Regalateci un accordo tra le giustizie
di Gian Paolo Porreca
Consentiteci, stavolta, di fare del pacato ragionamento. Ci sarà dunque nel Duemila un solo ciclismo? È questo il quesito, questo l’augurio di segno positivo, che tutti noi appassionati e osservatori in buona fede di questo sport dobbiamo porci. Con l’ambizione di risolverlo. E non di rinviarlo. Ci sarà, in questo 2000 dall’esasperato simbolismo e non solo dalle indulgenze giubilari, un ciclismo che non avrà più due facciate, come fosse un disco, quella «A» che recita i risultati agonistici e quella «B» che mette in onda i sospetti farmacologici, con una verità amaramente inclinata da un lato o dall’altro a seconda delle giornate, o peggio delle testate giornalistiche?
Ci sarà da giurare sul serio su un campione, su un avvenimento, e non da spergiurare ancora o ancor peggio da farlo con il freno dell’entusiasmo tirato, la passione in sordina? Noi crediamo che questo sport, con la vicenda Pantani tuttora così incombente nelle inchieste di Guariniello e Giardina - una vicenda che non arricchisce di pubblicità nessuno ma impoverisce invece tutti in diretta proporzione alla sensibilità di ciascuno - non possa consentirsi ulteriori ipocrisie, perduranti omertà.
Abbiamo plaudito, a suo tempo, alle iniziative della giustizia ordinaria francese al tempo del Tour ’98 e dello scandalo Festina: quel «tintinnar di manette», come qualche moralista a giorni alterni invocava, forte allora di una ragionevole distanza di sicurezza... Abbiamo auspicato anche in Italia, credo, la rapida definizione di una legge dello stato in grado di combattere e smascherare trafficanti e mercanti, medici o affini, di sostanze vietate. Bene, ma quanto è successo in Francia con il ministro Buffet e non è successo ancora in Italia con il ministro Melandri - a proposito, ci fosse stata la Bindi, con il suo virile efficientismo, sarebbe stato uguale? - impone una serena e onesta presa di coscienza a noi uomini di ciclismo e di sport (pulito).
I tempi, i ritmi diciamo biblici della giustizia ordinaria, cari amici, non possono essere applicati alle esigenze del mondo dello sport, pena la svalutazione, la rarefazione dei suoi entusiasmi! In Francia, sapete, l’operato del giudice Keil, quei giorni se non quei mesi di pena e detenzione inflitti ad atleti e massaggiatori, direttori sportivi e manager, è ben lungi dall’aver prodotto una conclusione giudiziaria. Ed in Italia restiamo tutti in attesa che le inchieste delle Procure di Bologna e Ferrara, di Brescia e di Trento, di Torino innanzitutto, approdino a risultati probanti, a rinvii a giudizio confortanti per i peggiori abitanti del ciclismo di casa nostra. Ma nel contempo, allora, in attesa di una verità in nome dello stato italiano quale sport, quali Giri, quali imprese andremo narrando sub judice?
Saremo chiamati tutti, in un imprecisato domani, a correi di una disciplina viziata e peccaminosa, in un giorno che sarà bello o brutto che dir si voglia, a seconda delle testate o peggio ancora del volgere dei direttori? E allora noi riteniamo che l’unica soluzione plausibile sia un protocollo di intesa, una collaborazione paritaria e complementare tra la giustizia ordinaria e quella sportiva. La prima, con le sue possibilità di indagine accurata, la sua facoltà di investigazione; la seconda, per la rapidità dei suoi meccanismi sanzionatori.
Una squalifica, poniamo, di sei, nove, dodici mesi e via, per gli atleti riconosciuti eventualmente colpevoli o complici di certi meccanismi. E via così: per un ritorno al ciclismo dell’umanità. E non del dissidio. Amici in tutta franchezza, non più nemici nella diffidenza, come prima. Non vi sembri troppo banale, o poco realizzabile, ma sarebbe proprio questo «stralcio del reato sportivo da quello ordinario» il percorso che il ciclismo deve augurarsi, per il recupero della trasparenza, del corso libero della fantasia.
Le Procure di Ferrara e Bologna hanno trasmesso di recente i loro atti di indagine alla Procura antidoping del Coni. Perfetto così, o almeno perfettibile. Savoldelli e Gotti, Tonkov e Cipollini saranno innanzitutto valutati ai sensi delle regole dello sport. In attesa della definizione in altra sede del discorso penale, se questo meriterà seguito. Il ricorso al doppio binario - giustizia ordinaria e giustizia sportiva, ingranate e non estranee - ci sembra il meccanismo più produttivo per un approccio che non risulti velleitario al problema di un doping da colpire, e non solo da commentare!
Pantani che si allena a Madonna di Campiglio, ad esorcizzare il suo passato. Ed in contemporanea, il suo dossier difensivo che arriva sul tavolo di Guariniello... Tutto, nella stessa pagina. La duplicità del ciclismo, dicevamo...
Di grazia, chiediamo al 2000 anche a nome vostro che ci sia un ciclismo - uno sport - da coniugare solo al singolare.
Gian Paolo Porreca, napoletano, docente universitario
di chirurgia cardio-vascolare, editorialista de “Il Mattino”
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