| 08/05/2007 | 00:00 L’ACCPI (Associazione Corridori Ciclisti Professionisti Italiani) ha scritto una lettera al presidente dell’Union Cycliste Internationale, Pat McQuaid, in merito alla lotta contro il doping. Una presa di posizione accorata e coraggiosa, che invita ad un’azione efficace, coerente ed imparziale. Eccone il testo:
Signor Presidente,
alla luce dei recenti fatti in tema di doping che stanno creando notevole confusione ed incertezza in tutti i settori e livelli del ciclismo professionistico, l’Associazione Corridori Ciclisti Professionisti Italiano ritiene opportuno manifestarLe il proprio pensiero.
In primo luogo riteniamo opportuno sottolineare che l’ACCPI è pienamente d’accordo con Lei sul fatto che sia oggi ancor più indispensabile e imprescindibile, se non vogliamo che il nostro sport sprofondi in una irrecuperabile crisi sportiva e d’immagine, organizzare e promuovere un’efficace e seria lotta al doping che colpisca in modo davvero severo tutti coloro che risultano coinvolti nell’utilizzo di sostanze dopanti.
Ma affinché la lotta al doping possa dirsi davvero efficace, è per noi indispensabile che questa persegua tutti nella medesima misura e severità, senza alcuna distinzione di tessera, nazionalità o categoria di gruppo sportivo.
Non è ammissibile - siamo certi che Lei convenga con noi su questo - che a fronte di corridori costretti a fermarsi perché la propria federazione ha applicato con giusto rigore e fermezza le norme disciplinari sportive, ve ne siano altri che, pur implicati nella medesima vicenda ed in presenza degli stessi indizi e/o elementi di prova, continuano a partecipare alle corse (magari anche vincendole) solo perché appartenenti a nazionalità o iscritti a federazioni per le quali non vigono le medesime regole e procedure di giustizia sportiva, o peggio ancora solo perché la squadra cui appartengono non è inserita nel circuito Pro Tour.
Non solo.
E’ nostra ferma e convinta opinione che, se si vuole davvero combattere il doping, non ci si può limitare a sanzionare sempre e soltanto i corridori.
Non è infatti parimenti ammissibile che il nostro ordinamento sportivo, allorché vi siano seri indizi circa il coinvolgimento di team manager, direttori sportivi e squadre nel favorire e/o nel consentire l’utilizzo di pratiche dopanti da parte di propri corridori, non consenta di comminare anche a tali soggetti sanzioni tali da impedir loro di continuare a gestire corridori, magari - paradossalmente - imponendo a questi ultimi codici etici da loro stessi poi non rispettati.
Sarebbe l’ora - e ciò anche alla luce del dato inquietante che emerge dalla vicenda “Operacion Puerto”, dove si parla di ben 107 corridori coinvolti (e non 2!) - di prendere atto che forse il doping non è un problema che tocca solo alcuni corridori “tricheurs”, bensì anche buona parte del sistema e dell’organizzazione che ruota attorno a questi stessi corridori.
E’ possibile che le squadre, i team manager, i direttori sportivi siano sempre all’oscuro di ciò che fanno i loro atleti?
E anche se così fosse, è ammissibile che ad essi non possa essere imputata alcuna responsabilità per culpa in vigilando sull’operato dei propri dipendenti (come accade invece per tutti i normali datori di lavoro)?
Il secondo pensiero che vogliamo portare alla Sua gentile attenzione è invece una critica a come si sta gestendo la vicenda “Operacion Puerto”.
Riteniamo infatti grave che, a più di un anno dallo scoppio del caso Operacion Puerto, a stagione già avviata ed a pochi giorni dall’inizio del Giro d’Italia, si parli ancora di tale inchiesta senza sapere quali siano i corridori coinvolti e quali conseguenze sportive vi saranno per questi.
Tale incertezza non solo sta creando un notevole danno d’immagine a tutto il movimento, ma - fatto per noi parimenti importante - lascia in una inaccettabile condizione di limbo tutti quei corridori su cui vi è, in relazione a tale vicenda, un’aura di sospetto.
Francamente non comprendiamo come l’UCI possa essere solo ora venuta in possesso di un dossier di 6.000 pagine dell’Autorità Giudiziaria Spagnola. Se non andiamo errati, infatti, la stessa UCI si è da tempo costituita parte civile nel procedimento, tanto che lo scorso inverno ha impugnato la richiesta di archiviazione, avendo pertanto fin da allora la possibilità di estrarne copia ed esaminarlo con la dovuta calma e attenzione.
Non era allora proprio possibile adottare tutti i necessari provvedimenti e le opportune decisioni prima dell’avvio della stagione agonistica?
