Alberto è un ragazzo poco più che trentenne. Ha girato parecchio per l’Europa, ma alla fine è tornato lì, dove è sempre partito, a San Sebastiano di Civitella d’Agliano, in provincia di Viterbo, nel Lazio ma con tanta Umbria subito dietro le spalle. Dalla finestra della stanza al primo piano della casa di sua nonna, che oggi Alberto ha ereditato ed eletto a sua fissa dimora, si vede Civitella incorniciata da un cielo terso e da una luce irreale mentre tenta di scalare l’infinito. Un po’ come le Marche, anche questa è una terra di piccoli gruppi di case che sembrano immobili da sempre quando in realtà sono solo immortalate nell’attimo eterno dell’arrampicata verso la cima della collina alle pendici del cielo. Al massimo si possono definire in surplace su un’ascesa millenaria. Occorre guardarli per anni per coglierne il respiro, la tensione, l’impalpabile movimento degli occhi, la goccia di sudore che scivola giù dai muri delle case e scoprire così che si muovono! Niente è fermo.
Oltre un tavolo, una piccola libreria, un armadio, un divano-letto e quadri alle pareti (le foto scattate da Alberto), la stanza ospita altre due presenze tutt’altro che inanimate sistemate con amore tra il tavolo e la parete. Con il muso che punta l’uscita, pronte a scappare a qualsiasi ora, nella stanza al piano terra della casa di Alberto, ci sono due biciclette.
Alberto è molto più che un ciclista, ma è attraverso la bicicletta e il suo essere ciclista che è diventato molto di più. A marzo invia un messaggio alla pagina fb della Fondazione in cui scrive di collaborare con l’organizzazione della Ciclostorica La Carrareccia di Bolsena e che vorrebbe mettere in piedi un incontro per sensibilizzare la cittadinanza sul tema della sicurezza stradale degli utenti deboli. Ha perso due amici in bicicletta sulla strada, ciclisti come lui. “Dalle mie parti è una battaglia ogni volta che si esce in bici” scrive. Ci accordiamo su una data, il 25 agosto, una settimana prima della Carrareccia, e ci perdiamo di vista per qualche mese.
A giugno ritorna alla carica. Si scusa per aver fatto passare tanto tempo, poi scrive che vorrebbe sentirmi al telefono per raccontarmi le idee che gli sono venute in mente dal primo nostro scambio di conoscenza. Idee che nel frattempo sono maturate anche confrontandosi con suoi amici. Gli giro il mio numero. Chiama. La sua voce dall’altra parte del cavo invisibile è sicura, fatta di poche parole trasformabili in fatti prima ancora di aver terminato di pronunciarle. Vuole fare dei cartelli, mi dice, con su scritto il motto della Fondazione, “La strada è di tutti a partire dal più fragile” e sistemarli ai tre ingressi stradali di Bolsena. L’Amministrazione è d’accordo ed ha sposato subito la causa. Ha una voce sicura, Alberto.
Un mese dopo mi manda la bozza dei cartelli, quindi il 24 luglio ecco spuntare da Messenger una foto. E’ Alberto vestito da ciclista. E’ appena rientrato da un’uscita in bici e con sua grande sorpresa ad attenderlo ha trovato i cartelli! Ne prende uno in braccio. Il cartello ha lo sfondo blu, le lettere gialle e più sotto ci sono i loghi della Fondazione Michele Scarponi, del Comune di Bolsena, della Carrareccia e della Ciclopica (la società ciclistica di Alberto). Lo tiene sicuro, Alberto. E’ felice come il giovane scrittore che riceve le bozze del suo primo libro, anche se continua ad avere uno sguardo da duro, in realtà è al settimo cielo. Sembra di tenere in braccio un figlio. E’ orgoglioso come un padre ed io, dall’altra parte del computer, lo sono altrettanto.
Domenica 25 agosto è il grande giorno dell’inaugurazione dei cartelli. Raggiungo Bolsena, che non ha una stazione, in treno: un giorno così non può iniziare dentro un’automobile. Scendo ad Orvieto e lì arriva Alberto a recuperarmi con una Panda a metano. Mentre ci dirigiamo verso la sua casa penso a quando deciderò di far salire con me sul treno una bici… Mi mostra la stanza con le due biciclette in cui dormirò la notte quindi via a vedere i cartelli già sistemati ai tre ingressi stradali della città di Bolsena tranne uno. Il terzo ci aspetta all’auditorium di Bolsena dove avviene la presentazione della Carrareccia e dei cartelli, dove anch’io parlo, con il cuore in mano, ringraziando Alberto, Diego, Francesco, gli organizzatori della Carrareccia, il Comune di Bolsena e i Paesi Scalatori.
Un cartello, cosa può mai fare? Di certo non potrà cambiare il mondo né il motto della Fondazione lo cambierà. Persone come Alberto invece hanno tutto per lasciare questo pianeta migliore di come l’hanno trovato. Quanti Alberto ci sono là fuori con la voce sicura e due biciclette in agguato dietro l’uscio? Uscite allo scoperto, è questo il momento.
La strada è di tutti a partire dal più fragile.
La strada è di tutti a partire dalle persone.
Marco Scarponi, fratello di Michele
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