GIUSEPPE ARCHETTI, IL MECCANICO DEI TRENTA MONDIALI

TUTTOBICI | 25/09/2020 | 07:55
di Pier Augusto Stagi

Una vita in equilibrio precario, spesso esposto fuori dal finestrino, eppure è una certezza. Lui c’è, da trent’anni. È un punto di riferimento, un terminale sul quale fare sempre riferimento. È l’uomo che aggiusta, monta e smonta, sostituisce, ascolta e consiglia: è Giuseppe Archetti.


È il meccanico di tutti, nel senso che dal 1991, anno in cui il leggendario Alfredo Martini lo chiamò in nazionale, sistema le biciclette dei corridori più forti della nostra Patria in bicicletta. L’uomo che non conosce il tempo, perché fin quando non ha terminato di sistemare anche l’ultima sfera non va a riposare. Ed è quello che fa il trapezista restando fuori dal finestrino e ti sistema il cambio in piena corsa. In verità non è l’unico che riesce a farlo, ma lui lo fa da più tempo e dicono che lo faccia meglio di tutti. 


Bresciano classe 1966, è sposato con Raffaella e padre di Giovanni, Alexia e Martina. Dal 1989, dopo una discreta carriera da ciclista nelle giovanili, eccolo armeggiare attorno a quel cavallo alato: ha solo 23 anni…

«Ho corso fino ai dilettanti, ho vinto qualche gara, ma non era il mio mestiere. Poi un caro amico, Luciano Bracchi, mi fece cominciare alla Carrera. Cercavano un ragazzo, e io non mi feci pregare. È passata una vita e non me ne sono nemmeno accorto. La mia fregatura? La passione».

Mai un momento di cedimento?

«Diversi, tutti per la famiglia. La lontananza si fa sentire, quando è nata Martina, la più piccina, la cosa è maledettamente peggiorata».

L’esordio in azzurro nel 1991, mondiale di Stoccarda.

«E vince Gianni Bugno. Un ragazzo fantastico, un corridore incredibile: solo lui non sapeva quanto fosse forte».

La chiamò Alfredo Martini.

«Una leggenda, gli davo del lei, quando parlava restavo incantato. Una persona pazzesca, dal quale si poteva solo imparare. Era un concentrato di buonsenso e garbo: eleganza».

Il primo Tour nel 1990.

«Poi ce ne sono stati altri venticinque. Quello del ’90 è stato il Tour di Chiappucci. Mi trovai all’improvviso dentro un frullatore per colpa di quello che non era ancora diventato “el diablo”. Un brutto anatroccolo che sapeva andare come una moto. Otto giorni in maglia gialla e a Parigi arrivò secondo dietro a Le Mond. Cosa è per me il Tour: tutto. È il ciclismo. Il Giro? È casa. È cuore, ma bisogna ammettere che quelli là sono un’altra cosa».

Un lavoro che si impara guardando…

«È così. Il mio maestro è stato Piero Piazzalunga, un artista della bicicletta. Andavo a Bergamo nel suo “atellier” e lo studiavo, lo riempivo di domande: lui è stato per me un grande maestro»

Il corridore più attento?

«Gilberto Simoni. Gibo sa tutto e con lui ho ancora un rapporto speciale. Ragazzo d’oro: generoso e giusto. Il più accomodante? Totò Commesso: lui si fidava. Il più difficile? Mario Cipollini: lui ha il suo carattere, ma anch’io…».

Persone speciali?

«Franco Vita, la storica spalla di Alfredo Martini, che per me è come un secondo papà. E poi Mario Chiesa, ex corridore, bravissimo tecnico: un fratello».

Una vittoria ottenuta con i colori di un “club” che le è rimasta nel cuore.

«Chiappucci al Sestriere: da solo e controvento. Ma anche quando vinse Gibo (Simoni, ndr) sui Pirenei. E poi non posso dire tutte le volate del Cipo: tanta roba».

Torniamo ai mondiali: il momento più difficile?

«Oslo, il primo mondiale in ammiraglia, quello vinto da un giovanissimo Lance Armstrong. Pioggia tutto il giorno, strada viscida, corridori che cadono da tutte le parti. Penso tra me e me: qui non ne esco. Un battesimo pazzesco, ma me la sono cavata. E sono ancora qui…».

Il momento più esaltante?

«Due, con lo stesso corridore: Paolo Bettini. Prima Atene, l’oro olimpico e poi il mondiale di Salisburgo (2006): da pelle d’oca».

Il momento più brutto?

«La morte di Franco Ballerini: un dolore indescrivibile. Poi quando è mancato anche Alfredo Martini».

Il momento più amaro…

«Un anno fa, al mondiale dello Yorkshire: sembrava fatta per Matteo Trentin, poi la beffa quando stavamo già pregustando il trionfo. Non l’ho digerito ancora adesso».

Un momento adrenalinico.

«Varese 2008, la strepitosa vittoria di Alessandro Ballan: da cardiopalma».

La festa più festa di tutte.

«Quindi il momento più “glamour”: dopo la vittoria di Zolder con Mario (Cipollini, ndr). Quella spedizione è stata pazzesca per il clima che si respirava in squadra e il dopo è stato indimenticabile. Di Mario, bisogna dirlo, ce ne sono pochi…».

Il momento più magico, quello che è restato lì.

«Stoccarda, 1991: Gianni Bugno. Un sogno, che di tanto in tanto ritorna e resta in equilibrio sul cuore». Un po’ come Giuseppe Archetti.

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Archetti si racconta anche nella nuova puntata di BlaBlaBike: il meccanico azzurro, oggi alla UAE, è protagonista di una chiacchierata che si trasforma in un viaggio nel tempo, nei ricordi e negli aneddoti dei campioni.

In questa puntata di BlaBlaBike da non perdere poi altri tre interventi molto interessanti: l'intervista a Marco Marcato che ci racconta il Tadej Pogacar... pedalato, quella a Damiano Caruso, miglior italiano al Tour e punta della Nazionale di Cassani, e quella ad Andrea Agostini che ci racconta le emozioni di oggi (con Pogacar) e di ieri (con Pantani) sui Campi Elisi.

Per ascoltare l’intervista a Giuseppe Archetti nella ventottesima puntata di BlaBlaBike CLICCA QUI o corri sul nostro canale Spotify.

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