Sul tema Operacion Puerto ci preme inoltre aggiungere che l’IPCT (International Professional Cycling Teams), nel corso di una assemblea tenutasi a Salisburgo il 23 settembre del 2006, aveva all’unanimità deciso di inserire all’articolo VI del Codice Etico l’autosospensione del gruppo sportivo dalle corse nel caso si fossero riscontrati, nell’ambito della propria squadra, più casi di doping.
Se il dato dei 107 corridori implicati nell’Operacion Puerto dovesse essere confermato, riteniamo altamente probabile che tra questi ve ne saranno alcuni appartenenti alla medesima squadra. Cosa succederà allora per le squadre che risulteranno avere, tra le loro file, due o più atleti coinvolti in tale indagine? L’UCI chiederà a queste di autosospendersi dalle prossime corse?
Credo che Lei convenga con noi che la lotta al doping può dirsi efficace e seria solo se si applicano a tutti, corridori e non, le medesime regole e sanzioni, altrimenti non è altro che un iniquo giustizialismo di facciata che ha il solo risultato di colpire pochi con l’inutile e vana speranza di educarne cento (o forse dovrebbe dirsi 107!).
In terzo luogo, ci spiace, ma non possiamo esimerci dall’esprimerLe il nostro disappunto per il fatto che, nonostante Lei stesso abbia più volte sollecitato e ritenuto in diverse occasioni indispensabile un maggior coinvolgimento degli atleti nelle decisioni in tema di politica sportiva, veniamo in questi giorni a conoscenza, tramite gli organi di stampa, di riunioni e vertici che si sarebbero tenuti tra Lei, gli organizzatori ed i gruppi sportivi senza che a questi incontri partecipasse anche la rappresentanza dei corridori (peraltro quella maggiormente interessata e toccata dalle Vostre decisioni).
Se si vuole davvero una fattiva collaborazione su temi così importanti quali quelli del doping, non si può che fondarla su una seria, concreta e costante volontà di dialogo tra tutte le componenti del ciclismo, nessuna esclusa.
Noi come Associazione italiana siamo - come più volte ribadito - aperti ad un franco e serio dialogo, e questa missiva vuole esserne l’ulteriore conferma.
Auspichiamo che pari spirito animi l’UCI e tutte le altre componenti del ciclismo, così da poter affrontare insieme i problemi che stanno affliggendo il nostro sport.
Infine, signor Presidente, ci consenta di condividere con Lei un’ultima amara riflessione.
Il ciclismo è indubbiamente fra tutti gli sport quello che più ha combattuto e sta combattendo la pratica del doping, ottenendo in questi ultimi anni indiscutibili e innegabili risultati. E ciò deve essere motivo di vanto per l’UCI e per tutto il movimento.
Non a caso è, se non l’unico, quello in cui se ne parla e discute maggiormente.
E’ anche l’unico in cui gli atleti partecipano di tasca propria (e con importi non irrilevanti) alle spese che l’autorità sportiva affronta nell’adozione delle relative misure di controllo.
Ciò nonostante, vi è tra il pubblico la sensazione diffusa che il ciclismo rimanga tra gli sport, se non l’unico, per lo meno quello in cui si presenta con maggiore gravità e diffusione la pratica del doping.
Vi è quindi certamente un problema di comunicazione che, a nostro avviso, occorre risolvere con tempestività e con la partecipazione di tutti.
Il pubblico dev’essere messo a conoscenza dei passi importanti che sono stati in questi anni intrapresi dal ciclismo professionistico nella lotta contro il doping.
Il pubblico deve sapere a quali e quanti controlli sono sottoposti i corridori professionisti rispetto a tutti gli atleti professionisti degli altri sport.
Per questo riteniamo necessaria, da parte delle autorità e componenti internazionali del ciclismo, una maggior tutela e attenzione nei confronti della categoria dei corridori: i corridori faticano, sudano, fanno enormi sacrifici a fronte, nella maggior parte dei casi, di guadagni irrisori. Tale circostanza - siamo certi che Lei sia d’accordo con noi - non può essere dimenticata e dev’essere sempre comunque valorizzata.
La forza del ciclismo è data proprio dal suo essere sport nel senso più vero e autentico del termine, dove l’atleta è la componente preponderante ed essenziale.
Se rilancio ci dev’essere, esso non può dunque che passare attraverso un’azione di valorizzazione dei corridori che, ribadiamo, costituiscono il patrimonio più prezioso che il ciclismo possiede.
Se questi sono - come siamo peraltro certi - pensieri da Lei condivisi, non possiamo che manifestarLe la nostra piena e franca disponibilità a lavorare insieme per ridare slancio al nostro amato sport.
Nel ringraziarLa per l’attenzione, La prego di voler gradire i nostri più distinti saluti
Amedeo Colombo
Presidente
Associazione Corridori Ciclisti Professionisti Italiani
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