Rapporti&Relazioni
Sorrisi intelligenti

di Gian Paolo Ormezzano

Porto qui di seguito tre esperienze molto personali per cercare di spiegare come, a parere sempre mol­to personale, il ciclismo butta via occasioni di dialogo e visibilità, e dunque si butta via, in un mondo dove la comunicazione è elemento primario sia di sopravvivenza che di supervivenza (cioè tirare avanti e stare meglio di altri)

Prima esperienza
sezione “umorismo”
Ho per l’umorismo una autentica adorazione, che sia umorismo offertomi dagli altri o umorismo che scaturisca da me (e pazienza se mi rendo conto che è in fondo cosa umoristica già lo stesso credere di possedere ed “emanare” umorismo). Cerco l’umorismo nelle sue miniere dentro gli umani, nelle venature più o meno segrete di varie si­tuazioni, nella vita di tutti i giorni e pazienza se sorrido anche delle vessazioni insite nel trash dell’informazione, nell’ignoranza dei concorrenti ai quiz televisivi come alle contese elettorali. Ho proibito ai miei otto nipoti di prendermi sul serio, e per fortuna mi obbediscono. Penso che un sorrisino anche ino-ino possa distruggere cosacce ostili e valorizzare cosine amiche. Mi rifocillo continuamente con tan­te pubblicazioni sull’umorismo nello sport.
Offro qui due picchi di grande umorismo ciclistico, uno assoluto, uno relativo alla lingua italiana. Il primo quello di un racconto di Giovanni Mosca (sì, il pa­dre di) su un postino che re­capitava le lettere in un comprensorio di montagna, andando da un paesino all’altro sulla sua bici sgangherata, e che un giorno doveva consegnare una raccomandata inviata al grande campione ciclista che era al Gi­ro d’Italia.La corsa partiva, per una tappa piena di salite, da un paesino dove il postino arrivò che era già data la partenza, e allora lui sulla sua biciclettaccia inseguì il gruppo, lo raggiunse, lo rimontò sino alla testa. Non vide il campione, gli dissero che era in fuga. E allora il postino staccò il gruppone e inseguì il campione, salendo e scendendo montagne, lo raggiunse, lo af­fiancò, gli porse la lettera, gli fece firmare in corsa la ricevuta e poi con alcune pedalate lo staccò e andò avanti, doveva ef­fettuare altri recapiti. Il secondo quello di un ciclista italiano che, vinta a sorpresa una cronotappa del Giro (era la fine degli anni ’50) alla radio annunciò suoi prossimi exploits: “Voglio staccarli adesso, voglio staccare an­che Baldini, anche Gaul, anche Bahamontes, Anquetil”.
Tutti qui a ridere, ma manco un cenno forte e stabile di umorismo culturalmente legato al ci­clismo, che al mondo dello spettacolo serve casomai per esercizi di satira facile, se non anche di commiserazione a forte impatto sentimentale (oh quei poveretti che sudano e sano di sudore, di pipì…)

Seconda esperienza
sezione “scienza”
C’è in noi ciclofili la paura di parlare di scienza applicata al pedalatore, per via del terrore di essere accusati di apostolato del doping. Eppure quando in convegni anche “alti” dico che se­condo me la demonizzatissima pozione di Lance Armstrong (l’uomo dal tumore grave ai te­sticoli, con metastasi, operazione, ritorno alle gare, sette Tour vinti di fila, donne e figli) do­vrebbe essere studiata, prodotta, diffusa, data a vecchi, bambini e malati, mi accorgo che dico qualcosa che fa comunque positivamente riflettere.

Terza esperienza
sezione “letteratura”
Il ciclismo ebbe ai suoi bei tem­pi una vasta letteratura, ma ultimamente è vissuto, almeno chez nous, di esercitazioni sul dramma di Pantani e basta. I massimi premi letterari riferentisi in Ita­lia a produzioni sportive raramente vedono opere sul ciclismo e dunque rarissimamente vedono premi da esse derivanti. Sembra quasi che il ciclismo ab­bia il pudore della propria grandezza letteraria, dei propri possibili agganci poetici e culturali.

Tre riferimenti biecamente personali (spero almeno che il lettore abbia gradito lo spazio ben maggiore riservato all’umorismo) per dire di quelle che se­condo me sono occasioni grosse perdute di illuminare meglio il ciclismo, di sdoganarlo da tanti luoghi co­muni, su tutti quello pietistico per cui il ciclismo deve commuovere, anche sino al pianto, chi lo segue, così come deve far soffrire chi lo esegue. Urgono intelligenti sorrisi per non essere seppelliti da crasse risate del volgarissimo sport attuale dello spettacolo e del denaro, urge un orgoglio di natura anche scientifica dopo avere pagato tanto per doping eccetera, urge una anche sfrontata iniziativa culturaletteraria per il giusto omaggio alla virtù poetica intrinseca del no­stro sport.
Facile dirlo. Impossibile farlo?
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