ho cambiato tre squadre in due anni; non è la cosa ideale, perché ogni volta bisogna cominciare da capo, oltre ai compagni devi conoscere tutto lo staff, che comprende almeno 50 persone in una squadra WorldTour, quindi l'ambientamento non è immediato. Qui alla Bardiani-CSF-Faizanè, però, conosco già molte persone e l'inserimento sarà molto più rapido».


Alla corte dei Reverberi potrà tornare ad avere una certa libertà, oltre a sperimentare il nuovo ruolo di chioccia per i tanti giovani che la squadra emiliana lancia ogni anno. Al di là degli obiettivi specifici, ciò che più conta per Battaglin è essere presente tutto l’anno, cercando di farsi vedere davanti il più possibile e trovare una certa continuità di risultati che non sempre è riuscito ad aver in carriera. Risolto un problema al setto nasale, il veneto scalpita per tornare a correre: «Sarei contento del mio 2021 se riuscissi a vincere una tappa al Giro e fossi continuo durante tutto l'arco dell'anno. La parola d'ordine dovrà essere "costanza", quella che sono riuscito ad avere nel 2018 e in questo breve 2020, e che invece non sono riuscito nel 2019 in cui ho dovuto fare i conti con l'ipertrofia dei turbinati (ingrossamento delle mucose del naso che limita la respirazione, ndr), eliminata con un'operazione ad inizio di quest'anno e comunque ancora sotto controllo, che però mi ha tenuto sempre lontano dalle posizioni di testa».

La Bardiani-CSF-Faizanè (come gran parte delle squadre) dovrà aspettare gennaio per fare il primo training camp e per ora dovrà accontentarsi di videoconferenze e telefonate. Anche il programma delle gare è del tutto in divenire: «Al momento le certezze in termini di calendario sono poche a causa del Covid, ma come squadra speriamo di ottenere gli inviti di tutte le gare RCS e magari anche per l'Amstel Gold Race come in passato» spiega ancora Enrico, che è già ripartito con gli allenamenti dopo un periodo di relax a casa.

Per la formazione italiana il 2021 sarà un anno importante, visto che tornerà ad aprire le porte anche agli atleti stranieri, dopo un decennio in cui si era contraddistinta per il suo fortissimo Made in Italy, fatto di corridori giovani e provenienti dal Bel Paese. I ritmi esasperati di questo ciclismo e l’esigenza di limitare quanto più possibile il divario con le squadre WorldTour, però, ha costretto i vertici del team ad aggiornare la loro filosofia, inserendo anche qualche corridore esperto in più nel roster rispetto agli ultimi anni.

«Una sorta di ritorno al passato. Non è facile ottenere risultati solo con giovanissimi italiani, che spesso hanno bisogno di fare esperienza e sono ancora un po' acerbi, così il ruolo di corridori più esperti come noi servirà anche ad indirizzarli nella maniera più giusta – analizza Battaglin -. D'altronde ho fatto 11 Grandi Giri, ne ho viste di tutti i colori, e penso di sapere quando è il momento di attaccare, stare a ruota, riposare o gestirsi. La differenza la fa però sempre la preparazione individuale, che tu corra in una squadra WorldTour o Professional. Un corridore di 31 anni come me sa quello che deve fare, come allenarsi o mangiare, come arrivare pronto ad una gara piuttosto che ad un'altra. Quindi la differenza tra WorldTour e Professional è minore. Nel WT si fanno più training camp e ci si trova più spesso, proprio perché si hanno più risorse, e questo è fondamentale per un ragazzo più giovane, che ha bisogno di essere indirizzato su molti fronti. Il ruolo dei corridori più anziani sarà fondamentale per cercare di colmare il più possibile il gap con le formazioni con più risorse».

Da questo punto di vista, con Battaglin e Giovanni Visconti, la Bardiani-CSF-Faizanè dovrebbe però avere le spalle ben coperte: «Giovanni l'ho avuto spesso come avversario, mai come compagno, ma sono contento che ci sarà anche lui. Ha ancora più esperienza di me, ha corso in squadre molto importanti, e sarà sicuramente un punto di riferimento per tutti. Abbiamo caratteristiche simili, anche se lui è un po' più scalatore e io un po' più veloce. Avere due carte da giocare in molte gare sarà comunque una cosa positiva».

Il 2020 ha segnato un netto cambio generazionale, con quella nuova che avanza velocemente e quella vecchia che soffre, ma non molla. Battaglin appartiene ad una generazione di mezzo e il suo pensiero, più che all’inevitabile ricambio in vista, va a tutti quei giovani che non sono fenomeni e vedono i loro coetanei vincere Tour de France e grandi classiche. «Non è facile restare al ritmo di questa nuova generazione, ma in realtà il problema penso sia più per i giovani neo-professionisti che per noi che abbiamo già una lunga carriera alle spalle. Si guarda ad Evenepoel e Pogacar, solo per citarne due, che cominciano a vincere a 20 anni e ci si sente in obbligo di vincere subito, senza avere il tempo di maturare a dovere. Secondo me è una tendenza che non fa bene ai giovani che invece necessitano di qualche anno di più per farsi le ossa, come succedeva quando sono passato professionista io, in cui a comandare in gruppo erano i corridori più esperti come Contador, Cancellara o Evans. Passare professionista già con il dovere di vincere è tutt’altro che piacevole».

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