CAMBIO DI STAGIONE

TUTTOBICI | 24/10/2019 | 07:40
di Cristiano Gatti

Rifacendo un minimo di ordine, sul finire del­la stagione: il Gi­ro a Carapaz, Ecuador, il Tour a Bernal, Colombia, la Vuelta a Roglic, Slovenia. Possiamo prendere tutto e mettere via come se niente fosse? Certo che si può. Ma se abbiamo ancora il gusto di scendere un po’ dalla su­perficie verso un minimo di profondità, subito cambia quello che vediamo: non solo coincidenze, ma segni e segnali parecchio forti.


Come racconta in mo­do sublime il vecchio Boris Pasternak nel Dottor Zivago, non è possibile all’occhio umano cogliere il momento in cui la foresta cambia colore per il cambio di stagione. Il cambio avviene senza che noi possiamo percepirlo, ce ne ac­cor­giamo a cose fatte. Un giorno, la foresta che vedevamo ver­de ci si ripresenta lentamente gialla, rossa, marrone, fino a diventare spoglia. L’impal­pa­bile passaggio del tempo, questo è ciò che ci sfugge. Torno do­verosamente al tema: noi non ci siamo accorti in quale preciso momento è avvenuto il cambio di stagione, ma indubbiamente ci ritroviamo davanti a un evidente e inequivocabile cambio di stagione. Fino a un attimo fa guardavamo le nostre certezze, i Nibali, i Froome, i Tho­mas, improvvisamente ci ri­troviamo davanti a una foresta di tutt’altri colori: Ca­ra­paz, Bernal, Roglic.


Non è un cambio ba­nale e secondario. Oltre ai volti dei singoli dominatori di questa nuova stagione, cambia pure l’intera geopolitica. Non è lontanissimo il passato in cui Slovenia, Ecua­dor e Co­lombia erano tocchi di semplice colore, di simpatico folklore, niente di più, in mez­zo al gruppo. Ai Mon­dia­li si vedevano queste maglie alla par­tenza, magari nelle prime fu­ghe pittoresche, molto più frequentemente subito staccate dal gruppo, impegnate in una corsa a sé, di pura rappresentanza, tanti applausi d’incoraggiamento e tanta simpatica compassione. Anche qui: il passaggio di stagione nessuno l’ha fermato in una fo­to, ma l’intero film ci presenta un finale incredibile: le nazioni del folklore oggi comandano in tutti i grandi giri.

A noi abitanti del vecchio mondo converrà abituarci in fretta: la nuova carta geografica è molto più vasta e molto diversa. Ab­biamo un mappamondo sul quale Paesi lontani e marginali si ritrovano improvvisamente al centro della storia e della geografia. Inevitabilmente, an­che al centro dei grandi mercati e delle grandi cifre. Non a caso, i ricconi dell’ambiente è lì che adesso vanno a pescare per fare i loro squadroni, vedi Ineos che vira nel giro di poche stagioni dalle accoppiate an­glofone Wig­gins-Froome, Froome-Thomas, alla nuova formula Bernal-Ca­rapaz. E così via.

In tutto questo, non possiamo non chiederci cosa vediamo improvvisamente del cambio di stagione nostro, di noi Italia. Pochi colori, molti dolori. La nostra foresta, dopo una lunga epoca di verde lussureggiante, ci appare oggi decisamente spoglia e rinsecchita. Possiamo pure pensare che Ni­bali sia eterno e im­marcescibile, ma chi ha occhi aperti e cu­riosi ha intuito già quest’anno che non è così. Anche la vecchia quercia, la più bella e la più forte delle nostre, perde fogliame e comincia a ingiallire. Sarà magari un autunno me­raviglioso, ma resta pur sempre un finale. Per il resto, paesaggio spoglio e disadorno. Con un grande senso di arido e di freddo.

Si può sempre sperare che mentre noi vediamo questa foresta malinconicamente grigia, già l’invisibile scorrere del tempo stia facendo germogliare piante nuove, un giorno belle e forti come quelle che non abbiamo più. Ma non ne sono sicuro, questa volta. A quanto pare, non basterà una stagione per ri­trovarci davanti la nuova foresta. Non credo proprio che già la prossima primavera ce la presenterà colorata e rigogliosa come vorremmo. Mi sa tanto che dovrà passare molto più tempo. Poche illusioni: sarà un lungo, in­terminabile inverno.

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COMMENTI
Giusto, ma...
24 ottobre 2019 08:12 AleC
Qualche segnale nella nostra foresta un po' rinsecchita lo si vede.
Aru in questa stagione non é tornato competitivo ma abbiamo visto che può tornarlo: un 14o al tour con una preparazione improvvisatissima e buoni segnali alla Vuelta prima che il citomegalovirus lo sedesse. Ora è pure papà, spero che lo aiuti a mettere gioie e dolori ciclistici nella giusta prospettiva.
Trentin secondo al mondiale. Magari è tardi, magari è l'occasione della vita gettata via, o magari si può riprendere da qui per provare a vincere qualcosa che conta, una monumento. Specie sulle pietre dove spesso si vince tardi.
Viviani è nell'elite delle ruote veloci, noi lo vorremmo un gradino più su. Ha lasciato la Quickstep un attimo prima di rimanere chiuso fra troppi, bravo.
Formolo è fragile, incostante, ma quel 2o alla Liegi dà speranze. Spero abbia capito che la classifica nei GT non è affar suo, neanche in anni avari di crono come questi.
Dietro crescono i Ciccone, Masnada, Vendrame.
Abbiamo il campione del mondo under23 e una nidiata di neopro in arrivo.
E siamo secondi nel ranking mondiale, dietro al Belgio: solo che entrambi abbiamo una fetta di torta più piccola.

La semplice verità
24 ottobre 2019 15:03 pickett
Tempo fa ho sentito dire Marco Luchinelli,opinionista Sky di moto:"In rettilineo sono capaci tutti di andare forte,i campioni si vedono in curva".Traslando il suo concetto dalle moto alle bici,si può dire che in pianura(o sui cavalcavia dello Yorkshire) sono capaci tutti di andare forte,magari dopo aver succhiato le ruote per 200 km,senza quasi dare un colpo di pedale.E anche i nostri ragazzi restano a galla.Appena arriva una salita,haimè,assistiamo al naufragio totale.P.S. I colombiani andavano fortissimo già negli anni 80,trent'anni fa abbondanti.Altro che"presenza folcloristica"!Gatti in quegli anni quali sport seguiva?Il football americano?

pickett
24 ottobre 2019 16:46 tempesta
bravo, ma come vedi ce gente che nomina Aru che non va piu nemmeno a spinte. Ma qualche tappe si e vinta in Africa. Facciamo ridere, e tutti a difendere questi fenomeni.

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