POZZOVIVO. «VOGLIO IL PODIO AL GIRO»

PROFESSIONISTI | 25/01/2018 | 07:07
La Svizzera è casa sua. E quest’anno ha anche vinto al Tour de Suisse. Ed è lì che Domenico Pozzovivo ha co­nosciuto meglio Vincenzo Nibali, che fino a ieri era un rivale con cui confrontarsi e da oggi è un compagno con il quale andare a caccia di successi. Da un paio d’anni il dottor Pozzovivo, una laurea in economia aziendale e una in scienze motorie in arrivo, ha scelto la Svizzera per viverci. Tra il pianoforte e le pedalate specchiate sul lago di Lu­ga­no, a Morcote lo scalatore lucano ha tro­vato il suo posto nel mondo. Pro­fes­sionista dal 2005 con 14 vittorie all’attivo, tra cui spicca la tappa Sulmona-Lago Laceno al Giro d’Italia 2012, per la prossima stagione con la maglia della Bahrain Merida ha un sogno rosa da realizzare.

Com’è nata l’idea di cambiare squadra?
«Può sembrare una storia romanzata, ma la verità è che tutto è iniziato pedalando in una tranquilla giornata di fine giugno. Dopo aver recuperato dalle fa­tiche del Giro d’Italia, con Vincenzo ci siamo trovati in sella per un giro di tre ore, in quell’occasione è nata la possibilità che si cominciasse a pensare a Poz­zovivo alla Bahrain. Imma­ginan­do il suo calendario 2018 e valutando i tan­ti atleti infortunati del 2017 che non erano riusciti a dare il meglio di sé, mi ha detto che potevo fare al caso suo. Mi ha proposto di essere una pedina utile per aiutarlo in salita nelle corse a cui punta e, quando il nostro calendario si differenzia, per ricoprire il ruolo di leader in prima persona. Avevo ricevuto altre proposte di pari livello economico, ma con la testa ho scelto di accettare la sfida di Vincenzo perché era quella che mi faceva sentire più a mio agio».

Cosa ti resta dei cinque anni trascorsi in Ag2r?
«L’approccio al World Tour, è la squadra che mi ha aperto le porte a un ca­lendario più ampio e di livello, che mi ha fatto scoprire corse come la Liegi-Bastogne-Liege e il Tour de Suisse. In Francia ho vissuto un’esperienza molto positiva, in più ho avuto a che fare con culture diverse. Quando sono arrivato eravamo in cinque corridori italiani poi man mano la pattuglia azzurra si è an­data ad assottigliare, mi sono integrato al modo di pensare e lavorare del gruppo. Ora da una squadra francese sono passato ad una araba, ma mi sembra di essere tornato a casa perché ci sono tanti italiani».

Come è stato l’impatto con il nuovo team?
«La maggior parte dei compagni già li conoscevo, è tutta gente con cui chiacchieravo volentieri in gruppo, che co­noscevo dalle categorie giovanili come Sonny Colbrelli e Manuele Boaro, o con cui mi allenavo già insieme come Enrico Gasparotto. C’è tanto meridione nel team, con tanti abbiamo fatto lo stesso percorso. Arrivando dal Sud, si sa che da adolescenti bisogna partire per cercare di costruirsi una certa carriera. Ci legano i sacrifici sopportati da giovani. Nel complesso ho avuto un’ottima impressione, sono stato ben accolto, mi sono ben integrato. Non ho do­vuto affrontare nessun battesimo perché sono nuovo ma già “vecchio”, ho quest’aura da veterano che mi ha protetto (ride, ndr). Come mi chiamano in squadra? Qualcuno the doctor, qualcun altro Dom Dom, ma vedremo cosa si inventerà Giovanni Visconti, il battutista del gruppo».

Il primo ricordo che hai legato a Vin­cenzo Nibali?
«L’ho conosciuto a Caccuri, un borgo di neppure 2.000 abitanti in provincia di Crotone, in Calabria, a fine anni ’90 dove abbiamo corso una gara senza un metro di pianura. Io ero junior, lui allievo. Andava fortissimo. Eravamo in un fuga con un altro junior. Non lo staccammo, poi io ruppi la catena e lui arrivò primo di categoria. Quel giorno capii che era un talento non comune. La rivalità tra noi c’è stata fin da quando eravamo dilettanti e correvamo en­trambi in squadre toscane. Quando ero alla Vellutex, al terzo anno, lui era al primo ed era già un osso duro da battere. In gara ce le siamo date di santa ra­gione ma sempre con rispetto, non ci siamo mai scontrati, se non sportivamente. Ora il rapporto è cambiato, è un mio compagno e so che il mio ap­por­to può essere fondamentale per lui».

Hai debuttato al Down Under con il quattordicesimo posto finale, come proseguirà la tua stagione?
«Correrò l’Abu Dhabi Tour e la Tir­reno-Adriatico, quindi andrò in altura al Teide per preparare il Giro d’Italia, che affronterò dopo Tour of The Alps e Liegi come l’anno scorso. Dopo la corsa rosa, ci sarà una settimana in più che dovremo sfruttare bene per recuperare prima delle fatiche del Tour. Sarà la mia quattordicesima stagione tra i professionisti: guardandomi indietro, ho ancora più voglia e motivazioni di quando ero più giovane. Fin quando mi sentirò così non penserò all’età».

