
Il ciclismo di Raffaele Giovinazzo è un inno al sacrificio, alla sofferenza. «Il ciclismo è la strada, la gente che si emoziona, la vita. Ho scelto questo sport perchè dove c'è da fare tanta fatica io ci sono. L'alternativa sarebbe stata quella di praticare il nuoto, faticoso quasi come la bicicletta, perchè adoro stare a contatto con l'acqua».
Ligure, come i professionisti Oliviero Troia e i fratelli Leonardo e Niccolò Bonifazio, Raffaele si è avvicinato al ciclismo grazie allo zio Stefano Brillante, ex cicloamatore, che in gioventù ha disputato la Gran Fondo Gino Bartali: «La bici è stata subito una grande passione. Insieme alle mie due cugine, zio ci portava alle corse cercando di farci divertire e appassionare. E da lì è iniziata la trafila fino a oggi».
Campione della regione Liguria nel 2017 (esordienti), Giovinazzo si è lasciato alle spalle un 2019 (allievi primo anno) avaro di successi, ma non deludente. In quattro occasioni ha sfiorato la vittoria: è giunto infatti secondo a Pianezza nel Torinese, e a Gessate nel Milanese, terzo a Trinità e a Grinzane Cavour in provincia di Cuneo. Si è piazzato anche tre volte al sesto posto, fra l'altro sul traguardo del Criterium di Monaco.
Giovinazzo abita a Camporosso, in provincia di Imperia, nella Riviera dei Fiori, assieme al padre Salvatore (origini calabresi), muratore, e alla madre Norma (origini campane), casalinga. «Scarpaman» è il curioso soprannome coniato per lui dal gruppo di ciclisti: «Mi è stato dato da esordiente di secondo anno, durante una gara dalle mie parti. Mi è uscita la tacchetta dalla scarpa del pedale destro. Pazzesco! Proseguire non era facile, ho temuto il ritiro, ma sono andato avanti senza la scarpa, pedalando scalzo col piede nudo protetto solo dal calzino».
Giovinazzo è uno che va bene su tutti i terreni, uno che sfrutta bene i suoi 60 chilogrammi di peso distribuiti in 173 centimetri di altezza. Sedici anni compiuti a gennaio, il giovane ligure studia da geometra presso l'Istituto Tecnico Statale Commerciale "Enrico Fermi" di Ventimiglia. Corre per la Ciclistica Bordighera presieduta e diretta da Guerino Lanzo.
Cosa ne pensi del momento del ciclismo italiano?
«Il nostro è un ciclismo di alti e bassi ancora in cerca di certezze per quanto riguarda le categorie superiori. E' comunque un ciclismo che trasmette passione».
A quale età hai cominciato a correre?
«A 9 anni per la Ciclistica Bordighera, con una bici Olmo nera e blu».
Il più forte corridore di tutti i tempi?
«Marco Pantani perché trasmetteva a tutti sensazioni uniche».
Quale altro sport ti piacerebbe praticare?
«Il nuoto, perchè mi piace il contatto con l’acqua».
I tuoi peggiori difetti?
«Non riesco e gestire le emozioni».
Il tuo modello di corridore?
«Quando correva, Fabian Cancellara, ora Peter Sagan».
Cosa leggi preferibilmente?
«Mi capita raramente, e allora mi butto sui libri di ciclismo».
Cosa apprezzi di più in una donna?
«Il carattere».
Cosa cambieresti nel ciclismo di oggi?
«Va bene così».
Piatto preferito?
«Pizza».
Film che ti ha emozionato?
«Il documentario sulla storia di Pantani».
Chi è il tuo collega più simpatico?
«Giuseppe Lorenzi, mio compagno di squadra».
Il bello del ciclismo?
«Ti fa girare il mondo, e la sofferenza diventa emozione per il pubblico».
Paese preferito?
«L’Italia».
Cosa vorresti che si dicesse di te in particolare?
«Che sono bravo con le mie vittorie a emozionare la gente».
Hobby?
«Stare in campagna e l’agricoltura».
La gara che vorresti vincere?
«Campionato Italiano, qualunque sia la specialità».
Ti senti in debito con qualcuno in particolare?
«I genitori e l’allenatore, Guerino Lanzo».
Quale sarà il tuo obiettivo al rientro nelle gare?
«Vincere un titolo tricolore in pista».
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