Longo Borghini, imperatrice d'Italia

di Giulia De Maio

Più forte e serena che mai. Eli­sa Longo Borghini è all’apice della carriera, felice nella vita privata e performante in quella professionale. I risultati parlano chiaro, il suo sorriso pure. Il suo segreto? La pace che le dà avere al suo fianco un marito che è anche compagno di squadra in tutto per tutto, ben oltre la ma­glia indossata, che ancora per qualche mese è la stessa della Lidl Trek.
La campionessa italiana ha dominato il Giro d’Italia Women, regalandosi quel successo in una grande corsa a tappe che ancora le mancava. Ha aggiunto la maglia rosa a due Fiandre, una Parigi-Roubaix, due bronzi olimpici e due mondiali e ora è la nostra portabandiera al Giochi Olimpici di Parigi 2024. Ci arriva con una grande condizione, non espressa a pieno dall’8° posto rimediato nella prova a cronometro bagnata che ha aperto la rassegna a cinque cerchi in corso in Francia per quanto ri­guarda le gare di ciclismo, e forte dei due podi su cui è salita al termine della prova in linea a Rio 2016 e Tokyo 2020.
Ripartiamo dalla maglia rosa. 
«Sono stati otto giorni di caldo, fatica, lotta, ma anche soddisfazione, consapevolezza e lavoro di squadra. Indos­sarla il primo giorno al termine della prova contro il tempo è stato emozionante, avere solo 1” di vantaggio sulla cam­pionessa del mondo Lotte Ko­pec­ky al via dell’ultima frazione è stato da brividi. Nella penultima tappa la doppia scalata del Passo Lanciano con l’arrivo al Blockhaus, la cima Alfonsina Strada, ci si aspettava un verdetto finale invece dopo 38 km di salita siamo ar­rivate di nuovo allo sprint. Siamo simili, anche se lei è più veloce in volata. La resa dei conti è arrivata a L’Aquila nell’ultimo chilometro al 7% di pendenza con un picco all’ll%, lì ho dimostrato che io, le mie compagne e tutto lo staff meritavamo la vittoria».
Hai indossato il simbolo del primato dal­la prima all’ultima tappa. Quanto sei felice?
«Moltissimo, è stato speciale, la realizzazione di un sogno e una soddisfazione enorme. Il Giro era il mio obiettivo dall’inizio della stagione, l’ho vissuto portando in strada la miglior versione di me stessa. Durante la corsa ho cerca di non pensare mai che l’ultima italiana a vincerlo era stata Fabiana Luperini nel 2008. Spesso avvertire pressione e responsabilità non aiuta. Ho preferito concentrarmi su quello che potevo controllare. La tappa di Passo Lanciano mi aveva un pochino innervosita perché non ero riuscita a staccare Kopecky. Quel se­condo poteva essere magico o drammatico. Per fortuna è stato magico... Nella tappa finale ho tirato fuori tutto quello che avevo, ho portato in bici tutte le mie emozioni. Ha funzionato».
Papà Ferdinando aveva ragione. 
«Già (sorride, ndr). Quando ero bambina mi ripeteva: “Vedrai Elisa, tu di­venterai forte, vincerai tante corse. Io pensavo a giocare e a divertirmi se­guendo le orme di mio fratello Pao­lo, mio padre vedeva più lontano. Non mi ha mai posto limiti. Noi siamo un po’ montagnini, non esterniamo troppo i sentimenti, ma il mio papà silenziosamente mi ha sempre supportato. Ma­gari non viene spesso alle corse perché è impegnato con la mucca e il fieno, ma io so che non perde un secondo della mia gara. Bisogna crederci sempre, al di là dei risultati: io non sono nata fe­nomeno, io ho sempre e solo lavorato duro. E ho sudato veramente tanto».
Dopo il Giro hai riposato? 
«Nella settimana prima di partire per Parigi ho trascorso 3-4 giorni tranquilli, poi ho svolto dei lavori di richiamo di forza. Nella valigia ho messo l’abbigliamento fornito dalla Nazionale, il necessario per la trasferta e, visto che Jacopo (il marito Mosca, ndr) non potrà venirmi a seguire dal vivo come ha fatto il week end finale del Giro, ho aggiunto una nostra foto e il solito orsetto che mi porto dietro da anni. Glielo avevo regalato io nel 2021 dopo la brutta caduta che aveva avuto ai Campionati Italiani a cronometro, non a caso si chiama Crash, ma lui mi disse “tienilo tu, da uomo non ce la faccio a portarmelo dietro alle corse”».
Chi verrà a fare il tifo per te a Parigi domenica 4 agosto? 
«Spero tanti italiani, alla corsa rosa ci hanno seguito in tantissimi, segno che il ciclismo femminile sta crescendo. Vedo molte più ragazze in bicicletta, fino a 5-6 anni fa quando uscivo ad allenarmi erano poche, così come le bici da donna. Per quanto riguarda i familiari stretti ci saranno solo mamma Guidina (sciatrice di fondo con tre partecipazioni ai Giochi Olimpici invernali: Sarajevo 1984, Calgary 1988 e Lil­lehammer 1994, ndr) e sua sorella, mia zia Paola, perchè a casa è nato un vitello quindi mio papà non si schioda. Mi vuole tanto bene ma vengo dopo gli animali (ride, ndr)».
In una intervista a La Gazzetta dello Sport la “divina” Federica Pellegrini raccontava di quanto i Giochi siano a livello emotivo diversi da qualsiasi altra competizione. Anche ai veterani causano grande tensione. 