Hai già iniziato a studiare il percorso del Giro?
«Sì, è bello ed equilibrato. Le salite sono meglio distribuite rispetto al passato: tranne lo Zoncolan non sono dure, però messe insieme possono fare la differenza. Mi aspetto un Giro impegnativo, in tutte e tre le settimane ci so­no salite in abbondanza e non mancano le crono. Mi rammarico che l’anno scorso (finì sesto nella generale, ndr) non ho potuto lavorare con la bici da crono a casa, mentre quest’anno ci la­vorerò molto di più, avendola sempre a disposizione. Con Merida stiamo studiando come migliorare la mia posizione e sto usando con più costanza la bici da crono. Sono uno che mentalmente affronta le prove contro il tempo con piacere, migliorerò anche quest’aspetto. Sono fiducioso perché nel 2017, alla undicesima partecipazione al Giro, so­no andato forte come non mai. Mi esalta il via da Gerusalemme. Sono abituato a viaggiare, non mi tirerò indietro neanche questa volta. Non sono mai stato in Israele, sarà un’esperienza di vita, andarci con il Giro sarà toccante».

Se sarà al via, come si può battere Froo­me?
«Con la maggiore esperienza che ho rispetto a lui in questa corsa dalle mille incognite. Il Giro è più imprevedibile del Tour e spesso presenta condizioni meteo proibitive. I rivali importanti al­la corsa rosa non sono mai mancati, il parterre è sempre di altissimo livello, questo mi stimola a raggiungere il massimo. Se c’è più gente forte alla linea di partenza sono più motivato a non la­sciare nulla al caso nella preparazione di un grande appuntamento».

Hai sempre tempo per studiare?
«Cerco di ritagliarmelo, sono a metà degli esami del corso di scienze motorie. Penso che la laurea coinciderà con il mio fine carriera, almeno così potrò organizzare una festa fatta bene (sorride, ndr). Tra lavoro e studio ho dovuto mettere in stand-by la passione per il pianoforte. Quando appenderò la bici al chiodo vorrei riprendere a suonarlo, il mio sogno è insegnare a suonare a mio figlio. Quando mia moglie Va­len­ti­na terminerà gli studi di architettura e in­gegneria edile penseremo ad ampliare la famiglia... L’ho conosciuta a fine 2012 quando era assesore allo sport del comune di Cassano Ionico, di cui fa parte Sibari, sua città di origine, in oc­casione di un incontro con le scuole or­ganizzato da un’associazione sportiva locale nel bellissimo teatro del paese. L’ho notata quando ha portato il saluto del sindaco, ma non ho cercato subito l’approccio perché immaginavo fosse impegnata. Sai, al Sud è meglio non calpestare i piedi a nessuno... (ride, ndr). Dopo qualche indagine ho scoperto che era una strada percorribile e così un mese dopo, con la scusa degli auguri di Natale, ci siamo risentiti e abbiamo iniziato a frequentarci. Di ci­clismo non sapeva nulla».

Nel 2017 sei riuscito a dedicarle la vittoria del Giro di Svizzera.
«Il primo successo da quando ci siamo sposati, l’8 agosto del 2015. Ho baciato la fede sotto il diluvio mentre tagliavo il traguardo a braccia alzate indicando il cielo, per ricordare anche Michele Scarponi, il più grande amico che ho mai avuto tra gli avversari. Era da due anni, dal Giro del Trentino 2015 che non riuscivo a sbloccarmi».

Per quanto ti immagini ancora in sella?
«Per 3-4 anni. Non è questione di età ma di motivazioni. Nei primi anni ho affrontato un calendario ridotto, questo mi ha preservato. Le caratteristciche fisiche non sono più quelle di un venticinquenne ma sopperisco con l’esperienza. Quando non avrò più voglia di allenarmi, di stare tanto lontano da casa, di fare sacrifici, capirò che sarà ora di smettere. Nella mia carriera è stata dura superare gli strascichi dei tanti infortuni che ho avuto. I postumi della caduta al Giro 2015 me li sono portati dietro per un anno, ma già l’inverno scorso avevo rimesso in sesto il fisico. Per i miei cari quel giorno fu un dramma, io per fortuna non ricordo nulla e ho sempre evitato le immagini di quel volo. La voglia di andare in bici non mi è mai mancata, anche nei periodi più difficili. Il segreto è non perdere l’entusiasmo e il piacere di “farsi del male” in allenamento. Se invece ti ac­contenti, ti mancherà sempre qualcosa per raggiungere il massimo».

Dopo cosa ti piacerebbe fare?
«Il preparatore, sto studiando per questo. Qualsiasi cosa faccio, voglio farla bene, con un retroterra saldo. Prima però ho ancora tanti traguardi da raggiungere in sella. L’apice della mia carriera finora è rappresentato dalla vittoria di tappa di Lago Laceno. Ormai è passato qualche anno da quel giorno, sarebbe ora di rinfrescare quel successo. Per il 2018 vorrei qualche piazzamento in meno e qualche vittoria in più. Il sogno che desidero realizzare prima di smettere è sa­lire sul podio del Giro. Un so­gno che non ritengo irrealistico. Speriamo di realizzarlo, ma­gari già quest’anno. Con un team di questo livello le re­sponsabilità aumentano ma è anche più facile in­seguire e ottenere grandi traguardi».

Giulia De Maio, da tuttoBICI di gennaio
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COMMENTI
Ottimo corridore
25 gennaio 2018 11:08 runner
Un corridore serio e costante, che attacca spesso senza timore.
Uno dei migliori scalatori italiani degli ultimi anni.
In bocca al lupo per la stagione!

Ma non deve aiutare Nibali?
26 gennaio 2018 08:26 The rider
Pozzovivo non è andato alla Bahrein per fare l'ultimo uomo di Nibali? Se deve lavorare per Nibali, com può pretendere di andare sul podio del Giro?
Mhaaaa
Pontimau.

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