Ormone della crescita anomalo, il Corriere non diffamò

| 13/10/2007 | 00:00
Il Corriere della Sera non ha diffimato Rosolino, Trillini, Bellutti, Abbagnale e Idem, né ha «offeso» il Coni, che avevano tutti sporto querela contro il nostro giornale («Il fatto non costituisce reato»). Con il suo articolo pubblicato il 14 ottobre 2000, il Corriere, peraltro, non ha violato nemmeno il segreto istruttorio, così come contestato (il pm di Torino Guariniello nel frattempo aveva aperto un'indagine), ma ha esercitato esclusivamente e legittimamente il diritto di cronaca. Questa la sentenza del giudice monocratico della prima sezione penale del Tribunale di Milano, Ilio Mannucci Pacini, pronunziata il 9 luglio scorso, le cui motivazioni sono state depositate il 4 ottobre. In ballo, lo scandalo Gh, l'allarme lanciato alla vigilia dei Giochi olimpici di Sydney del 2000 dall'allora in carica Commissione scientifica antidopign del Coni, in merito ai valori ematici deell'ormone della crescita considerati fuori norma per 61 atleti di alto livello (su 538 controllati), fra cui 5 che avrebbero poi vinto la medaglia d'oro: Massimiliano Rossolino (nuoto), Giovanna Trillini (scherma), Antonella Bellutti (ciclismo), Agostino Abbagnale (canottaggio) e Josefa Idem (canoa). Questi dati anomali - emersi nell'ambito della campagna di prevenzione «Io non rischio la salute!», fortemente voluta proprio dai vertici del Coni - erano stati riportati dal nostro giornale, in un articolo a firma Carlo Bonini e Giuseppe Toti (assolti assieme al direttore responsabile dell'epoca Ferruccio de Bortoli, tutti difesi dagli avvocati Caterina Malavenda e Paolo Grasso). Il Corriere aveva riferito, peraltro, delle preoccupazioni e dei sospetti espressi nella relazione conclusiva della Commissione del 5 settembre 2000, sottoscritta all'unanimità dai suoi membri, compreso il dottor Francesco Botré, citato come teste dai querelanti, ma che ovviamente non ha potuto smentire la circostanza né, tantomeno, contestare «la conformità dell'articolo alle conclusioni della relazione». La relazione fu consegnata al Foro Italico e alle federazioni sportive dopo mesi di controlli e di insistenti richieste di chiarimenti puntualmente disattese (la Commissione venne sciolta dal Coni una settimana dopo l'articolo). Il giudice Mannucci Pacini scrive, tra le altre cose, nelle sue motivazioni: «E' vero o no che nella citata relazione la Commissione segnalò con preoccupazione l'esistenza di valori anomali nel sangue di molti atleti e prospettò il dubbio che quei valori dipendessero dall'assunzione di sostanze determinanti l'aumento dell'ormone della crescita?. La risposta è certamente positiva. Dalla lettura della relazione tutti gli elementi riportati nell'articolo pubblicato sul Corriere della Sera sono confermati». Quindi «sotto il profilo della verità delle informazioni contenute nell'articolo, nessun addebito può essere prospettato a carico degli imputati». Riguardo alla rilevanza pubblica delle notizie, il giudice spiega che «essa non è stata neanche posta in discussione dalle parti civili, apparendo evidente l'interesse della comunità (non solo quella sportiva) a conoscere gli esiti di quella Commissione». Sulla continenza della notizia, il giudice stabilisce che «il linguaggio dei giornalisti non possa essere interpretato al di là del significato letterale delle espressioni utilizzate». Respinta dal giudice anche l'accusa di diffamazione avanzata dal Coni per il giudizio espresso nei suoi confronti dagli articolisti: «Una brutta storia, i cui segreti sono stati a lungo protetti da una curiosa catena di silenzi». Mannucci Pacini scrive infatti: «La definizione dell'atteggiamento assunto dagli organi sportivi come “catena di silenzi" rappresentata la corretta definizione dell situazione determinatasi durante l'estate del 2000». da «Il Corriere della Sera» del 13 ottobre 2007
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