«Ha ragione, rappresentano un appuntamento talmente speciale e grande che è difficile descrivere cosa si prova quando si è dentro. Questa volta non essendo al Villaggio Olimpico personalmente avverto meno stress, sono con un gruppo ristretto di persone, praticamente solo della FCI, che appena arrivati quasi sembrava di essere in un semplice ritiro. Ovviamente a ridosso della gara la pressione aumenta, ma non sarà mai come quella che ho provato a Rio de Janeiro quando ho trascorso tutto il periodo al Villaggio principale. Lì sembra di essere immersi in un mondo diverso e distaccato dalla realtà, si è sempre in tensione pre competizione. O, almeno, sarà stato anche che ero più giovane ma io l’avevo vissuta così».
Avevi fatto incontri interessanti? 
«Sì, fu una bella esperienza. Mi aveva colpito soprattutto la grande differenza di corporatura degli atleti delle varie discipline, dalla ginnasta piccolina al lottatore energumeno, oltre al freddo che pativo al ristorante dove c’era sempre l’aria condizionata a palla. Era curioso guardare le differenti divise, capire chi era chi. Io in realtà andavo poco in giro, ero molto concentrata sul perché ero lì, ma anche solo per uscire in allenamento o andare alla mensa incrociavo talmente tanta gente che era impossibile non notarla. Mi­chael Phelps l’ho sempre visto con il cappuccio e gli occhiali da sole. Un giorno ho osato avvicinarmi a Federica Pellegrini, facendo una gaffe che forse non è il caso di raccontare (scusa Elisa, ma era troppo carina per non scriverla, ndr). Ero emozionata e, non sapendo cosa dirle, ho solo balbettato “Com­pli­menti”. Peccato che fosse il giorno in cui era finita quarta nei 200 stile libero, la “sua” gara in piscina ed era talmente delusa che aveva annunciato che avrebbe potuto smettere. Mi fulminò. Sgat­taiolai via imbarazzatissima».
Federica Pellegrini oggi è membro del CIO, fa parte della Com­mis­sione atleti, e da ex festeggia la prima edi­zione dei Giochi Olimpici in cui effettivamente è stata raggiunta la parità di genere. 
«E in cui c’è una evidente attenzione alle mamme atlete visto che per la prima volta ci sono le nursery al villaggio e stanze per l’allattamento. Per­sonalmente ritengo sia un messaggio im­por­tante di inclusività che il massimo evento dello sport invia alla so­cietà intera. Le donne possono conciliare la maternità con lo sport ad alti livelli, avere ambizioni professionali deve es­sere compatibile con la famiglia. Le campionesse dello sport sono la prova che se si vuole si può di­ventare madri senza sacrificare la carriera. Un esempio che ho vissuto da vicino è quello della mia compagna di squadra Ellen van Dijk, che ha dato alla luce il piccolo Faas il 4 ottobre dell’anno scorso e 5 mesi dopo era di nuovo in gara e a braccia alzate. Rispetto a tempo fa, per fortuna, è tutto più accessibile».
Dopo la crono, è tempo di pensare alla prova in linea. 
«Nella prova contro il tempo sapevo di non avere chance di medaglia, per di più non sono riuscita a fare del mio meglio, ho guidato male, bloccata dalla paura di cadere come è successo a tan­te avversarie sulle strade bagnate. Peccato, avrei voluto onorare me­glio la maglia della Nazionale ma tra pochi giorni avrò occasione di rifarmi con le mie compagne. Al via siamo solo 4 azzurre, ma come sempre correremo unite contro le favorite olandesi, belghe e non solo. Spero di mettere a frutto la buona condizione dimostrata nell’ultimo periodo non tanto in prima persona, ma soprattutto per l’altra Eli­sa (Balsamo, compagna anche di club, ndr). Il percorso è più adatto alle sue caratteristiche che alle mie. Con Elena Cecchini e Silvia Persico cercheremo di supportarla al meglio, seguendo le indicazioni del CT Paolo Sangalli».
Tu non sei mai stata così in forma e, mi pare, così tanto felice o sbaglio? 
«Non sbagli e non sei la prima ad avermelo fatto notare quindi deve essere evidente. La stabilità emotiva ti dà tanta sicurezza e tranquillità, ciò si riflette anche in corsa. Il merito nel mio caso è di mio marito Jacopo che mi supporta sempre e capisce quello che faccio, mi dà una grande mano in tutto e per tutto. Correndo entrambi ad alti livelli e viaggiando tantissimo, la nostra è una vita fatta di incastri. Ab­biamo i nostri programmi agonistici ben stampati in testa e cerchiamo di conciliare i nostri impegni il più possibile per stare bene quando siamo insieme e, ancor di più, quando siamo costretti a stare lontani».
Hai in cassaforte già due bronzi, firmeresti per una terza medaglia dello stesso metallo? 
«Sinceramente sì, una medaglia alle Olimpiadi di qualsiasi colore sia vale oro. L’emozione che provi quando sali sul podio dei Giochi è unica: ti senti di essere arrivato davvero tanto in alto».

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